Molto spesso si sente parlare di “scommesse rischiose” non appena la conversazione vira sui mercati finanziari e sugli investimenti in strumenti finanziari. Nell’ottica del piccolo risparmiatore questo genere di investimento risulta essere fuori dalla propria portata, complici la parziale perdita di fiducia nei confronti del settore finanziario a causa delle vicende bancarie degli ultimi anni, la crisi finanziaria e la mancanza di cultura finanziaria che porta ad una generalizzazione del tema in questione. Tra i falsi miti “all’italiana” spicca in particolare quello secondo cui, per dormire sonni tranquilli, il miglior modo sia tenere i propri risparmi “sotto il materasso”. Nell’immaginario collettivo il deposito bancario o postale viene visto come quel porto sicuro che permette di conservare i propri risparmi senza esporsi ad alcun rischio. Oltre, la il buio. Ciò che spesso si tralascia è che il conto corrente comporta dei costi, non solo per interessi e commissioni, ma anche inflazionistici. Non a caso il saldo annuo di 7 conti su 8 risulta negativo. Allora quali alternative considerare? E come farlo?
Secondo il rapporto annuale della Consob del 2017 il 45% delle famiglie italiane detiene uno o più strumenti finanziari, che siano fondi comuni, azioni o obbligazioni bancarie. Tuttavia questo aspetto del comportamento finanziario degli italiani non ha una correlazione positiva con una solida cultura finanziaria sottostante. Lo stesso rapporto evidenzia come spesso si faccia ricorso ad una gestione del portafoglio self-made basata su consigli di conoscenti o su proprie intuizioni piuttosto che su una consulenza specializzata. Anche in questo caso la mancanza di un’adeguata cultura finanziaria potrebbe rilevarsi il peggior nemico. Chiaramente ciò non esclude la possibilità di gestire autonomamente il proprio risparmio, ma rende necessaria la preliminare ricerca di un adeguato set informativo. Nel caso in cui invece si necessiti di una consulenza specializzata il risparmiatore ha varie possibilità: delegare alle cosiddette SIM (Società di Intermediazione Mobiliare), recarsi presso uno sportello bancario per affidarsi ad un consulente o scegliere un broker indipendente. Quindi, dati alla mano, se da un lato la percentuale di risparmiatori che investono attivamente sui mercati risulta discreta, dall’altro si evince un’autonomia gestionale più apparente che effettiva, basata su un’eccessiva deresponsabilizzazione che grava sull’efficienza degli investimenti.
A questo punto il passo fondamentale per acquisire consapevolezza in merito è chiedersi quale siano gli investimenti più adatti alle proprie esigenze e come gestire il portafoglio. Per farlo è necessario analizzare le diverse tipologie di strumenti in modo da sdoganare i falsi miti popolari in materia di rischiosità e sicurezza. La forma più semplice per investire in borsa, apparentemente, è quella di acquistare azioni. In questo modo si riceve l’eventuale dividendo e si ha la possibilità di guadagnare rivendendo il titolo nel futuro, qualora il prezzo salga. Ma che cosa succede se il prezzo scende? Si perde, inesorabilmente. Da qui l’importanza di scegliere le società in cui investire e per farlo occorre saper interpretare adeguatamente gli indicatori borsistici e societari di riferimento. Anche se si tratta dello strumento più diffuso e conosciuto ciò non implica che sia anche il più sicuro poiché sottende l’assunzione di tutti rischi cui è esposta la società stessa, tra cui in particolare l’assenza di garanzie di recupero del capitale in caso di fallimento, cosa che non grava invece sugli obbligazionisti e sui depositanti. Al contrario, un investimento adeguato a chi ha un piccolo capitale a disposizione è rappresentato dagli strumenti derivati. Il nome può spaventare in quanto si tratta di contratti innovativi e di scarsa diffusione tra gli operatori individuali, tuttavia, pessima fama mediatica a parte, sono strumenti estremamente flessibili, capaci di far guadagnare sia quando il mercato va giù e sia quando il mercato va su prevedendo in maniera opportuna il trend.
Questo dimostra che, in ogni caso, sia che si decida di essere investitori autonomi, sia che ci si affidi ad un servizio di consulenza, lo sviluppo di un’adeguata cultura finanziaria è diventato ormai obbligatorio per tutti ed oltre ad essere una presa di coscienza sul piano individuale, dovrebbe ricevere una forte implementazione da parte delle istituzioni pubbliche (anche partendo dall’originaria formazione scolastica che attualmente esula quasi del tutto dalla materia in questione) e dagli stessi intermediari, in modo da far passare il messaggio che questo tipo di conoscenza sia entrata a far parte ormai da tempo della cultura sociale e nazionale e che quindi non sia riservata soltanto agli esperti del settore.
Cherubini Roberta