Nel 2019 il numero di startup innovative del Belpaese ha per la prima volta sfondato quota 10000. Con l’ultima legge di bilancio è stato varato un pacchetto di misure che ha raccolto un consenso quasi unanime da parte degli startuppers italiani. Esso, raccogliendo energie e risorse pubbliche e private, dovrebbe razionalizzare e potenziare gli incentivi e le agevolazioni già previste e, secondo alcune stime, permetterà di far confluire verso le aziende innovative circa un miliardo annuo di finanziamenti. Si tratta di una notizia particolarmente incoraggiante per delle realtà che per affermarsi e svilupparsi hanno una grande necessità di risorse finanziarie.
Nel 2019 l’Italia si avvia verso un tasso di crescita del PIL a zero, come emerge dalle sempre più concordanti previsioni dei vari enti e istituti internazionali e come ammesso di recente dallo stesso Ministro dell’Economia Giovanni Tria. Questi dati ci vedono per il momento come fanalino di coda in Europa. Per una volta però vogliamo concentrarci su uno dei pochi aspetti positivi della nostra economia e pertanto analizzeremo più approfonditamente la fotografia di uno dei settori che si presume saranno economicamente effervescenti nel 2019.
La partenza in salita delle startup italiane
Dopo circa 6 anni dal riconoscimento delle startup nel sistema giuridico italiano, avvenuto durante il Governo Monti e finalizzato al varo di una serie di incentivi e agevolazioni a sostegno delle realtà più innovative del Paese, è possibile avere una prima fotografia complessiva delle startup italiane, grazie ai dati ripresi dalla sezione dedicata del registro delle imprese e pubblicato da Infodata sul Sole 24 Ore. All’epoca l’Italia fu tra i primi paesi europei a varare un pacchetto strutturale a sostegno delle nuove imprese ad elevato contenuto tecnologico e innovativo, che prevedeva tra le altre cose anche l’accesso a strumenti di finanziamento che venivano normati proprio con la promulgazione di quel complesso di leggi, come l’equity crowdfunding (di cui abbiamo parlato in questo articolo).
La crescita di questo ecosistema dell’innovazione però non è stata repentina come avvenuto al di là dell’oceano o anche in diversi paesi europei. La partenza è stata particolarmente lenta, tanto che ci si è interrogati sull’efficacia delle misure previste a sostegno di queste realtà. Ma come ricorda un antico detto, è «l’acqua cheta che rompe i ponti»: nonostante l’inizio poco incoraggiante, anno dopo anno le aziende iscritte al registro delle startup innovative sono aumentate sempre più rapidamente. Nell’ultimo anno il ritmo di crescita ha raggiunto un livello che ha permesso al nostro paese di scalare consistentemente la classifica delle startup nations e di allontanarsi dalle ultime posizioni tra i paesi europei.
La distribuzione delle startup innovative in Italia
Geograficamente parlando, la distribuzione nelle varie aree dell’Italia è piuttosto eterogenea. La costante principale è che la più alta concentrazione di startup innovative si ha nei centri più popolosi; infatti spicca per il numero di startup registrate (1772) la provincia di Milano. Seguono poi Roma (1009) e molto più indietro Napoli (358), Torino (321) e Bologna (318). La prima città non capoluogo di regione in questa classifica è Padova, con 248 startup. Nel complesso il valore medio per provincia è di 95,6.
Per depurare questi dati dagli effetti della popolosità dei territori è senza dubbio utile citare anche il numero di startup ogni centomila abitanti. Milano si conferma comunque al primo posto, con 55,06 startup ogni centomila milanesi, mentre al secondo posto Roma viene sostituita da Pesaro. La provincia marchigiana, infatti, con 47,74 startup ogni centomila abitanti sopravanza nettamente la capitale, che si colloca comunque nella prima metà della classifica ma decisamente lontana dal podio, completato da Rovigo (36,05). Il valore medio complessivo dell’Italia è di 13,78 startup per centomila abitanti, con il dato di Napoli molto alterato rispetto a quanto emerso precedentemente. Infatti, la città partenopea si colloca nella seconda metà della classifica, con 11,52 startup ogni centomila abitanti.
Spostandoci dagli aspetti geografici a quelli economici, possiamo notare come la capitalizzazione media delle startup nostrane sia molto contenuta. Ciò va a costituire un’ulteriore conferma di quanto affermato precedentemente: se si vogliono rendere competitive a livello internazionale le nostre aziende innovative, è più che mai necessaria una forte immissione di capitali nel sistema. Sono infatti più numerose le imprese con una capitalizzazione di 1€ rispetto a quelle con una superiore a 1 milione di euro. In generale, ben il 92% ha una capitalizzazione inferiore a 100 mila euro; la più grossa fetta (il 42,17%) è costituita da aziende dotate di una capitalizzazione compresa tra 5 mila e 10 mila euro.
I criteri per appartenere alle startup innovative
Dei tre requisiti – di cui almeno uno necessario per essere iscritti nei registri delle startup innovative – quello più ricorrente nelle aziende registrate finora è la destinazione a spese di ricerca e sviluppo di almeno il 15% del maggior valore tra costi e produzione, che è presente in circa 65 casi su 100. Il 26,34% del campione ha un team formato per due terzi da personale in possesso di laurea magistrale oppure per un terzo da dottorandi, dottori di ricerca o laureati con 3 anni di esperienza in attività di ricerca certificata. Solo il 17,23% delle imprese è depositaria o licenziataria di privativa industriale oppure titolare di software registrato. Sono appena 163 (pari all’1,62% del totale) le startup in possesso di tutti e tre i requisiti.
Soffermiamoci, infine, su un sommario identikit degli startuppers italiani. Si tratta per lo più di uomini (l’80,23% delle aziende non ha prevalenza di donne nell’organico), mentre i giovani sono meno di quanto ci si potrebbe attendere: infatti, nel 73,68% dei casi queste startup non hanno prevalenza di giovani nel loro organico. La presenza esclusiva di giovani si ha solo nell’8,87% dei casi, mentre nell’11,06% essi sono comunque in maggioranza. Ancora peggiori i dati legati alla presenza femminile: le imprese innovative esclusivamente in rosa sono solo il 4,38% del totale, mentre la maggioranza di presenza femminile si ha nell’8,33% dei casi.
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