L’uscita degli USA dall’Iran deal, ratificato dal predecessore di Trump, Barack Obama nel 2015, rischia di coinvolgere l’Organizzazione dei Paesi esportatori di Petrolio, organo internazionale che influenza le politiche riguardanti la produzione regolamentando il settore. In questo scenario di instabilità divergono molto la linea dell’Arabia Saudita, che propone il congelamento della produzione petrolifera, e quella dell’Iran, che vorrebbe far ripartire l’estrazione per far diminuire i prezzi del greggio. Per i sauditi il congelamento della produzione, in cui trova l’appoggio di Mosca, ha come target la risalita del prezzo del Petrolio, fondamentale per uscire dal pantano dei prezzi bassi in cui si trova l’oro nero dalla precedente crisi energetica avutasi tra il 2014 ed il 2016 che ancora oggi resta preoccupante.
La linea dell’Arabia Saudita
La strategia energetica saudita fa parte dei piani di riforma dell’economia del paese legata alla Saudi Vision 2030, enorme progetto di riforme ideato dal giovane Principe ereditario del regno Sa’ud Mohammed Bin Salman, che punta a rinnovare l’apparato socio-economico del Paese. Nella strategia di Riad, il congelamento della produzione del Petrolio serve per rendere meno dipendente le casse statali dal commercio di greggio. Nel piano si inserisce inoltre la vendita di una piccola parte, circa il 5%, delle quote azionarie del colosso statale saudita Saudi Aramco, che nel 2017 ha registrato un fatturato di circa 33,8 miliardi di dollari. La privatizzazione del 5% della Aramco, tuttavia, avverrà solamente quando il prezzo di mercato del greggio sarà tra gli 80$ ed i 100$ al barile.
La linea dell’Iran
Per Teheran, invece, una politica petrolifera che porti ad un aumento del prezzo del greggio significherebbe il crollo della loro produzione, che si poggia sui prezzi bassi del greggio. Inoltre, con l’uscita di Washington dall’Accordo sul Nucleare Iraniano, avvenuta martedì 9 maggio 2018, e la conseguente instabilità geopolitica della zona mediorientale c’è il rischio di far cessare anche gli investimenti internazionali nella Repubblica Islamica.
Nel solo 2017 la produzione petrolifera di Teheran aveva raggiunto i 2,6 milioni di barili al giorno, da vendere sia nei mercati asiatici sia in quelli europei. Cina, India, Corea del Sud e Giappone importano il 60% delle esportazioni di petrolio iraniane. Le maggiori compagnie petrolifere europee, come la francese Total, l’Italiana ENI e la Anglo-olandese Shell sono ritornate nel Paese per investire nel settore energetico. Tuttavia oggi molte aziende temono ritorsioni da parte della Amministrazione americana di Donald trump, che ha minacciato di imporre sanzioni agli stessi stati dell’Europa se questi continueranno a mantenere rapporti commerciali con Teheran.
Le difficoltà di Teheran
La produzione iraniana nei primi mesi del 2018 si è mantenuta sui 3,85 milioni di barili al giorno, molto sotto le stime che il ministero del petrolio iraniano aveva pubblicato. Il governo iraniano ha molto chiaro quali saranno le difficoltà economiche che le sanzioni statunitensi porteranno all’apparato economico del Paese. Per questa ragione Teheran si sta riorganizzando per una contro-offensiva diplomatica. Il Paese può contare anche sul supporto dell’Europa, che vuole mantenere i rapporti commerciali con l’Iran e preservare l’accordo sul nucleare.