McDonald’s è sicuramente una delle aziende più note e controverse che ci siano: i suoi due archi dorati svettano in oltre 120 Paesi e sono simbolo di una multinazionale fiorente e versatile, ma anche di cattive abitudini alimentari e dell’aspetto più predatorio della globalizzazione. Vi siete mai chiesti da dove derivi il successo della catena di hamburger e patatine più famosa del mondo?
Modello di business
McDonald’s è organizzata sui franchising, ovvero concede a privati l’ambita licenza di apertura di un ristorante della catena, in seguito ad una selezione durissima. L’investimento complessivo necessario all’apertura di un ristorante è di circa 800.000 euro, dei quali 200.000 devono essere di proprietà del candidato e la restante parte può essere ottenuta mediante finanziamento. Una volta verificata la disponibilità finanziaria del candidato franchisee, McDonald’s ne valuta severamente le competenze e gli aspetti personali e motivazionali, poiché i franchisee sono davvero al centro del modello di business dell’azienda, che punta a creare un solido rapporto di fiducia e sostegno con i suoi affiliati e i fornitori di materie prime. Inoltre viene data grandissima importanza alla formazione dei franchisee e del management, tanto che esistono ben sette Hamburger University nel mondo, ovvero i centri di addestramento dove l’azienda plasma i ristoratori perfetti; l’aspetto curioso è che l’accesso a questa università è più selettivo che ad Harvard e il tasso di occupazione a un anno dalla laurea è maggiore: il 99,9% dei laureati all’Hamburger University ha un’occupazione dopo un anno, contro il 90% dei laureati ad Harvard.
L’affiliato, una volta avviato il ristorante, dovrà corrispondere a McDonald’s l’affitto del locale, una royalty in percentuale sui profitti e un contributo al finanziamento della pubblicità nazionale.
Oltre all’intesa ferrea con i gestori dei suoi ristoranti, McDonald’s deve il suo successo a un’elevatissima standardizzazione e un’impeccabile efficienza: basti pensare che le patatine e gli hamburger devono avere esattamente le stesse dimensioni in tutto il mondo e i ristoranti un aspetto omogeno, così da far sentire il cliente “a casa propria” ovunque si trovi. Infine, McDonald’s ha sempre gestito sapientemente la campagna di comunicazione sin dalla nascita, creando un brand così forte da diventare l’emblema degli hamburger stessi.
Qualche numero
McDonald’s è la più grande azienda di ristorazione del mondo. Forte di un modello di business che abbiamo visto essere molto efficiente, l’azienda vanta una longevità e un successo veramente rari in un settore così poco innovativo e con un tasso di mortalità aziendale così alto. Per contestualizzare questa multinazionale in termini numerici, ecco qualche dato:
• 69 milioni: clienti serviti ogni giorno
• 37.000: ristoranti presenti in tutto il mondo, di cui l’85% sono in franchising
• 4,7 miliardi: utile netto
• 157,97$: il prezzo corrente di un’azione della McDonald’s Corporation, quotata sul NYSE
• 63: anni di vita dell’azienda, considerando come data di fondazione il 15 aprile 1955, quando Ray Kroc prese le redini della catena di ristoranti fondata dai fratelli McDonald nel 1940 e la trasformò gradualmente nel colosso che conosciamo oggi.
Critiche e controversie
McDonald’s è stata al centro di diverse critiche e accuse nel corso degli anni, essendo considerata un esempio emblematico degli effetti negativi della globalizzazione, intesa come sfruttamento delle risorse naturali e dei lavoratori, oltre che il simbolo di uno stile di vita poco sano. Le critiche mosse negli anni si possono così riassumere:
• Salute e obesità. I famosi hamburger e patatine dei due archi dorati non sono certo un toccasana e questo è stato platealmente mostrato nel noto film-documentario del 2004, Super Size Me. Il protagonista consumò tutti i pasti della giornata da McDonald’s per un mese: il risultato furono 11,1Kg guadagnati, un incremento del colesterolo e anche disagi psicologici. La risposta dell’azienda fu la quasi immediata eliminazione dell’opzione Super Size del menù e un maggior impegno nel proporre più alternative sane.
• Condizioni lavorative. L’azienda è anche tristemente associata al lavoro di basso livello e sottopagato, tanto che è stato coniato il termine “McJob”, che indica appunto quella categoria di occupazioni per le quali sono richieste competenze minime e che prevedono salari molto bassi nonchè nessuna prospettiva di carriera. Diversi sono stati i casi di denunce e scioperi dei dipendenti, che lamentano una paga oraria inferiore ai limiti di legge e delle pessime condizioni psicologiche sul posto di lavoro.
• Impegno ambientale. Negli anni non sono mancate le critiche in merito allo sfruttamento aggressivo e poco etico di materie prime animali e vegetali. L’azienda si è mostrata attenta a questo aspetto, anche in virtù della crescente considerazione degli aspetti ecologici ed etici da parte dei consumatori, e ha così cambiato i propri fornitori di chicchi di caffè e latte, optando per quelli che rispettavano determinati standard ambientali. Inoltre sono stati avviati progetti di produzione di energia sfruttando le biomasse prodotte dai ristoranti, nonché l’utilizzo di imballaggi organici in sostituzione della plastica.
Come visto, ci sono luci e ombre su questa grande azienda, ma sicuramente McDonald’s rappresenta un esempio lampante di come un brand possa diventare così forte da incarnare un prodotto, uno stile di vita e un intero fenomeno culturale e sociale. Tuttavia, riuscirà McDonald’s a mantenersi leader in un mondo sempre più attento alla salute e all’ambiente?