Il terribile gelo invernale e la Xylella, batterio letale per le piante che ha invaso cinquemila chilometri quadrati e tre provincie della Puglia determinando lo sterminio di migliaia di ulivi secolari, hanno provocato un calo della produttività stimato del 58% per il più grande produttore d’olio italiano. Il dato allarmante è arrivato in occasione della giornata nazionale dell’extravergine italiano dalla Coldiretti Puglia, che calcola un danno di circa un miliardo di euro per gli olivicoltori pugliesi e una produzione in calo al minimo storico di 87 tonnellate.
Per rispondere alla domanda sempre crescente dell’oro pugliese, nel 2018 è stato importato olio extravergine da Grecia e Tunisia per un valore di oltre 40 milioni di euro. Il dato che fa riflettere riguarda le importazioni e le esportazioni: infatti, nonostante l’annata nera per gli agricoltori e la necessità di acquistare olio estero, nei primi sei mesi del 2018 si è registrato un aumento delle esportazioni del 2,1%, per un valore di 66 milioni di euro. Il dato riflette l’inclinazione dell’industria olearia pugliese a vendere l’olio D.O.P agli acquirenti esteri, destinandone una percentuale sempre minore al mercato nazionale, noncurante della qualità e dell’origine del prodotto e invece attento soprattutto al prezzo.
La tutela dell’olio Made in Italy
Gianni Cantele, presidente di Coldiretti Puglia, dichiara come la crescita delle importazioni possa aumentare il rischio di contraffazioni e consiglia di non acquistare olio venduto a meno di 7 euro per litro. Per tutelare sia le storiche aziende olearie sia gli acquirenti italiani, Coldiretti Puglia suggerisce l’aumento dei controlli per il pieno rispetto della legge n.9 del 2013, ribattezzata “Salva-olio italiano”, che impone la tracciabilità in etichetta dell’olio extravergine d’oliva e sollecita i lavori per il disegno di legge per i reati agroalimentari.
La Puglia, grazie ai suoi 60 milioni di ulivi – di cui circa 15 milioni ultracentenari – resta il motore dell’industria olearia italiana, fornendo più del 30% dell’olio prodotto nello Stivale. Difendere questo enorme patrimonio non significherebbe solo tutelare le aziende olearie ma tutto il Made in Italy, termine che non identifica solamente la provenienza del prodotto ma anche l’eccellenza dello stesso, assicurata da processi produttivi secolari consolidati nel mos maiorum del nostro Paese.
La contraffazione costa al Made in Italy circa 100 miliardi di euro l’anno, con un tasso di crescita del 70% negli ultimi dieci anni. A far esplodere tale industria è stata la fame dei prodotti simbolo del nostro Paese all’estero, resa palese dal moltiplicarsi di imitazioni low cost .
Gli accordi internazionali
A preoccupare è anche la nuova stagione degli accordi commerciali bilaterali inaugurata con il Canada (CETA): secondo i critici, il trattato internazionale legittimerebbe per la prima volta nella storia dell’Unione Europea la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’Asiago alla Fontina, dal Gorgonzola ai prosciutti di Parma e San Daniele.
Dopo il Canada, altri accordi stipulati con Messico, Singapore e Giappone hanno tutelato una parte minima dei prodotti agroalimentari italiani, ed imminenti sono gli accordi con i Paesi del Sud America dove la produzione tarocca è tra le più fiorenti al mondo.
«È inaccettabile che il settore agroalimentare sia trattato dall’Unione Europea come merce di scambio negli accordi internazionali, senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, che continua dichiarando che all’estero due prodotti su tre sono falsi e che le esportazioni di prodotti agroalimentari tricolori triplicherebbero se venisse eliminata la contraffazione alimentare internazionale.
Le parole di Moncalvo fanno riflettere, soprattutto in tempi di grande insicurezza economica. L’industria agroalimentare italiana non può resistere alla concorrenza estera, che risparmiando sulle qualità di materia prima, lavorazione e manodopera offre ai consumatori prodotti più convenienti. Obbligo delle istituzioni è difendere e salvaguardare il nostro patrimonio da chi vende sotto falso nome prodotti neanche lontanamente paragonabili agli originali.
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