Il programma di acquisti mensili di titoli noto come Quantitative Easing, avviato dalla Bce nel 2015 al fine di stimolare la ripresa economica, è risultato efficace, tanto che ne è stato stabilito un termine entro settembre 2018. Nonostante i segnali positivi ricevuti da questa misura non convenzionale, il presidente della Bce Mario Draghi invita comunque alla cautela, affermando che «per chiudere il Qe occorre che ci sia una condizione chiara: dobbiamo vedere una correzione sostenibile nel percorso dell’inflazione verso il nostro obiettivo, ossia vicino al 2%». In poche parole non è escluso che gli acquisti possano protrarsi anche dopo la data indicata inizialmente qualora il livello desiderato del tasso di inflazione non si rivelasse sostenibile nel medio periodo. Perciò non è possibile cantare vittoria: se la deflazione, concreto nemico degli ultimi anni, è ormai sconfitta, le previsioni riguardo l’inflazione raccontano una realtà non ancora soddisfacente, con l’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (HICP) stimato all’1,4% per il biennio 2018-2019 e all’1,7% per il 2020.
Attualmente la Bce acquista titoli per un ammontare di 30 miliardi al mese e ha già annunciato che continuerà ad alimentare la spinta inflazionistica reinvestendo i proventi dei bond giunti a scadenza; inoltre ha mantenuto il tasso principale allo 0% e quello sui depositi a -0,4%. La strada perseguita è chiara e la Bce non ha nessuna intenzione di abbandonarla: incentivare le banche ad erogare prestiti a famiglie ed imprese in modo da accrescere la domanda per beni e servizi e, di conseguenza, i prezzi.
Questa politica accomodante ha fornito liquidità al sistema economico e ha contribuito ad uscire dalla situazione di recessione che ha caratterizzato l’Europa post crisi: infatti le aspettative di crescita sono al rialzo e i dati sulla disoccupazione mostrano che dal 2013 sono stati recuperati 7,5 milioni di posti di lavoro, sebbene si sia registrato un aumento dei contratti a termine. A tal proposito, Draghi si attende che la disoccupazione scenderà al 7,2% entro il 2020.
La conclusione del Quantitative Easing: quali conseguenze?
Se i tassi resteranno invariati ancora per molto tempo, il piano di allentamento monetario è destinato a concludersi entro fine anno. Resta da chiedersi quali scenari potrebbero manifestarsi quando la Bce fermerà il Quantitative Easing.
Il primo elemento da considerare è il livello dei prezzi: la manovra espansiva ancora in corso, realizzata attraverso l’emissione di nuova moneta, continuerà a produrre i suoi effetti determinando un aumento dell’inflazione nel medio periodo e la sua interruzione sarà necessaria per stabilizzare la crescita dei prezzi. Un impulso monetario così forte, infatti, non gioverebbe al sistema economico se durasse troppo a lungo; va aggiunto che tale strategia non sarebbe neanche giustificata, dato che la ripresa è tangibile.
Da seguire sarà anche la dinamica del tasso di cambio euro/dollaro: nell’ultimo anno si è assistito ad un progressivo rafforzamento dell’euro che indica una ripristinata fiducia da parte degli operatori nei confronti della moneta unica; l’evoluzione dipenderà in parte dal modo in cui i mercati percepiranno il taglio del Quantitative Easing. La stretta monetaria, nel lungo termine, dovrebbe rendere ancora più forte la valuta europea, ma se le prospettive di crescita e di inflazione dovessero essere deluse potrebbe verificarsi la situazione opposta: proprio negli ultimi giorni l’euro è sceso anche a causa di una revisione al ribasso delle stime di inflazione.
Un ulteriore aspetto riguarda il tasso di rendimento dei titoli di Stato e delle obbligazioni: la fine del Qe provocherebbe una riduzione della domanda di tali asset e quindi del loro prezzo, determinando un aumento del loro rendimento. Se consideriamo che la Bce ha acquistato titoli del debito pubblico di diversi Stati, si potrebbero osservare le conseguenze sullo spread, soprattutto in quei Paesi che crescono ad una velocità inferiore rispetto alla media europea, come l’Italia.
Altri fattori da considerare
Tuttavia, nel breve periodo, queste variabili macroeconomiche potrebbero essere influenzate da fattori di altra natura: ad esempio, il tasso di cambio euro/dollaro può risentire della decisione di Trump di imporre dazi su acciaio e alluminio, l’inflazione può aumentare o diminuire a seguito di variazioni del prezzo del petrolio e così via; sicuramente, però, un ruolo importante sarà giocato dalla fiducia che i mercati riporranno sulla tenuta e sulla stabilità dell’Europa dopo il Quantitative Easing. C’è ancora molto lavoro da fare ma il dato è evidente: l’Europa è ripartita e lo ha fatto grazie al bazooka di Mario Draghi. E, per una volta, possiamo dire con fierezza di essere italiani.
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