Nei giorni scorsi in Italia sono stati diffusi dati economici deludenti sulla crescita del PIL, negativa per il secondo trimestre consecutivo e quindi indicatrice di recessione tecnica. Se il trend continua in questo modo sarebbe la terza volta che l’Italia cade in recessione nel corso degli ultimi 15 anni: la prima volta accadde con lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 e la seconda con la crisi dei debiti sovrani nel 2011. Anche le previsioni della Commissione Europea per il 2019 vedono il nostro Paese stagnare in fondo alla classifica per tasso di crescita annuo in Europa, con un misero +0,2%. Qualcuno fa giustamente notare che spesso queste previsioni della Commissione si rivelano essere errate a fine anno, ma per completezza di ragionamento è giusto sottolineare che nella grandissima maggioranza dei casi tali previsioni si rivelano essere errate a causa di un eccesso d’ottimismo iniziale.
Il miracolo del sistema Australia
Negli stessi giorni la medesima delusione per i risultati della crescita è stata registrata anche dall’altra parte del mondo, in Australia. Infatti, il Paese ha fatto registrare una crescita solo dello 0,3% nel terzo trimestre del 2018, la metà dello 0,6% previsto. Aggregando i risultati la crescita australiana complessiva del 2018 si ferma al +2,8%, a fronte di stime previste dal Governo e dalla Banca Centrale intorno al 3,3/3,4%. Cifre che la maggior parte dei paesi europei sogna, ma che comunque sono lontane (in questo caso in negativo) anche dai tassi di crescita galoppanti di paesi asiatici come l’India e il Vietnam.
Dove sta dunque la particolarità di questi dati? Ebbene, l’anno da poco conclusosi è il ventottesimo di crescita ininterrotta dell’Australia. L’economia del grande Paese dell’Oceania ha costantemente sovra-performato rispetto alle simili economie dei paesi occidentali, tanto che, anche quando in tutto il mondo imperversava la crisi dei mutui sub-prime e la conseguente profonda recessione economica, nella “patria dei canguri” il tasso di crescita economica continuava ad essere largamente positivo.
Il PIL dell’Australia è arrivato quest’anno alla cifra di 1,8 bilioni di dollari australiani, che equivalgono a 1,32 bilioni di dollari statunitensi. A fronte di una popolazione di circa 25 milioni di abitanti, ciò equivale ad un PIL pro capite di 53 mila dollari, l’undicesimo in classifica a livello mondiale, nettamente avanti a quello di tutti i big europei. Il principale fattore di tale crescita continua e sostenuta è senza dubbio la grande capacità di questo Paese di attrarre talenti e competenze da tutto il mondo.
L’immigrazione
La popolazione australiana è cresciuta in media dell’1,6% ogni anno, un tasso molto significativo, soprattutto se rapportato a quello di altri paesi occidentali. Da questo punto di vista le potenzialità sono ancora enormi, se si pensa che l’Australia occupa una superficie di 7.703.429 chilometri quadrati, piazzandosi in sesta posizione a livello mondiale per estensione, e che la densità di popolazione è di soli 2,79 abitanti per chilometro quadrato (per fare un paragone, l’Italia ha una densità di 200 abitanti per chilometro quadrato). La maggioranza della popolazione australiana si concentra nelle metropoli sulla costa orientale e meridionale del Paese, caratterizzate da condizioni climatiche e morfologiche più favorevoli all’insediamento umano.
Negli anni passati sono stati molti anche gli italiani emigrati in Australia e impegnati perlopiù in attività agricole sparse in questo immenso territorio. La comunità di origini italiane è la quarta per dimensione, venendo dopo solo alle fette di popolazione di origini inglesi, scozzesi e irlandesi. La migrazione di italiani in Australia aveva subito una drastica riduzione dagli anni ’70 in poi, ma il fenomeno è tornato nuovamente a crescere a seguito della crisi del 2008, che ha spinto molti italiani in cerca di lavoro e opportunità a trasferirsi in un Paese dal livello di benessere economico tra i più alti al mondo.
Il regime in ambito migratorio è molto stringente. Si può accedere regolarmente al Paese solo se muniti di uno dei seguenti visti: il Working Holiday Visa, rilasciato ai cittadini under-30 di paesi con cui l’Australia ha buoni rapporti diplomatici (tra questi vi è anche l’Italia); lo Student Visa, rivolto a coloro che si trasferiscono nel Paese unicamente per studiare, lo Skill Visa; destinato a quelle persone in possesso di caratteristiche richieste per specifiche posizioni lavorative che devono essere coperte; e infine l’Investor Visa, dedicato a chi investe grossi quantitativi di fondi in attività e imprese australiane.
L’economia del Paese
Le principali città dell’Australia si collocano tutte nella parte orientale, con un’unica eccezione rappresentata da Perth, metropoli situata lungo la costa occidentale. Le due città più importanti sono Sidney (prima per numero di abitanti) e Melbourne. Entrambe hanno dei significativi centri industriali, commerciali e finanziari e infatti per anni si sono contese il ruolo di capitale del Paese; per non fare torti a nessuno, questa è stata poi collocata a Canberra, una città costruita da zero e proprio a tal fine negli anni ’20 del secolo scorso. La città con più grande presenza italiana è invece Brisbane (terzo centro per numero di abitanti), che infatti presenta un parco e una strada dedicate a Roma.
Il turismo è in costante crescita e rappresenta un fattore significativo dell’economia di tutte le città citate e dell’intera Australia. L’attività prevalente da un punto di vista economico è senza dubbio, però, quella del settore primario, con l’allevamento di ovini a farla da padrone (l’Australia è infatti il più grande esportatore al mondo di lana merinos). Un’altra attività fondamentale per l’economia del Paese è quella mineraria. Infatti, il vastissimo territorio australiano è caratterizzato dalla presenza di grandi riserve di uranio (terzo produttore mondiale), oro (12% della produzione mondiale), diamanti (primo produttore mondiale) e molti altri minerali. Infine, anche l’industria di lavorazione di queste materie prime riveste un ruolo importante ed occupa infatti circa il 21% della forza lavoro.
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