Il panorama dell’industria del risparmio gestito è molto ampio e le variabili che entrano in gioco quando si tratta di investire in un prodotto di risparmio gestito sono molte. Una delle prime distinzioni da fare è quella fra una gestione di tipo attivo o una passiva.
Gestione passiva
La gestione passiva è la strategia di gestione del portafoglio caratterizzata dalla finalità di conseguire un ben definito rendimento obiettivo o un rendimento minimo obiettivo, attenendosi a precise regole. Tale obiettivo di rendimento può essere definito in termini assoluti, indicando un valore di riferimento che si vuole raggiungere, oppure in termini relativi, prefiggendosi l’obiettivo di ottenere il medesimo rendimento di un certo indice azionario. Con particolare riferimento a quest’ultima tipologia, si tratta di attuare una strategia di benchmarking: se il gestore ritiene che il mercato sia così efficiente che sia impossibile “batterlo” sistematicamente, allora opterà per seguire l’andamento di un indice, il benchmark appunto, replicandolo fisicamente, ovvero comprando gli stessi titoli che lo compongono nelle stesse proporzioni. Si ottengono così i due prodotti principali di gestione passiva:
• Index Fund: organismi collettivi del risparmio che dichiarano nel prospetto informativo di voler replicare passivamente un certo indice benchmark. Di conseguenza, non dovendo sopportate i costi di ricerca e analisi del mercato, assicurano commissioni molto più basse rispetto ai fondi attivi. Tuttavia, il prezzo delle quote di questi prodotti non è pubblicato in modo continuo ma è noto solo a fine giornata: vi è dunque un divario temporale fra la richiesta di acquisto o riscatto delle quote e il prezzo a cui effettivamente si compreranno o venderanno le stesse.
• ETF (Exchange Traded Funds): gli ETF superano quest’ultimo problema degli index fund poiché le loro quote sono negoziabili in modo continuo in un mercato regolamentato, l’ETFplus per Borsa Italiana. Come gli index fund, anche gli ETF sono legati a un indice benchmark e ne replicano fisicamente l’andamento, permettendo all’investitore di avere un portafoglio ben diversificato acquistando anche una sola quota di ETF. Infine, benché anche gli ETF garantiscano un notevole risparmio commissionale, richiedendo in media lo 0,4% annuo, vi sono alcune accortezze da tenere a mente: sugli ETF grava uno spread bid-ask, ovvero si acquista e si vende a due prezzi diversi per via della presenza di dealer market-maker nel mercato di questi strumenti, che incide sulla performance complessiva dell’investimento.
Gestione attiva
La gestione attiva è la strategia di gestione del portafoglio che si pone l’obiettivo di massimizzare il rendimento di periodo, godendo di un’ampia libertà per raggiungere tale performance. Il presupposto è quello che il gestore, con la sua abilità nel selezionare le giuste asset class e prevedere i trend di mercato, sia in grado di ottenere un rendimento superiore a quello del mercato e dunque, indirettamente, di un fondo a gestione passiva. Coerentemente con questo obiettivo più ambizioso, l’investitore pagherà commissioni abbastanza elevate: i fondi azionari attivi in Italia richiedono mediamente l’1,9% di commissione di gestione, laddove potrebbe anche essere prevista una commissione aggiuntiva per premiare la performance del gestore. Distinguiamo fra i prodotti che hanno un obiettivo di rendimento in termini assoluti e in termini relativi:
• Fondi comuni flessibili: fondi comuni caratterizzati dall’obiettivo di conseguire un rendimento assoluto, ovvero il massimo possibile in un dato periodo, e dalla pressoché totale assenza di limiti per farlo. Questi fondi infatti non hanno vincoli in termini di scelta degli strumenti da acquistare, delle aree geografiche su cui concentrarsi e delle valute di denominazione degli strumenti nel loro portafoglio. Infine, non hanno neanche l’obbligo di indicare un benchmark di riferimento per confrontare la loro performance rispetto a un certo comparto del mercato.
• Fondi comuni attivi o semi-attivi: comprendono un’ampia gamma di prodotti di risparmio gestito, differenziandosi in fondi azionari, fondi obbligazionari o fondi bilanciati a seconda del tipo di strumenti in cui investono, oltre che indicare l’aerea geografica di riferimento. Di conseguenza questi fondi hanno un mandato limitato entro certi termini prestabiliti, soprattutto in merito all’esposizione al rischio che possono assumersi. Vi è inoltre l’obbligo di specificare un benchmark di riferimento, rispetto al quale il fondo intende ottenere una performance relativa: l’investitore potrà così facilmente valutare se il gestore del fondo ha battuto o meno il benchmark.
Come scegliere
Non c’è una risposta univoca nel chiedersi quale tipo di gestione sia da privilegiare. Se si ritiene che si possano individuare in modo oggettivo i migliori gestori attivi sul mercato supponendo, inoltre, che continueranno a dimostrarsi vincenti, allora bisogna optare per un fondo comune di investimento attivo. Le variabili da tenere in considerazioni sono fondamentalmente i costi di gestione, che abbiamo visto essere nettamente diversi fra i fondi passivi e quelli attivi, e la componente prettamente personale di propensione al rischio. Quest’ultime fondamentali componenti state ben evidenziate dalla nuova direttiva europea sui servizi di investimento, la MIFID 2, che assicura un processo molto più trasparente nell’individuare i costi dei vari prodotti finanziari e la propensione al rischio del singolo investitore, al fine di rendere il processo di scelta d’investimento più semplice e adeguato. Per saperne di più su quest’ultima direttiva, leggi il nostro articolo a riguardo.