Il Banco Ambrosiano venne fondato il 27 Agosto 1896 da Giuseppe Tovini, avvocato e banchiere cattolico, che qualche anno prima aveva dato vita anche a Banca San Paolo di Brescia e Banca di Valle Camonica. Tovini, beatificato nel 1998, era fermamente convinto che le istituzioni cattoliche dovessero essere autonome e solide dal punto di vista finanziario.
Il fattore religioso era centrale per Tovini. La linea del Banco Ambrosiano era quella di offrire credito seguendo i principi cattolici, per diventarne soci bisognava esibire il certificato di battesimo, oltre ad un attestato di buona condotta dal parroco. L’Ambrosiano era un istituto cauto, che gestiva le finanze delle diocesi lombarde e dell’imprenditoria brianzola. L’avvento di Calvi rivoluzionò la sua filosofia.
Roberto Calvi e lo scandalo del Banco Ambrosiano
Roberto Calvi entrò nel Banco Ambrosiano nel 1947. Ventenne e semplice impiegato, Calvi bruciò ben presto le tappe del cursus honorum. Nel settore esteri acquisì un’ottima conoscenza dei paradisi fiscali – che nel tempo gli tornerà utile – e divenne una persona fidata di Alessandro Canesi, Amministratore Delegato del Banco, che nel 1959 salì alla posizione di direttore generale. Calvi ottenne quindi la promozione a responsabile per le operazioni di carattere finanziario e, anni più tardi, nel 1971, fu lui stesso a sostituire Canesi, diventando prima amministratore delegato, poi, nel 1975, Presidente della società. Questo doppio incarico mostra il potere che Calvi riuscì a concentrare nelle sue mani, avendo di fatto esautorato qualsiasi rivale oltre che ogni forma di controllo all’interno della banca. Da questo punto in poi iniziò la vera e propria trasformazione del Banco Ambrosiano.
La trasformazione del Banco Ambrosiano
Calvi acquistò la Banca del Gottardo, fondò in Lussemburgo una finanziaria, la Banco Ambrosiano Holdings Sa, e divenne il primo interlocutore dello IOR – l’Istituto per le Opere di Religione – considerato comunemente come la Banca del Vaticano.
Con il Presidente dello IOR, l’arcivescovo Paul Marcinkus, Calvi creò Cisalpine Overseas, con sede alle Bahamas, proprio uno dei paradisi fiscali che l’amministratore delegato del Banco Ambrosiano conosceva bene.
Attraverso le consociate estere o società ad hoc come la Cisalpine Overseas, il Banco Ambrosiano mosse ingenti somme di denaro nel corso del tempo, del valore di miliardi di dollari, verso destinazioni che ancora oggi non sono state scoperte. Calvi utilizzò la sua galassia societaria per coprire i buchi di bilancio. Attraverso una delle sue compagnie acquistava le azioni di un’altra, sempre sua, accrescendone così il valore, per poi rivenderle.
Roberto Calvi riuscì a stringere diversi rapporti sociali e politici volti a rinsaldare e proteggere la sua posizione. Conobbe Michele Sindona e Licio Gelli grazie ai quali, nel 1975, entrò a far parte della P2.
Le indagini
Quasi ad un mese esatto dal rapimento Moro, il 17 Aprile 1978, 12 ispettori della Banca d’Italia fecero irruzione all’interno del Banco Ambrosiano e, nel corso dei 7 mesi di ispezione, rilevarono gravi irregolarità. I risultati dell’indagine saranno riportati in un rapporto, che verrà poi consegnato al giudice Emilio Alessandrini, incaricato di condurre le indagini. Alessandrini poté però lavorare sul caso poco più di 4 mesi, perché il 20 gennaio 1979 venne assassinato da Prima Linea, un gruppo terroristico di estrema sinistra.
Un colpo di fortuna per Calvi
Paolo Baffi, Governatore di Banca d’Italia, e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale con delega alla vigilanza, i quali ordinarono l’ispezione del Banco Ambrosiano, vennero accusati, ad Aprile 1979, come sottolinea Il Sole 24 ore,
<<dalla Procura di Roma di interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento personale per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo sul Credito Industriale Sardo, istituto di credito che aveva largamente finanziato il gruppo chimico SIR del finanziere Nino Rovelli>>.
Accuse che si riveleranno poi infondate due anni più tardi, ma che intanto servirono a calmare le acque sul Banco Ambrosiano e su Calvi. Le casse del Banco videro comunque giorni migliori. Una prima crisi di liquidità fu risolta grazie ad un finanziamento di 150 milioni di dollari da parte della Banca Nazionale del Lavoro e dell’ENI, ed una seconda nel 1980 grazie ad un altro finanziamento da 50 milioni di dollari sempre dall’ENI.
L’arresto
Nel 1981 la giostra per Calvi e per il suo Banco Ambrosiano cominciò però a girare in senso avverso. Venne scoperta la lunga lista degli iscritti alla P2, che causò la fuga di Licio Gelli e che per Calvi significò la perdita della protezione conquistata. Il 21 maggio 1981 Calvi venne arrestato e due mesi più tardi condannato a 4 anni per violazione delle norme valutarie. In attesa del processo d’appello ottenne però la libertà provvisoria e ritornò al timone del Banco.
L’incontro con la criminalità organizzata
Senza la P2 e senza Gelli, Calvi cercò protezione in Flavio Carboni e Francesco Pazienza. Fu soprattutto attraverso il primo che Calvi legò a doppio filo il nome del Banco Ambrosiano con quello della criminalità organizzata romana. Carboni era infatti un faccendiere molto vicino alla Banda della Magliana ed a Pippo Calò, “cassiere” di Cosa Nostra. Non fu un caso che Roberto Rosone, direttore generale del Banco, dopo aver espresso perplessità sulla gestione di Calvi, subì un attentato, fallito, proprio da parte di un esponente della banda romana, Danilo Abbruciati.
Stretta sul Banco Ambrosiano
Anche dopo le dimissioni di Baffi, Banca d’Italia volle vederci più chiaro sui movimenti e sulla conduzione del Banco Ambrosiano da parte di Calvi. Con Carlo Azeglio Ciampi l’istituto di Via Nazionale riuscì a ricostruire i conti del Banco. Il buco complessivo nelle casse della banca risultava superiore a 1400 milioni di dollari. Questi erano frutto di una girandola di finanziamenti emessi dal Banco verso società off-shore, molte delle quali controllate dal Vaticano. Queste, a loro volta, riutilizzavano le somme di denaro per erogare altri finanziamenti o per acquistare le azioni dello stesso Banco Ambrosiano.
La fine di Roberto Calvi
Con la pressione di Banca d’Italia, che con una lettera intimò di mettere i conti in ordine, il consiglio d’amministrazione destituì Roberto Calvi dal vertice del Banco Ambrosiano il 17 Giugno 1982. Calvi, consapevole di essere alle strette e penalmente perseguibile, partì da Venezia verso la Jugoslavia, poi Klagenfurt e dall’aeroporto di Innsbruck raggiunse Londra. Il 18 Giugno del 1982 Calvi venne trovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge.
Banca d’Italia in quegli stessi giorni nominò gli organi della gestione straordinaria, dando avvio alle pratiche per la liquidazione del Banco.
Le conseguenze dello scandalo
Il 9 luglio 1982 in Via XX Settembre fu deciso il destino del Banco Ambrosiano. Si decise di eseguire la liquidazione coatta amministrativa dell’istituto. 7 banche (BNL, IMI, Istituto San Paolo di Torino, Banca Cattolica del Veneto, Banca Popolare di Milano, Banca San Paolo di Brescia, Credito Emiliano e Credito Romagnolo) iniettarono le 600 miliardi di lire ottenute dal Banco nei loro capitali.
Venne creato il Nuovo Banco Ambrosiano, che si fece carico delle perdite, dei debiti e dei cespiti pregressi. A capo fu posto Giovanni Bazoli, ex consigliere d’amministrazione di Banca San Paolo di Brescia e il 9 Agosto tutti gli sportelli del (Nuovo) Banco riaprirono, con logo, insegne e assetto societario nuovo.
Una lunga disamina delle cause e delle conseguenze dello scandalo la scrisse nel 2007 sulle colonne del Corriere anche Mario Draghi, allora Governatore di Banca d’Italia, disegnando un quadro poco luminoso sul sistema finanziario italiano degli anni ’70 e ‘80:
<<Poca concorrenza in un mercato del credito minutamente regolato dalle Autorità; mercati finanziari di scarso spessore al servizio di pochi individui; onnipresente commistione tra banche e politica; rigidi controlli sui movimenti di capitale che mortificavano la già debole proiezione internazionale delle nostre banche più grandi, mentre le piccole, orgogliose del campanile, respingevano ogni cambiamento.>>
Oltre a Licio Gelli, Umberto Ortolani e Flavio Carboni, condannati nel processo per il crack del Banco, lo scandalo vide una “chiara assunzione di responsabilità”, come affermato da Andreatta, dei vertici dello IOR. L’arcivescovo Paul Marcinkus non venne arrestato solo perchè residente dello Stato Vaticano, che non ne concesse l’estradizione. Lo IOR pagò comunque 242 milioni di dollari come “contributo volontario”.