La regolamentazione della concorrenza è uno dei settori cardine dell’Unione europea. Infatti, interessa una delle conquiste più importanti del progetto di integrazione europea, il libero mercato interno. Le regole di concorrenza dell’UE, applicate in tutti i Paesi membri, si trovano all’interno del Trattato sul funzionamento europeo (TFUE).
L’articolo 101 del TFUE vieta le c.d. intese illecite, in quanto
“sono incompatibili con il mercato e vietati tutti gli accordi tra imprese e le pratiche concordate che pregiudichino il commercio tra gli Stati membri e che abbiano come oggetto o effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato unico, in particolare quelli che consistono nel: fissare i prezzi, limitare o controllare la produzione; applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti.
Il successivo articolo 102, vieta l’abuso di posizione dominante, in quanto
“è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato o su una parte sostanziale di questo”.
A questi si collegano l’articolo 106 del TFUE, che applica le precedenti misure anche alle imprese pubbliche ed a quelle incaricate della gestione di servizi di interesse economico nazionale. Infine, l’articolo 107 TFUE pone il divieto degli aiuti di Stato alle aziende in quanto
“incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, sotto qualsiasi forma che possano minacciare di falsare la concorrenza”.
Autorità di controllo europea
A seguito del Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, la Commissione Europea può intervenire per l’applicazione delle norme europee sulla concorrenza in due casi: in presenza di intese che incidono sulla concorrenza in più di tre Stati; quando ci sia pericolo che uno Stato adotti decisioni contrastanti con il diritto antitrust europeo. Per quanto riguarda i procedimenti di controllo, la Commissione vigila sull’applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE attraverso due tipi di attività: una non procedimentalizzata di controllo e di vigilanza; una procedimentalizzata. Quest’ultima si compone di diverse fasi:
- Iniziativa: la quale può essere d’ufficio o su denuncia di uno Stato membro;
- Istruttoria: svolta dalla Commissione con l’ausilio delle autorità nazionali;
- Decisionale: nella quale se accertata l’infrazione, viene proposta dalla Commissione stessa i mezzi per porvi rimedio.
Qualora non si pone termine all’infrazione, la Commissione può dar via ad un procedimento sanzionatorio o ripristinatorio.
Dumping Fiscale
Nella realtà dei fatti vi sono casi in cui, sfruttando vuoti della legislazione europea, vengono stipulati accordi che, seppur non illeciti, di fatto vanno a falsare il gioco della concorrenza fiscale fra gli Stati europei. Uno di questi è il dumping fiscale, ovvero il portare al ribasso aliquote e pressione fiscale da parte di uno Stato per attrarre contribuenti ed investitori esteri. Tra i casi più famosi vi è quello irlandese, salito agli onori della cronaca per le aliquote molto vantaggiose che hanno attratto numerose multinazionali. Dopo un primo rifiuto da parte del governo di Dublino alla richiesta di riscuotere le tasse arretrate della Apple, circa 14 miliardi di euro, la Commissione europea è intervenuta. La politica fiscale irlandese nei confronti delle multinazionali è stata classificata come “aiuti di Stato”, quindi illecita (Per approfondire la vicenda dell’Irlanda clicca qui).
Tax ruling
Tra i meccanismi più utilizzati dalle multinazionali vi sono i tax ruling, veri e propri accordi di tassazione anticipata. Con questi Stati e aziende si accordano su un trattamento fiscale per un periodo determinato. Una forma particolare di “ruling fiscale” sono gli Advanced pricing agreements (APA). Questi assumono la forma di un accordo tra multinazionali e governi per definire le future condizioni e modalità di tassazione. Gli APA possono essere unilaterali, solo tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria del Paese di residenza del contribuente stesso, o plurilaterali, qualora vengano condivisi e sottoscritti anche dalle autorità competenti delle giurisdizioni estere interessate. A questi si affiancano anche i c.d. Patent box, ossia leggi che concedono agevolazioni fiscali alle imprese titolari di speciali brevetti.
Approcci normativi e soluzioni per il futuro
Un primo tentativo per porre rimedio alla concorrenza fiscale sleale fra gli Stati europei è stato avanzato nel 1997 con il pacchetto Monti. La proposta di Mario Monti conteneva un codice di condotta in materia di tassazione delle imprese, degli elementi per una soluzione comunitaria in materia di tassazione dei redditi ed un accordo per eliminare le ritenute di imposta sul pagamento di interessi e royalties tra società.
Dopo lo scandalo denominato “Lux leaks“, riguardante i trattamenti fiscali concessi tra il 2002 ed il 2010 dalle autorità fiscali lussemburghesi a più di 300 multinazionali, è stato emanato il Regolamento (UE) 1286/2013. Chiamato anche Fiscalis 2020, mira a facilitare la lotta contro le frodi fiscali, l’evasione e l’elusione. Stando al testo della legge europea, gli Stati membri sono tenuti a scambiare tutte le informazioni sui propri cross-borders ruling. Ciascun Paese dell’UE potrà quindi chiedere ad ogni altro Stato membro informazioni dettagliate su un determinato ruling fiscale.
Di recente, nell’ambito della tassazione equa dell’economia digitale, il Parlamento europeo ha proposto che le imprese vengano tassate dove realizzano gli utili. Entra così in scena la nozione di “presenza digitale significativa (clicca per approfondire)”, che può essere stabilita anche senza la presenza fisica in un determinato Stato europeo.