Pakistan, Sri Lanka, Tagikistan, Myanmar, Mongolia, Laos, e Gibuti sono alcuni dei paesi presi di mira dalla trappola del debito di Pechino. Questa consiste nell’obbligo di consegnare le infrastrutture pubbliche al governo cinese se non si rispettano le rate di pagamento dei prestiti elargiti. Questa manovra può essere considerata parte integrante del progetto “Nuova Via della Seta” (clicca qui per approfondire).
La Debt Diplomacy
Lo Sri Lanka
La prima vittima è stato lo Sri Lanka. Incapace di ripagare il debito contratto con Pechino, nel dicembre del 2017 ha dovuto cedere il controllo del porto di Hambantota, con un contratto di concessione valido per 99 anni.
Il Pakistan
Ad oggi anche il Pakistan è vicino alla stessa sorte dello Sri Lanka. Le relazioni del Paese con Pechino si concentrano sul cosiddetto corridoio infrastrutturale Cina-Pakistan, che termina nel porto di Gwadar. Il corridoio ha un costo di 62 miliardi di dollari ed esso, quando sarà terminato, consegnerà alla Cina un pass per rafforzare la sua influenza sul Paese dell’Asia Meridionale, già colpito da una pesante crisi economica. Il Pakistan finirà per essere tenuto sotto scacco continuo da un debito che non potrà mai ripagare.
Il Gibuti
In Gibuti, nel Corno d’Africa, dove Pechino ha installato la sua prima base navale fuori dai confini nazionali, la ferrovia che collega la capitale Etiope, Addis Abeba, con il Gibuti è finanziata dai cinesi. Lo Stato africano rappresenta una pedina chiave per la stabilità della regione. Il piccolo Paese, oltre a quella di Pechino, ospita basi di USA, Francia, Giappone, Arabia Saudita e Italia.
Il Myanmar cerca di prendere le distanze dalla Cina
Il Myanmar ha deciso di rivalutare un’opera cinese parte integrante del progetto “Nuova Via della Seta”. Si tratta del porto di Kyauk Pyu, situato sulla costa occidentale del Myanmar.
Ad inizio agosto del 2018 il viceministro delle Finanze birmano, Set Aung, ha comunicato che il governo del Myanmar stava negoziando con Pechino una rivalutazione dell’opera, scendendo dai 7, 3 miliardi di dollari iniziali a circa 1,3 miliardi. Per il governo birmano la cifra di 1,3 miliardi di dollari è di certo sostenibile e non lo porterà a cadere nella trappola del debito. Tuttavia, la società statale cinese CITIC group, che si occupa della realizzazione dell’opera, ha affermato che 1,3 miliardi di dollari basteranno solo per la fase iniziale del progetto.
La BRI in Europa
Le preoccupazioni riguardo l’imperialismo cinese vengono anche dai paesi dell’Europa centro-orientale. Nei Balcani la Cina ha progetti che coinvolgono la Serbia, l’Ungheria, il Montenegro e l’Italia, in particolare il porto di Trieste.
Nei palazzi dell’Unione Europea i Paesi membri hanno firmato, ad eccezione dell’Ungheria, una lettera in cui si denuncia la politica di Pechino. Nonostante ciò la Cina non si è fatta scoraggiare. Nonostante le resistenze dell’Europa, Pechino ha acquisito il porto del Pireo, in Grecia, e sta tentando di fare lo stesso con il porto di Trieste.