Qualche giorno fa è uscito nei cinema italiani l’ultimo film di Adam McKay, intitolato “Vice”, con Christian Bale nel ruolo del protagonista Dick Cheney. Il film parla della vita dell’ex vice-presidente nei due mandati di presidenza degli Stati Uniti di George W. Bush, che guidò la superpotenza mondiale negli anni caldi che vanno dall’attacco alle Torri Gemelle, nel 2001, allo scoppio della crisi dei mutui subprime, nel 2008 (ne abbiamo parlato in questo articolo). Dick Cheney in quegli anni rivoluzionò il ruolo del vicepresidente degli USA, trasformandolo da carica simbolica a vero e proprio uomo ombra del presidente, che gestiva dietro le quinte la politica estera, militare ed energetica statunitense. In generale, tutta la sua vita è stata caratterizzata dalla sua dote di saper gestire un grande potere sempre lontano dalla luce dei riflettori. Anche in Italia, nell’immediato secondo dopoguerra, operava un personaggio simile, una sorta di Ministro degli Esteri ombra, che agiva fuori dalle linee e fu fermato solo da un incidente aereo, avvenuto in circostanze sospette, che ne causò la morte, quando era diventato uno degli uomini più potenti d’Italia. Stiamo parlando di Enrico Mattei, il fondatore dell’ENI.
Chi era Enrico Mattei?
Mattei iniziò ad affermarsi pubblicamente negli anni bui della guerra civile in Italia, che seguì l’armistizio dell’8 settembre 1943. In quel periodo fu comandante partigiano: operò prima nella sua terra natia, le Marche, poi si spostò nel Nord Italia occupato dai nazisti e dalla Repubblica Sociale Italiana. Il futuro fondatore dell’ENI non era certamente un combattente: faceva parte delle formazioni partigiane “bianche” (quelle di estrazione cattolico-popolare, che facevano riferimento alla Democrazia Cristiana, DC) ed era incaricato di curare l’organizzazione e il coordinamento tra l’organo centrale (il Comitato di Liberazione Nazionale, CLN) e le singole brigate partigiane sparse sulle Alpi. In particolare, si occupava di far arrivare a queste ultime i soldi e gli armamenti necessari per combattere. Nonostante questo ruolo non di prima linea, il 25 aprile 1945 sfilò nella Milano liberata al fianco di comandanti partigiani di primo livello come Ferruccio Parri e Luigi Longo.
Soltanto tre giorni dopo, il 28 aprile 1945, Enrico Mattei fu nominato dal CLN per l’Alta Italia commissario straordinario di AGIP, l’azienda di Stato che si occupava di ogni attività relativa all’industria e al commercio dei prodotti petroliferi, con l’incarico di procedere alla liquidazione della stessa e alla cessione di tutte le sue attività ai privati. Le ragioni alla base della decisione di seguire la strada della liquidazione erano prettamente politiche: innanzitutto AGIP era un’azienda fondata dal regime fascista, che aveva continuato ad operare anche durante gli anni della Repubblica Sociale, guidata da ingegneri iscritti al Partito Nazionale Fascista e per questo malvista alla fine della guerra; in secondo luogo, l’allora Ministro del Tesoro, Marcello Soleri, era un liberista classico persuaso che il rilancio e lo sviluppo economico del Paese dovessero essere affidati solo al libero mercato, e pertanto era determinato a chiudere e smantellare un ente di monopolio pubblico come l’AGIP; infine, forti spinte alla liquidazione e alla vendita provenivano anche dall’amministrazione americana, che vedeva nella compagnia italiana un potenziale pericoloso concorrente alle proprie aziende petrolifere, che all’epoca dominavano incontrastate il mercato grazie a un cartello tra quelle che poi furono denominate dallo stesso Mattei “le sette sorelle”.
Da commissario straordinario di AGIP a presidente ENI
Il manager marchigiano, però, disattese il mandato e, convinto che la gestione diretta delle fonti energetiche fosse necessaria per un Paese alle prese con la ricostruzione postbellica, diede il via alla rinascita dell’ente pubblico dell’energia. Richiamò i tecnici che avevano fatto parte dell’AGIP durante il periodo fascista e riprese le ricerche e le esplorazioni. Per superare gli ostacoli burocratici trasgredì a molte ordinanze e sopperì alla mancanza di fondi garantendo i finanziamenti con le sue proprietà. La sua tenacia fu premiata e nel 1946 arrivò il primo significativo risultato: a Caviaga, in provincia di Lodi, venne scoperto un importante giacimento di metano.
Tale avvenimento, comunque, non fu frutto del caso. L’amministratore di AGIP, infatti, aveva intuito che nel territorio della Pianura Padana c’era molta ricchezza energetica, perché quando aveva aperto le trattative per la vendita di alcuni appezzamenti di terreno ivi collocati aveva ricevuto numerose offerte da parte di alcune compagnie americane, nell’ordine di diverse centinaia di milioni di lire (una cifra molto ragguardevole all’epoca). Di conseguenza si insospettì e, convintosi delle potenzialità di quei terreni, decise di fermare la vendita e vi iniziò le ricerche. Il giacimento di metano di Caviaga fu poi collegato, attraverso una rete capillare, con tutte le industrie del Nord Italia.
Così, anche grazie alla disponibilità di energia a buon mercato (negli anni del boom economico in Italia il prezzo della benzina era il più basso d’Europa), l’operato di Enrico Mattei contribuì sostanzialmente allo sviluppo industriale italiano. Lui stesso in un’intervista di quegli anni affermò: «Abbiamo creato un patrimonio che oggi vale centinaia di miliardi ed è frutto del nostro lavoro; non abbiamo mai chiesto denari ai contribuenti, ma abbiamo creato un patrimonio che appartiene a tutti loro, di cui cioè sono azionisti 50 milioni di italiani». Nel 1954 nacque l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) e Mattei, che era tra i fondatori, ne divenne presidente. Fu da quella carica dirigenziale, ma non politica, che il presidente dell’ENI si contraddistinse per una sorta di politica estera parallela a quella ufficiale del Governo. Operò sempre sotto la sigla della compagnia petrolifera nazionale, ma in nome e per conto di tutto il Paese.
Il Mattei “Ministro degli Esteri”
L’approccio di Mattei rispetto allo status quo nel mercato petrolifero fu rivoluzionario. Andò a trattare direttamente con i Capi di Stato e di Governo dei Paesi produttori e, pur di avere con loro un rapporto diretto e non mediato dai colossi dell’industria petrolifera, offrì delle condizioni estremamente vantaggiose. Garantì ai Paesi produttori un ruolo più significativo nella produzione (seguì la politica del 50%), ma si accollò interamente le eventuali perdite derivanti da un fallimento nelle trivellazioni. A metà degli anni ’50 viaggiò molto tra le ex colonie europee in Medio Oriente e in Africa; nel 1957 concluse il primo accordo direttamente con lo Scià di Persia (l’attuale Iran), a cui ne seguirono numerosi altri con Marocco, Libia, Sudan, Tunisia, Nigeria, Ghana ed Egitto.
Nell’autunno 1960, nel pieno della Guerra Fredda, firmò un accordo per la fornitura di greggio anche con l’Unione Sovietica. Questo fatto gli valse forti critiche soprattutto da parte americana, e fu definito «un traditore che metteva a repentaglio la sicurezza della NATO e del mondo occidentale». Nonostante ciò, il presidente dell’ENI non si fece intimidire, rivendicando di operare esclusivamente nell’interesse dello sviluppo economico italiano. Successivamente arrivò a schierarsi apertamente dalla parte del popolo algerino, che era in lotta contro la Francia per ottenere l’indipendenza. Infatti, al fine di poter trattare le concessioni sul petrolio del Sahara direttamente con il Governo di un’Algeria libera e indipendente, fu tra i più grandi finanziatori del Fronte di Liberazione algerino, che combatteva in quegli anni una sanguinosissima guerra contro l’esercito francese.
Le affinità politiche
Enrico Mattei fu molto attivo anche sul fronte politico interno, appoggiandosi, per raggiungere i suoi scopi, a differenti partiti politici. A un giornalista che lo accusava di aver finanziato anche il Movimento Sociale Italiano, al cui interno militavano molti nostalgici fascisti, che lui stesso aveva duramente combattuto durante la Resistenza, rispose: «Sì, è vero, ma io mi servo di loro (dei politici, ndr) come mi servirei di un taxi: salgo, faccio la corsa, guardo il tassametro, scendo e pago».
Anche se in ambito lavorativo non si faceva problemi a trattare con nessuno, era comunque iscritto alla Democrazia Cristiana e faceva riferimento all’area di sinistra del partito, in particolare al più volte segretario del partito, Presidente del consiglio e Presidente del Senato, Amintore Fanfani. Un fratello di Mattei ha raccontato che quando Fanfani, a nome del Governo italiano e del Presidente USA Kennedy, fece pressioni sul manager marchigiano affinché facesse saltare l’accordo con l’URSS, quest’ultimo gli rispose freddamente: «Se insisti smetto di appoggiarti e da questo momento in poi appoggio Aldo Moro».
Il suo grande attivismo interno ed estero di quegli anni gli valse non poche inimicizie; tutto ciò contribuisce a gettare una significativa ombra sulla sua morte, avvenuta il 27 ottobre 1962, a seguito di un misterioso incidente aereo. Il velivolo su cui viaggiava insieme al pilota e a un giornalista americano precipitò quando era ormai a pochi minuti dall’atterraggio. I frammenti sparsi in un largo raggio fecero pensare a un’esplosione; un testimone oculare affermò di aver visto l’aereo incendiarsi quando era ancora in volo, ma poi ritrattò la sua versione al processo e nessuna ipotesi trovò un riscontro certo nelle indagini di polizia, che furono riaperte anche negli anni ’90, ma non portarono ugualmente ad alcuna evidenza probatoria.
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