Editoriale

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1345, La grande crisi di Firenze [ARTICOLO LUNGO]

Siamo negli anni 40 del 1300, l’attività bancaria e finanziaria in Europa ha Firenze come capitale. Nascono la figura del mercante e le prime forme associative che in maniera prevalente si dedicano al commercio di denaro e alla concessione di finanziamenti. Circa 80 case bancarie tra cui i Frescobaldi e le compagnie dei Bardi e dei Peruzzi operano su tutte le piazze in posizione di forza. La situazione sembra la più fiorente eppure si affaccia alla finestra la prima grande crisi della storia, che metterà a dura prova la tenuta della città di Firenze.

Nel 1345 Edoardo III d’Inghilterra decide di annullare un enorme debito di 1.3 milioni di fiorini che aveva nei confronti delle compagnie dei Bardi e dei Peruzzi per finanziare la fallimentare “Guerra dei cent’anni”. Questo scatenò un effetto domino che colpì non solo i grandi prestatori ma anche le famiglie di mercanti-banchieri e dei piccoli investitori finanziari da loro garantite, che vennero escluse dai mercati europei. Inizia così una crisi che anche da sola avrebbe potuto distruggere il commercio a Firenze.

Il fallimento delle famiglie d’affari fiorentine, oltre a essere dovuto a una non sempre onorevole rete di relazioni internazionali e alla ricerca della massimizzazione del profitto, è altresì dovuto all’assenza di una struttura legale che conosce la responsabilità limitata. Il comune di Firenze si trova quindi a gestire procedure di fallimento ricercando delle soluzioni condivise e solide come la ristrutturazione concordata del debito che non sempre si rivela praticabile. Da tutta Europa arrivavano richieste di pagamento dei debiti delle famiglie fiorentine e questo fa sì che il problema da privato diventi pubblico, considerando che una caduta di fiducia porterebbe a ripercussioni incalcolabili e metterebbe in discussione la tenuta della città.

Nello stesso anno della famosa cancellazione del debito inglese nei confronti di Bardi e Peruzzi, il Comune di Firenze dichiara la propria impossibilità a ripagare i prestiti ottenuti dai cittadini. Qui troviamo una prima risposta dell’amministrazione fiorentina che si impegna a pagare un interesse perpetuo del 5% calcolato sul valore nominale del credito, dichiarando di non poter ripagare il valore nominale del debito. Il debito pubblico della città aveva negli anni precedenti assunto proporzioni insostenibili e un appellativo illustrativo delle proporzioni, Il Monte. Comincia una guerra finanziaria e amministrativa da parte del Comune per tentare di mantenere intatta la fiducia dei creditori sparsi per l’Europa. L’amministrazione si rivela ingegnosa e crea un imponente registro pubblico di tutti i creditori del Comune il quale, seppur mediante gesto simbolico, sta a dimostrare una forte volontà di trovare le migliori soluzioni. Firenze a questo punto crede che sia effettivamente possibile gestire e ridimensionare il Monte.

Furono escogitate delle forme assai creative di approvvigionamento del credito. I creditori del Comune venivano incoraggiati a prestare altro denaro in cambio della possibilità di vedersi scongelato il valore nominale del loro credito pregresso (precedentemente trasformato in un interesse perpetuo). Si era così creato un mercato del debito in cui il valore nominale poteva essere venduto a terzi che lo acquistavano a prezzo scontato garantendosi il pagamento del solo interesse. Questi scaltri operatori finanziari potevano a loro volta reinvestirlo nel Comune prestando altro denaro, scongelando tutto il credito nominale del titolo e garantendosi enormi profitti.

Il sistema incredibilmente tiene, sostenuto da una classe di mercanti e banchieri che avevano consolidato da tempo i loro prodotti e processi manifatturieri. Neanche la grande peste del 1348-1349 affonda definitivamente il sistema a causa della paradossale crescita dei salari dovuta alla diminuzione di manodopera che nella Firenze del tempo funziona da grande balzo dopoguerra. Questo almeno fino al 1378, dove l’equilibrio si romperà nuovamente a causa della rivolta dei salariati.

Alessandro Colasanti SFC Firenze

Fonti: (TITOLO: 1345: la bancarotta di Firenze, una storia di banchieri, fallimenti e finanza, AUTORE: Lorenzo Tanzini, EDITORE: Salerno Editrice, 2018)

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Amadeo Peter Giannini: l’uomo che cambiò il modo di fare banca [ARTICOLO LUNGO]

Una storia straordinaria e al tempo stesso sconosciuta è quella di Amadeo Peter Giannini, l’uomo che cambiò il modo di fare banca. Figlio di emigranti italiani, nacque il 6 maggio 1870 a San Josè, California. Non dimenticò mai la sua patria e aiutò i connazionali grazie alla sua grande umanità, intelligenza e straordinaria intuizione.

A soli sette anni capì che il denaro poteva anche uccidere, assistette infatti all’assassinio del padre per mano di un bracciante in debito di un dollaro. Ragazzo intraprendente, studiava e contemporaneamente aiutava la madre e il nuovo compagno nel negozio di ortofrutta lasciato in eredità dal padre. Si sposò con la figlia di un ricco emigrante che fiutò il suo talento e gli chiese di amministrare la sua azienda, la Columbus Saving and Loan. Giannini non approvava però le elevate commissioni che gli italiani dovevano pagare per i trasferimenti di denaro in patria. Dopo inutili lotte per un cambio di politiche, egli fondò nel 1904 Bank of Italy, la sua piccola banca aperta a tutti. All’inaugurazione dichiarò che un banchiere si poteva definire tale solo se non negava il credito a nessuna persona onesta. All’epoca l’accesso al credito era riservato solo ai ricchi, l’importo minimo per un prestito era infatti di 200 dollari e venivano richieste diverse garanzie. Gli immigrati e la popolazione più povera non avevano altra scelta che rivolgersi agli usurai. Tutto questo per Giannini era un’ingiustizia e già da subito concesse prestiti anche di soli 25 dollari e senza garanzie, se non dopo una chiacchierata con i richiedenti.

Il terremoto che colpì San Francisco nel 1906 fu una grande minaccia per la banca, che rischiò di perdere tutto tra le macerie. Tuttavia, Giannini nelle prime ore del mattino si recò sul posto e mise in salvo tutto l’oro e il denaro portandolo a casa. In quel momento capì che se non avesse fatto qualcosa di importante la città sarebbe morta. Decise allora di finanziare la ricostruzione. Mentre gli altri banchieri aprirono dopo mesi, Giannini, a distanza di soli sei giorni dall’accaduto, fissò un’insegna davanti alla casa del fratello che affermava: “Prestiti come prima, anzi più di prima”. Si formarono lunghe file di bisognosi che chiesero e ottennero denaro a fronte solo di un foglietto firmato con nome e cognome. Convinto che molti non potessero raggiungerlo, il banchiere di origine italiana girò egli stesso per i vari quartieri della città, con un carretto pieno di denaro, concedendo prestiti. Tutto ciò aumentò sia la fiducia nei sui confronti che i risparmi depositati presso la banca.

Caparbietà e straordinaria visione del futuro permisero ad Amadeo Giannini di trasformare questa piccola realtà nella più grande banca del mondo, la Bank Of America. I conti della Bank of Italy vennero quindi chiusi e da una loro analisi emerse che il 96% di quanto sborsato per i prestiti senza garanzia era stato rimborsato. Continuò ad operare al fianco degli immigrati che volevano migliorare il proprio destino e quello dei figli. Mecenate e filantropo, finanziò ricerche mediche e scientifiche e diversi progetti di artisti e registi: “Il monello” di Charlie Chaplin e “Biancaneve e i sette nani” di Walt Disney beneficiarono del suo sostegno. Finanziò anche il progetto del Golden Gate Bridge, oggi simbolo di San Francisco, senza interessi ad un’unica condizione: impiegare nei lavori solo uomini del posto per attenuare i problemi della crisi del ’29. Concorse a finanziare il New Deal di Roosevelt e anticipò gli aiuti del Piano Marshall destinati all’Italia.

Lasciò, nel 1945, la presidenza di quella che era diventata, con un patrimonio di oltre 6 miliardi di dollari, la banca più grande del mondo. Morì quattro anni dopo restando fedele alla sua teoria sulla ricchezza: “Un uomo che desideri possedere più di 500.000 dollari dovrebbe correre dallo psichiatra”. Un’analisi del suo patrimonio stabilì infatti che questo ammontava a 489.278 dollari.

Michele Marino, Mario Georgev SFC Parma

Fonti: http://www.cartamonetaitaliana.com/articoli-a-curiosita/20-amadeo-peter-giannini.html https://www.youtube.com/watch?v=IXlML3HOogo https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/26/amadeo-peter-giannini-la-storia-del-banchiere-gentiluomo-che-fondo-la-bank-of-italy/5778246/ https://smartmoney.startupitalia.eu/economy/smart-people/59586-20161211-bank-of-america-storia-amadeo-giannini

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Oil for dummies [ARTICOLO LUNGO]

La finanza è spesso fonte di sorprese. I tassi di interesse sotto lo zero nel prima, il crollo del prezzo del petrolio in territorio negativo dopo. Ma cosa comporta un prezzo del petrolio negativo? Che una volta fatto il pieno il vostro benzinaio debba pagarvi? No. Che avreste potuto avere dei barili di petrolio come tavolini per il vostro giardino ed essere pagati per questo? Forse.

Per avere delle idee più chiare in merito dobbiamo fare un passo indietro e capire perché spesso, tra i vari indici elencati nei principali telegiornali italiani ed internazionali, si parla delle ultime quotazioni di mercato per il petrolio. Infatti, nonostante gli sforzi verso l’idea di green economy, l’economia globale è ancora strettamente dipendente da combustili fossili, motivo per cui il petrolio riveste un ruolo di primaria importanza.

Il prezzo del petrolio si comporta secondo la famosa legge della domanda e dell’offerta, Economics 101, direte voi. Certo, ma con una lieve differenza. La maggior parte dell’offerta di petrolio è in mano a pochi produttori: USA, Russia ed OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries). Dominato da un oligopolio, il mercato del petrolio risente delle decisioni assunte da questi tre players, in particolare nel momento in cui non c’è cooperazione tra le parti (vedi il famoso dilemma del prigioniero).

Proprio tale struttura ha permesso lo storico crollo del prezzo del petrolio. Lo shock esogeno nella domanda causa Covid-19 di 29 milioni di barili, accompagnato dal mancato accordo per il taglio alla produzione tra Russia e Arabia Saudita, ha provocato un iniziale crollo del prezzo del petrolio. Tale crollo è stato ulteriormente accentuato dal peggioramento delle conseguenze del lock-down e dall’assenza di ulteriore spazio per immagazzinare il petrolio, rendendo vano il successivo accordo per il taglio alla produzione raggiunto ad aprile.

A questo punto è necessario però fare chiarezza sul prezzo preso in considerazione.

Il benchmark di riferimento per il prezzo del petrolio USA è il West Texas Intermediate (WTI). Esso fa riferimento al prezzo del contratto future scambiato nel NYMEX con scadenza un mese e con la commodity come sottostante. Questo contratto permette di ottenere un predeterminato numero di barili di greggio, in una predeterminata data e ad un predeterminato prezzo e viene spesso utilizzato dagli investitori per speculare/diversificare il proprio portafoglio titoli. La sua natura è stata la causa stessa del crollo. Generalmente questi contratti vengono liquidati prima della scadenza (quanti traders vorrebbero ricevere a casa barili di greggio?), ma data l’elevata offerta e la scarsa domanda dei contratti con scadenza 21/04, il prezzo è continuato a crollare fino a raggiungere il livello storico di -37.63$ (-305.9%) il giorno prima della scadenza.

L’evento, seppur storico, non è irrazionale come sembra dato che il costo da sostenere per immagazzinare i barili sarebbe molto più elevato rispetto all’attuale prezzo pagato per sbarazzarsene. L’attuale livello dei prezzi del petrolio ha creato una situazione di Contango in cui i prezzi futures sono più alti rispetto al prezzo spot, creando possibili occasioni di profitto nel momento in cui si dispone di grossi magazzini o eventualmente di una petroliera (chi non ce l’ha?). C’è un lato positivo in tutto questo. Gli attuali prezzi sui futures riflettono una visione ottimistica in cui il prezzo del petrolio crescerà a seguito dell’aumento della domanda a livello globale per la ripresa della produzione industriale. Ciò significa un graduale ritorno alla normalità che fa ben sperare gli investitori, meno gli ambientalisti.

E voi? Avete ordinato un barile per il vostro giardino?

Rocco Romaniello SFC Padova

Figura 1: Crude Oil WTI Future, scadenza 1 mese (CL.1, U.S : NYMEX)

Figura 1: Crude Oil WTI Future, scadenza 1 mese (CL.1, U.S : NYMEX)

Figura 2: Percentuale produzione mondiale di petrolio

Figura 2: Percentuale produzione mondiale di petrolio

Figura 3: Prezzi dei WTI future con diverse scadenze

Figura 3: Prezzi dei WTI future con diverse scadenze

Sitografia https://oilprice.com/Energy/Energy-General/Why-Todays-300-Oil-Price-Crash-Isnt-As-Bad-As-It-Looks.html https://www.investopedia.com/terms/c/crude-oil.asp https://www.investopedia.com/terms/c/contango.asp https://www.investopedia.com/terms/w/wti.asp https://www.iea.org/reports/oil-market-report-april-2020

Dati https://www.wsj.com/market-data/quotes/futures/CL.1?mod=md_home_overview_quote

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Il FinTech supererà il test Covid-19? [ARTICOLO BREVE]

L’emergenza Covid-19, che da settimane ha costretto milioni di italiani a rimanere nelle proprie abitazioni, ha reso evidente quanto il nostro paese continui ad essere ancorato a sistemi tradizionali e quanto sia necessario investire in innovazione tecnologica e digitalizzazione. In questo contesto, PwC ha pubblicato la terza edizione del report FinTech 2020 in Italia, realizzato su 364 aziende, di cui 278 appartenenti al settore FinTech e 86 al settore TechFin.

Benché l’analisi riveli significativi ritardi nello sviluppo tecnologico in ambito finanziario, il settore del FinTech in Italia si sta sviluppando con dinamicità seguendo il trend globale e promettendo una rapida riduzione del gap ad oggi esistente. I dati, infatti, riportano un aumento del numero di aziende operanti nel settore - 49 in più rispetto alle 278 già esistenti, con il debutto di nuovi segmenti di business come il Real Estate o l’investimento in cripto-valuta - e del fatturato, con una crescita del 40%.

L’impatto negativo del Covid-19 riguarderà principalmente l’ambito del Venture Capital con una riduzione degli investimenti verso numerose start-up e quindi con la chiusura di aziende in fase di sviluppo. Un’altra probabile conseguenza negativa sarà la diminuzione del fatturato dovuto alla riduzione delle transazioni. Tuttavia, non mancano potenziali opportunità di sviluppo. L’emergenza sanitaria ci ha costretto ad ammettere il valore dei sistemi tecnologici e ha dato il via ad uno sviluppo tecnologico che nelle migliori delle ipotesi continuerà anche in futuro.

È molto probabile che, anche dopo aver superato l’emergenza, gli italiani continuino ad utilizzare ed a richiedere sistemi informatici e digitalizzati non soltanto in ambito lavorativo o scolastico, ma anche, e soprattutto, in ambito finanziario. Pertanto, il settore del FinTech ha grandi opportunità di crescita offrendo servizi veloci, efficienti e semplici, ma sarà in grado di sfruttarle?

Noemi Viggiano SFC Tor Vergata

Fonti: Rapporto FinTech 2020 in Italia a cura di PwC, terza edizione
“Fintech italiano in ritardo, ma l’emergenza rappresenta un’opportunità”, Il Sole 24 ore

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Crolla la fiducia nelle banche [APPR]

La fiducia nelle banche è in declino ormai da anni. Non è certo una sorpresa né una novità. Il grado di “confidenza” verso le banche, fra gli italiani, agli inizi degli anni 2000 era già intorno al 30%. Non moltissimo, ma, comunque, non poco. Per spiegare in maniera semplice l’attività della banca, si potrebbero adottare le parole usate da Mickey Rourke in “Nove settimane e mezzo”, che disse “I make money by money”. Cioè: faccio soldi con i soldi. Per questo è difficile immaginare come le istituzioni bancarie possano mantenere un rapporto stretto e duraturo con la società. In tempi di tempeste monetarie e finanziarie globali, il loro “credito” (non per caso sinonimo di “attività bancaria”) si logora. Infatti, dopo la crisi del 2008, la fiducia nei loro confronti è calata sotto il 20% e negli ultimi anni è scesa ulteriormente, attestandosi prima fra il 12 e il 16%, per poi arrivare secondo le stime intorno all’8% attuale.

Certo, le tempeste che hanno coinvolto le banche, soprattutto locali, non hanno origine “solo” finanziaria. Così, il loro impatto e le loro conseguenze non riguardano e non riguarderanno “solo” economia e finanza, ma riflettono le trasformazioni e tensioni dello sviluppo territoriale; ecco perché, dietro alla crisi delle banche, si può cogliere la crisi del rapporto fra economia, società e politica.

Ma allora come possono le banche far aumentare di nuovo la loro fiducia? In primis dando l’importanza di assicurare il rispetto formale e sostanziale della normativa concernente la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei rapporti con la clientela. La fiducia tra banca e cliente, infatti, si conquista non solo con il superamento ed il mantenimento di elevati requisiti patrimoniali o indici di liquidità o di leva finanziaria, ma anche con l’estrema correttezza dei comportamenti adottati nei confronti della clientela che, come noto, sono il miglior investimento di marketing che un qualsiasi intermediario possa effettuare. Meglio requisiti patrimoniali al limite correlati con una grande fiducia della propria clientela piuttosto che il reciproco: la fiducia nella propria banca, infatti, rappresenta la prima “difesa”, sostanziale e reciproca, per banca e clientela; un tema forse troppo poco considerato dai manager bancari.

L’ampiezza dei servizi bancari fruiti, inoltre, aumenta il grado di fiducia tra banca e cliente, mentre la durata del rapporto bancario non pare incidere in misura significativa. La trasparenza e la correttezza dei comportamenti, una volta di più, si confermano come fattori centrali sia per la costruzione di rapporti fondati sulla fiducia, sia per imprimere un’adeguata evoluzione al portafoglio prodotti così come all’organizzazione di una banca. Quindi possiamo affermare, che mettendo effettivamente al centro il cliente nell’attività bancaria, si potrà far risollevare l’affidabilità di questo istituto?

Carmine Murzilli SFC Pescara

FONTI: www.studiobalestreri.it www.repubblica.it

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Fun Code [RUBRICA]

Come vincere a Monopoly usando matematica e codice Python

La rubrica Fun Code si propone di rendere il mondo della programmazione, sempre più centrale nel business e nella finanza, più accessibile ed interessante, con esempi ed usi utili e divertenti. Monopoly è uno dei giochi da tavolo più giocato al mondo, ed ogni appassionato di business che si rispetti ha cominciato così a «fare affari» in famiglia e con gli amici; inoltre è un vero e proprio laboratorio di negoziazione. Ogni giocatore ha pensato almeno una volta alle migliori strategie - o ai peggiori trucchetti - per mandare in bancarotta i concorrenti, ma esiste un modello matematico vincente? Partendo dall’osservazione che non tutte le caselle di gioco - i terreni - sono uguali, è possibile utilizzare delle piccole nozioni di probabilità ed un codice Python per determinare i migliori terreni sui cui investire il prima possibile e garantirsi il monopolio necessario per arrivare alla vittoria. Il codice è stato elaborato da Matt Parker¹, matematico e divulgatore, e mostrato insieme ad Hannah Fry², matematica e divulgatrice, nel video³ riportato tra le fonti, dove si trovano tutti i link utili per approfondire la conoscenza con la divulgazione matematica fatta in maniera divertente.

Su quali proprietà conviene investire? Eseguendo il codice si simulano un miliardo di turni di gioco (un milione di partite con mille turni ciascuna) ottenendo così la probabilità di concludere il turno di un giocatore per ogni casella; si sfrutta così la Legge dei Grandi Numeri per ottenere una frequenza sufficientemente realistica dei passaggi sulle caselle. Da questa impostazione si può notare che sulla casella «In prigione!» si avrà lo 0% di possibilità di terminare il turno, perché arrivando lì si finirà appunto in prigione, dall’altro lato del tabellone di gioco. E saranno proprio le caselle successive la prigione ad essere quelle più frequentemente visitate durante il gioco, visto che questo evento è collegato a più possibilità nel gioco (probabilità ed imprevisti, triplo dado doppio, casella «In prigione!»), assumendo così un valore strategico più elevato per investimenti di lungo periodo. In termini di probabilità, sono riportati i sette terreni più e meno frequenti, escludendo quindi le caselle non ottenibili come «Tassa patrimoniale» o gli «Imprevisti».

Questi risultati possono essere replicati eseguendo il codice commentato⁴, facendo attenzione al numero di simulazioni che sono lanciate perché possono impiegare molto tempo ad essere terminate. Come previsto, i terreni del lato Ovest e Nord sono quelli con frequenze di sosta più elevate, e quindi che possono garantire rendite pagate più frequentemente dai propri competitors. È interessante notare che il tanto desiderato «Parco della Vittoria» non è da preferire alla «Società Acqua Potabile» (che nelle nuove edizioni italiane si chiama «Fontane» forse per citare una famosa scena di Totò), ma sicuramente rimarrà il terreno di riferimento per l’alta società ludica – vuoi mettere avere un albergo a Parco della Vittoria? – oltre che rimanere un sinonimo di lusso in tutto il mondo (come Mayfair in UK e Broadwalk in USA).

Alen Salatiello GM SF Club Network

Fonti 1. http://standupmaths.com/ 2. http://www.hannahfry.co.uk/ 3. https://youtu.be/ubQXz5RBBtU 4. https://bit.ly/funcode0101

QUI INSERIREI IL CODICE VERO E PROPRIO PIUTTOSTO CHE LO SCREENSHOT!

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Il divorzio [FOCUS]

Nel febbraio del 1981 avvenne quello che passò alle cronache come il “divorzio” tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia. Molte parole e molte bufale sono state spese sull’argomento, ragion per cui si cercherà di fare chiarezza su un tema tanto dibattuto quanto erroneamente percepito dall’opinione pubblica. Per fare ciò, è bene prima di tutto inquadrare il contesto economico dell’epoca.

All’inizio degli anni 80 l’Italia aveva un’inflazione del 19,55% (si pensi che oggi è dello 0,49%) e gli italiani si vedevano eroso gran parte del proprio potere di acquisto a causa dell’aumento incessante dei prezzi e della conseguente svalutazione della Lira. Un’inflazione così alta, a lungo andare, avrebbe avuto effetti deleteri sull’economia del paese, rischiando di fare entrare il sistema in una spirale inflazionistica. Ma facciamo un passo indietro fino al 1975, l’anno in cui (ufficiosamente) Tesoro e Banca d’Italia stipularono un accordo con il quale la seconda si impegnava ad acquistare i titoli di stato non collocati alle aste del Tesoro. Questo significa che era il Tesoro stesso a fissare il tasso di interesse dei titoli di stato e non gli investitori, e quindi il mercato. Per fare un breve esempio, supponiamo che il Tesoro avesse la necessità di collocare sul mercato BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) per 1000 miliardi di Lire ad un tasso del 9%. Supponiamo che le banche e gli investitori, per quel prezzo, erano disposti a comprarne solo 600 miliardi e per i restanti avrebbero chiesto un interesse più alto. In tal caso, il Tesoro non avrebbe avuto bisogno di aumentare il tasso di interesse (che avrebbe voluto dire una maggior spesa per lo stato), mentre la Banca d’Italia avrebbe acquistato la parte di titoli non collocata al 9% stampando nuova moneta. Capite come questo meccanismo era conveniente per il Tesoro ma dannoso per l’economia a causa dell’inflazione generata dalla continua stampa di moneta.

Questo accordo non era sancito da nessuna legge, era una prassi che durò fino al 1981 quando Carlo Azeglio Ciampi, ai tempi governatore della Banca d’Italia e Beniamino Andreatta, l’allora ministro del Tesoro, decisero tramite uno scambio di lettere di porre fine al “sodalizio”. Si parlò di divorzio perché, da quel momento in poi, la gestione della politica monetaria inizio gradualmente ad essere determinata non più dal Tesoro ma dalla Banca d’Italia. Nonostante ciò, le operazioni di acquisto di titoli residui da parte della Banca d’Italia non cessarono all’improvviso ma proseguirono fino al 1994.

Il divorzio rappresentò un forte segnale per i mercati. Significava che da quel momento in poi la Banca d’Italia non sarebbe più stata il “portafoglio della politica” ma, potendo gestire i tassi di interesse, li avrebbe manovrati in modo da abbattere l’inflazione e mantenere i prezzi stabili. Per frenare l’inflazione, infatti, è necessario stampare meno moneta facendo aumentare i tassi di interesse. Tuttavia, fino al 1981 tutto ciò non era possibile perché la Banca d’Italia doveva finanziare il deficit pubblico (causato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale) a tassi relativamente bassi e quindi stampando continuamente moneta. Ai tempi, gran parte del deficit pubblico era coperto dalle massicce operazioni di acquisto di titoli di stato da parte della Banca d’Italia. Il prezzo da pagare per indebitarsi a tassi bassi era quindi inflazionare l’economia e proprio l’inflazione era lo strumento mediante il quale lo Stato riusciva a tenere a bada il crescente debito. Infatti, i tassi di interesse reali resi negativi dall’inflazione (si ricordi l’equazione di Fisher in cui l’interesse reale è pari all’interesse nominale al netto dell’inflazione) erodevano il potere d’acquisto dei titoli di stato in circolazione e di conseguenza il valore nominale del debito pubblico.

Questo scontentava non solo gli investitori e le banche che detenevano titoli di stato, ma anche le famiglie che dovevano pagare a caro prezzo l’elevatissima inflazione. Di conseguenza il divorzio si rivelò necessario per stabilizzare il sistema economico ed evitare un ulteriore rincaro della vita. Inoltre, il divorzio non solo fu necessario per stabilizzare i prezzi, ma anche per dare credibilità alla Banca d’Italia. Da quel momento in poi i governi non avrebbero più potuto usare la politica monetaria per fini elettorali e per sovvenzionare spese poco lungimiranti e di dubbia efficacia. La separazione ha portato i suoi benefici vedendo il livello di inflazione passare dal 19,55% del 1980 al 9,37% del 1984, continuando la sua discesa negli anni successivi.

In molti, a distanza di quaranta anni, continuano a vedere il divorzio come causa principale della crescita del debito pubblico e dei problemi strutturali della nostra economia. Tuttavia, quanto accaduto ha reso possibile la stabilizzazione dei prezzi e, insieme all’ingresso nel 1979 dell’Italia nello SME (Sistema Monetario Europeo), ha limitato la svalutazione della vecchia Lira. È bene ricordare che anche ad oggi, l’unico obiettivo della Banca Centrale Europea è la stabilità dei prezzi e quindi il controllo dell’inflazione.

Giacomo Maini SFC Cattolica

www.istat.it https://www.bancaditalia.it/

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