L’approvazione del cosiddetto decreto dignità (che si pone come obiettivo anche il superamento del Jobs Act), uno dei primi atti del neonato governo M5s-Lega, dimostra quanto sia importante in sede politica il tema del lavoro. Esso, infatti, occupa sempre un ruolo centrale nel programma elettorale dei vari partiti. Il lavoro è in una posizione di rilievo non solo sotto un punto di vista politico, ma anche e soprattutto sotto quello economico: lavorare comporta produrre e guadagnare, quindi opportunità di risparmio e di consumo.
Insomma, sia idealmente sia praticamente, il lavoro è alla base di tutto. Oggi più che mai è quindi fondamentale analizzare nello specifico questo argomento: cerchiamo di capire brevemente che cos’è il lavoro in termini economici.
Chi domanda? Chi offre? A che prezzo?
Per definizione, il mercato è il luogo (fisico e non) dove vengono scambiati beni o servizi, ovvero quel luogo in cui domanda (il compratore o fruitore di servizi) e offerta (venditore o prestatore di servizi) si incontrano e viene effettuato lo scambio o la prestazione. Uno dei mercati più studiati dagli economisti è proprio il mercato del lavoro, i cui componenti si possono identificare come segue:
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il servizio che viene “scambiato” fra domanda e offerta consiste proprio nella prestazione lavorativa
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chi domanda lavoro è il datore di lavoro, ovvero il soggetto che necessita di quella determinata prestazione lavorativa
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chi offre lavoro è il prestatore di lavoro, quindi il lavoratore.
In qualsiasi tipo di mercato, l’incontro fra domanda e offerta (il cosiddetto equilibrio) determina il prezzo di quel determinato bene o servizio oggetto dello scambio. Nel mercato del lavoro il prezzo che viene determinato è proprio il salario.
Lavoro e occupazione: dal singolo all’insieme
Studiare il comportamento dei singoli soggetti che operano nel mercato del lavoro è indispensabile per poterlo analizzare poi a livello aggregato, ovvero considerando tutto l’insieme dei lavoratori, dei datori di lavoro e dei prezzi a cui vengono svolte le prestazioni. Facendo questo passaggio di tipo macroeconomico, possiamo fornire le definizioni di tasso di occupazione, tasso di disoccupazione e forza lavoro, concetti di cui si sente parlare quotidianamente.
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Forza lavoro: è la parte della popolazione in età da lavoro (dai 14-15 anni ai 65 anni), e comprende sia gli individui occupati sia quelli in cerca di un lavoro. Esclude quindi gli individui disoccupati che non sono alla ricerca di un impiego.
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Tasso di occupazione: è la parte degli individui inclusi nella forza lavoro che, in base alle rilevazioni statistiche (in Italia effettuate dall’ISTAT), risultano occupati in un determinato periodo come lavoratori dipendenti o autonomi.
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Tasso di disoccupazione: è quella parte degli individui inclusi nella forza lavoro che non sono occupati ma cercano attivamente un lavoro.
Come si può vedere non rientra in queste definizioni, a livello statistico, quella parte di popolazione in età lavorativa disoccupata e non alla ricerca di un’occupazione (poiché vi ha rinunciato o non ha intenzione di cercarlo).
L’arduo compito del legislatore nel mercato del lavoro
Adam Smith, il padre dell’economia moderna, sosteneva che il mercato in generale è regolato da un’unica legge, quella della concorrenza. In altre parole, secondo la teoria smithiana, gli interventi da parte del legislatore nel sistema economico tramite regolamentazioni sono esclusivamente dannosi, essendo i mercati, da soli, in grado di raggiungere uno stato di equilibrio e di efficienza.
Naturalmente, in quest’ottica, lo stesso ragionamento vale per il mercato del lavoro: secondo tale teoria, se non vi fossero leggi a regolamentare il mercato del lavoro non ci sarebbe comunque disoccupazione, perché la situazione di equilibrio che si verrebbe a creare lasciando il datore di lavoro e il lavoratore liberi di contrattare determinerebbe un salario tale da rendere impossibile la presenza di disoccupazione. Eppure, come si può vedere, esiste un vero e proprio labirinto legislativo riguardante il mercato del lavoro e la sua regolamentazione.
Molto deriva da fattori storico-sociali, anni e anni di battaglie portate avanti dai lavoratori in nome del riconoscimento di determinati diritti (come il diritto ad un salario minimo prestabilito per legge oppure quello di unirsi in associazioni di classe, ovvero i sindacati). Inoltre non bisogna trascurare il sempre più grande grado di mobilità e internazionalizzazione dei lavoratori, che, insieme a un’avanzante digitalizzazione, contribuisce a rendere il mercato del lavoro molto più competitivo su scala globale, in un mondo in cui la competizione non è più soltanto tra umani, ma anche fra umani e macchine.
Il legislatore odierno ha quindi fra le mani un compito molto complicato: riconoscere alcuni imprescindibili diritti dei lavoratori, non soffocare l’imprenditorialità dei datori di lavoro e garantire un giusto e sapiente progresso tecnologico.
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