Non c’è soddisfazione maggiore per un consumatore che uscire il sabato pomeriggio a fare acquisti e trovare al primo colpo tutto ciò di cui ha bisogno, nei negozi del centro come al supermercato. Oggigiorno il mondo si muove talmente veloce che qualsiasi guadagno di tempo risulta prezioso quasi quanto i beni acquistati. È proprio per questo che preferiamo visitare negozi, o addirittura centri commerciali, dotati di un vasto assortimento, che siano in grado di soddisfare ogni nostra necessità in un unico luogo e nell’arco di poche ore.
Il lato dell’offerta, si sa, cerca sempre di assecondare la domanda, in questo caso ampliando il proprio assortimento per garantire anche ai consumatori più esigenti in termini di varietà di trovare ciò che stanno cercando. Tuttavia col tempo ci si è resi conto che assecondare la clientela non porta sempre al miglior risultato economico. In questo articolo parleremo del meccanismo che, in particolare per il business della grande distribuzione, ha portato ad un cambio di strategia negli ultimi 20 anni.
Aumento dei prodotti, aumento dei profitti?
Negli anni ‘80-’90 si pensava che la strategia migliore fosse di aumentare i beni in vendita, sia nel numero che nella varietà, per aumentare la probabilità che i consumatori trovassero il loro prodotto ideale, e dunque attrarre un maggior numero di consumatori. Ciò che veniva dato per scontato, ma che di fatto non si verificò, era l’automatica traduzione di un alto traffico nei negozi in un aumento dei profitti. Ulteriori analisi delle vendite hanno riportato che nella maggior parte dei casi, nonostante l’ampio assortimento dedicato ad ogni categoria, quasi il 90% dei profitti era generato grazie a solamente il 20% dei prodotti presenti in stock. Il restante 80% della merce esposta di fatto occupava solo spazio sulle mensole, senza contribuire ai ricavi degli store. Al contrario, causava inutili costi fissi aggiuntivi. La conclusione a cui arriviamo è che in questo caso assecondare i desideri dei consumatori non è affatto redditizio per i supermercati. Quali sono stati quindi i problemi di fondo che hanno messo i negozianti in difficoltà e quali le possibili soluzioni?
La difficoltà di prendere una decisione
Stando alla teoria microeconomica, per gli individui vale il principio di non sazietà: essi traggono sempre maggiore utilità da una maggiore varietà di beni. Il tentativo di applicare questo principio alla realtà non ha tuttavia portato ai risultati sperati; diversi studi, supportati da esperimenti sul campo, hanno infatti confermato il contrario: un maggiore assortimento rende più difficile effettuare una scelta, scoraggiando gli individui e portandoli a rimandare la decisione.
Inoltre, superata l’indecisione, la soddisfazione di aver acquistato un bene lascia subito spazio al rimpianto, dovuto al fatto che forse l’acquisto migliore non è quello che si ha tra le mani ma è rimasto sugli scaffali insieme alle altre numerose alternative.
Il più celebre esperimento a supporto di questo “paradosso della scelta” si è svolto negli USA, dove Sheena Iyengar e Mark Lepper hanno allestito in un supermercato un banchetto con assaggi di diverse tipologie di marmellata, esponendone 6 gusti in un primo periodo e 24 in un secondo periodo. Essi hanno potuto verificare che, sebbene il 60% dei visitatori del negozio si fosse fermato ad assaggiare le marmellate del banchetto con il maggiore assortimento, mentre solo il 40% si era fermato al banchetto con assortimento ridotto, è stato proprio quest’ultimo a generare la maggior parte delle vendite. Infatti, solo il 3% dei consumatori attratti dallo stand più variegato ha poi proceduto ad acquistare la marmellata, mentre il 30% di coloro che si era fermato al banchetto più povero ha effettivamente acquistato il prodotto.
Risultati simili sono stati ottenuti anche in un mercato ben diverso da quello dei beni di consumo, quello delle pensioni. In particolare lo studio si basava sulla scelta del piano pensionistico integrativo negli Stati Uniti. Potendo scegliere tra diversi fondi in cui investire è stato verificato che all’aumentare delle possibilità diminuiva il tasso di adesione ad un qualsiasi piano di investimento. Questo significa che le persone sono disposte a rinunciare ad un ritorno economico piuttosto che prendere una decisione difficile. In questo caso, un problema ben più rilevante rispetto alla scelta della marca di cereali da consumare a colazione.
Come migliorare il proprio assortimento?
Per raggiungere i propri obbiettivi di vendita è necessario che i supermercati si adattino alle richieste e alle esigenze dei propri visitatori. Stando a quanto detto fin ora, è possibile farlo rispettando il principio di economicità? La risposta è sì, e la soluzione risiede in quella che è la percezione dell’assortimento agli occhi degli agenti e nei fattori che la influenzano.
Un altro esperimento, questa volta sulla categoria dei popcorn, ha messo in evidenza come una riduzione del 25-30% delle tipologie di popcorn ad esclusione di quelle preferite dai consumatori non ne ha intaccato la soddisfazione ma ha anzi contribuito ad un aumento dell’apprezzamento, dovuto alla maggiore facilità di trovare la varietà prediletta sugli scaffali.
I dati sulle vendite sono coerenti con i risultati degli esperimenti: i consumatori dimostrano di preferire un’ampia gamma ma, quando si tratta di effettuare l’acquisto, la scelta ricade nella maggior parte dei casi sugli stessi prodotti. Di fatto, la soddisfazione dei clienti non è una funzione lineare del numero di prodotti offerti, ma dipende anche dalla presenza o meno dei prodotti da loro preferiti, ovvero quelli sui quali ricade più spesso la loro scelta.
In conclusione, individuare per ogni categoria le varietà preferite dai consumatori e mantenere in stock solamente i prodotti più popolari va a vantaggio di distributori e produttori, che affrontano costi minori senza intaccare la soddisfazione del cliente, ed è la chiave per una gestione ottimale dell’assortimento.