In linea generale il 2018 si è caratterizzato in luce negativa, soprattutto per quanto avvenuto negli ultimi sei mesi dell’anno: il FTSE MIB è tornato ai livelli del 2016, con una vera e propria emorragia di capitali in uscita da Piazza Affari; le perdite hanno travolto anche Wall Street, dove è stata registrata la peggior settimana dal 2011; quasi tutte le asset class d’investimento hanno portato dei ritorni negativi e per l’Italia le cose sono andate male anche sul fronte spread, triplicato rispetto ai minimi di fine aprile. Tuttavia c’è un settore per il quale i dati del 2018 sono in forte controtendenza: si tratta delle startup italiane. Un numero su tutti: ammontano a 522 milioni di euro gli investimenti in startup in Italia, una cifra record rispetto agli appena 140 milioni del 2017.
I dati presentati alla convention di dicembre di Startup Italia parlavano infatti di più di 520 milioni di euro raccolti da inizio anno e in particolare di 211 milioni raccolti solo negli ultimi due mesi. Un’altra stima realizzata dal Politecnico di Milano a novembre stimava 598 milioni di euro di investimenti in startup italiane nel periodo da settembre 2017 a inizio novembre 2018. Numeri impressionanti se si pensa che nel quinquennio 2012-2017 non è mai stata superata la soglia di 170 milioni di investimenti annuali, risultato che ci ha visto sul fondo di questa speciale classifica europea, dietro anche a Grecia e Portogallo.
Più nello specifico le aziende innovative del Belpaese hanno attratto 229 milioni di capitali esteri (+82% rispetto al 2017); di questi il 73% proviene dagli Stati Uniti e il 23% dall’Europa, all’interno della quale fa la voce grossa il Regno Unito, con il 71% dei capitali europei provenienti dalla patria della Regina Elisabetta. Triplicati i capitali raccolti tramite equity crowdfunding, quest’anno a quota 30 milioni di euro. Nel complesso, gli attori informali (portali di equity crowdfunding e business angels) hanno coperto il 26% della raccolta. In forte crescita sono stati, però, anche gli interventi degli operatori formali, che hanno raddoppiato gli investimenti, passando dai 107 milioni del 2017 ai 215 del 2018. In aumento, seppur contenuto, il corporate venture capital, strumento fondamentale per l’open innovation, l’exit dei fondi d’investimenti early stage e il successivo scale-up. Nel 2018 in Italia ammontano a circa 3500 le società con partecipazioni nelle startup innovative.
Il segno “più” riguarda tutti gli ambiti, compreso il taglio medio degli investimenti: 12 round nell’ordine delle decine di milioni di euro, con Prima.it che spicca, avendo chiuso un investimento da 100 milioni di euro, mentre le operazioni superiori al milione sono passate dal 42 al 46%. Quest’anno ha visto anche la nascita di numerosi fondi rivolti proprio al mondo dell’innovazione, delle piccole e medie imprese e delle startup italiane. In totale ammontano a 880 milioni di euro i capitali messi a disposizione da nuovi fondi nati all’interno dell’ecosistema italiano: 200 milioni arrivano da Indaco Ventures Partners Sgr (ne avevamo parlato in questo articolo), 120 milioni sono stati messi a disposizione da P101, il fondo con focus sul digital, altri 100 milioni disponibili grazie al fondo della famiglia Agnelli e 60 milioni annunciati dal Politecnico di Milano.
Il 2018 delle startup italiane era iniziato con la richiesta ufficiale, da parte degli operatori del settore, di un intervento pubblico volto a fornire quel capitale di fiducia carente nell’ecosistema italiano, che potesse fungere da catalizzatore di risorse anche per gli investitori privati. Una strategia analoga a quella della Francia, che ha superato tale scoglio con un massiccio intervento dello Stato, grazie al quale gli investimenti in startup sono volati verso i 3 miliardi annui. Ad agosto il ministro dello Sviluppo Economico Di Maio ha promesso di realizzare un’operazione del genere con il varo della manovra finanziaria. Dagli imprenditori veniva evidenziato, inoltre, come fosse necessario smettere di disperdere in mille rivoli le poche risorse disponibili, destinandole invece esclusivamente a quelle poche realtà meritevoli.
In effetti, le misure contenute all’interno della legge di bilancio, approvata in fretta e furia a fine anno dal Parlamento, sono state promosse a pieni voti da alcuni operatori del settore, come Startup Italia, perché buona parte delle proposte e dei suggerimenti sono stati recepiti. Di cosa si tratta nello specifico?
Il Ministero dello Sviluppo Economico a partire dal 2019 potrà investire anche direttamente nelle startup italiane innovative, e non più solo indirettamente attraverso il meccanismo dei fondi. Allo scopo sono stati stanziati 90 milioni di euro per il triennio 2019-2022 e altri 20 milioni per il periodo tra il 2022 e 2025. Queste risorse si vanno ad aggiungere ai 400 milioni del fondo di venture capital di Invitalia, che non ha mai veramente funzionato a causa di una governance pubblica troppo macchinosa. Per ovviare a tale problematica il controllo del fondo passerà probabilmente a Cassa Depositi e Prestiti (che ha già stanziato altri capitali per gli investimenti in innovazione) nel suo piano industriale 2019-2023 e gestirà così uno strumento ad hoc, strutturato nella forma di una società di gestione del risparmio.
Nella manovra è inoltre previsto che il 15% dei dividendi incassati dallo Stato dalle proprie partecipate sia destinato a contribuire al sopracitato fondo per le startup italiane. Considerando che nel 2017 tali dividendi sono stati pari a circa 2,5 miliardi, parliamo di circa 400 milioni all’anno da destinare all’innovazione. Sommando queste cifre a quelle citate precedentemente si arriverebbe, sulla carta, ad avere una dotazione superiore al miliardo di euro per il 2019. Viene anche leggermente modificata la normativa sui PIR, con l’obbligo di investire almeno il 3,5% degli stessi in venture capital. Nel 2017 questi strumenti avevano movimentato circa 11 miliardi, un valore che si dovrebbe leggermente ridurre nel 2018 a causa del crollo di Piazza Affari (ne avevamo parlato qui), ma che comunque porterebbe altri 350 milioni.
Sono state anche approvate alcune norme che favoriscano il corporate venture capital, l’exit dei primi fondi d’investimento e la crescita delle startup incubate attraverso lo scale-up, ovvero l’acquisizione da parte di altre aziende del settore. Le società che acquistano il 100% di startup innovative possono beneficiare di un’agevolazione fiscale fino al 50% del capitale investito, a condizione che le quote acquisite siano mantenute dalla stessa società per almeno tre anni. Più in generale, l’incentivo fiscale per chiunque investe nel capitale di rischio di startup innovative passa dal 30 al 40% (e una proposta di legge, depositata alla Camera dal deputato PD Mattia Mor, prevede addirittura una decontribuzione fiscale al 70%).
Nell’ambito del Piano Industria 4.0 varato dal precedente Governo, le agevolazioni sono state estese anche a quelle imprese che investono nei sistemi cloud e sono stati stanziati dei fondi per finanziamenti a fondo perduto (dall’importo massimo di 40 mila euro) a quelle piccole e medie imprese che assumono un manager dell’innovazione qualificato che le guidi nel processo di trasformazione digitale. Sono stati creati dei comitati di esperti che si occupino dell’introduzione e dell’utilizzo della blockchain e dell’artificial intelligence in Italia ed è stata allo stesso scopo stanziata la simbolica cifra di 45 milioni di euro in tre anni. Infine, senza dubbio molto utile per incentivare questo tipo di figure è stata la definizione formale dei business angels: si tratta di quegli investitori privati che acquistano quote di startup per almeno 40 mila euro in tre anni.
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