E’ sin dai tempi del fascismo che l’Italia ha deciso di non sposare pienamente il modello capitalistico anglo-americano basato su un’impostazione mercato-centrica. Lo Stato è sempre rimasto molto presente in tutti i settori, a partire da quelli di rilevanza strategica, dove le imprese dell’IRI l’hanno sempre fatta da padrone fino all’alba del nuovo millennio.
L’Italia, del resto, non è l’unico Paese dell’Europa Occidentale ad aver seguito la strada del cosiddetto “Welfare Capitalism“. Anche la Francia, dalla seconda metà del Novecento, ha voluto che lo Stato fosse molto presente nell’economia nazionale, ottenendo comunque risultati notevoli in termini di crescita. Sarebbe sbagliato, infatti, affermare che l’Italia stia ottenendo delle performance economiche deludenti solo perché lo Stato è troppo presente.
Tasse alte ma servizi pubblici inefficienti
In Italia, ai livelli di crescita reale ed occupazione inadeguati, si aggiunge la scarsa qualità dei servizi che lo Stato offre. Sia la qualità del sistema sanitario che della sicurezza non sono per nulla proporzionati alle somme richieste ai contribuenti italiani, che devono sopportare una pressione fiscale fra le più alte al mondo. L’inefficienza dei servizi pubblici vale in modo particolare per il Mezzogiorno.
Lo scarso senso civico degli italiani
Mentre la Francia ed altri paesi del Nord Europa sono caratterizzati da un’antica e forte tradizione comunitaria, gli italiani hanno una cultura più individualista. Giancristiano Desiderio, giornalista, insegnante e studioso del pensiero di Benedetto Croce e della cultura italiana, è arrivato addirittura a coniare il termine “individualismo statalista“. Questo indica il tipico atteggiamento ambiguo, da una parte approfittatore e dall’altra diffidente, degli italiani di fronte alle istituzioni.
La burocrazia
In Italia ci sono moltissime le leggi: oltre diecimila, il doppio della Germania ed il triplo dell’Inghilterra. La questione diventa ancora più problematica se si considerano anche le leggi regionali, che sono circa 25mila. La causa di questo sovraffollamento di norme nell’ordinamento giuridico italiano è la storica tendenza al “formalismo”, ereditata dalla legge Sabauda. Le leggi, in Italia, oltre che essere troppe, sono soprattutto troppo lunghe e, di conseguenza, ambigue. Lo Stato finisce così per essere spesso più di ostacolo che di supporto per i cittadini.
Le difficoltà nel fare impresa
L’ambiguità e la numerosità delle leggi italiane rende spesso complicata la loro applicazione. Una qualsiasi impresa italiana potrebbe essere soggetta ad oltre centodieci controlli all’anno da parte di ben quindici diversi istituti. Ancor più gravi sono i costi che devono essere sostenuti per avviare una nuova attività imprenditoriale. Questa procedura in Italia risulta essere molto più costosa rispetto a quanto lo è nelle altre economie sviluppate.
Non è semplice per un imprenditore in Italia capire quali siano i precisi vincoli di sicurezza, fiscali ed amministrativi da rispettare. L’effetto dell’eccessiva complessità del sistema burocratico italiano ricade sull’efficienza economica del Sistema-Italia in toto, non solo sulle aziende nascenti. Oltre ad un costo medio annuo di circa 30 miliardi complessivi per le imprese, dovuti ai vari adempimenti burocratici, le ricadute sono soprattutto indirette e si traducono in minori investimenti dall’estero e maggior costo del credito. Non è quindi un caso che l’indagine Censis del 2017 in tema di investimenti esteri sosteneva:
<<L’Italia viene considerata attrattiva in primo luogo per la qualità delle sue risorse umane (nel 92% dei giudizi viene attribuito un punteggio tra 7 e 10). Costo del lavoro, infrastrutture e logistica sono gli altri aspetti considerati positivi. In sintesi, nella percezione esterna dell’Italia ottengono un maggiore apprezzamento aspetti strutturali del Paese come risorse umane, infrastrutture, sistema bancario e flessibilità del mercato del lavoro. Mentre restano respingenti nell’ottica degli investitori gli aspetti che chiamano in causa la Pubblica Amministrazione.>>.
La lentezza della giustizia
Secondo un’indagine condotta dall’American Chamber of Commerce nel 2013, pubblicata dalla stessa Banca d’Italia, la lentezza della giustizia è il fattore che più di tutti spaventa gli investitori esteri in Italia. Una giustizia troppo lenta, infatti, mette a serio repentaglio la certezza del diritto stesso. Questo non solo contrae gli investimenti dall’estero ma aumenta anche il costo del credito per imprese e famiglie. Infatti per le banche i tempi per le operazioni di recupero dei crediti deteriorati sono molto più lunghe, costose e complesse rispetto a quanto avviene nelle altre economie avanzate.
In Italia, nei processi civili, per giungere ad una sentenza definitiva di terzo grado si impiegano in media quasi otto anni. Nel 2015 il Paese era ultimo nella classifica europea per la velocità della giustizia civile. Il dato più sensibile è quello che riguarda il difficile recupero di crediti commerciali da imprese insolventi, il che va a ridurre in modo drastico la facilità di accesso al credito.
Le difficoltà della magistratura
L’Italia ha ricevuto un gran numero di condanne dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo proprio a causa della lunghezza dei processi. Nonostante il confronto con gli altri Paesi europei sia imbarazzante, alla base della lentezza della giustizia Italiana non vi è un problema di risorse finanziare. I fondi destinati alla Giustizia, infatti, sono in linea con la media europea. Il numero di giudici rispetto alla popolazione totale in Italia è anch’esso in linea con gli altri Stati dell’UE. Lo stipendio dei magistrati, tuttavia, è ben più alto di quello degli altri paesi, se confrontato con il reddito medio pro-capite.
Ciò che rende difficile la vita ai giudici è la litigiosità degli italiani, inferiore solo a quella dei belgi nell’UE. I procedimenti pendenti sono quasi quattro milioni, in calo rispetto al 2009, quando erano addirittura quasi sei milioni. I processi ancora in corso alimentano quindi un circolo vizioso, sovraccaricando di lavoro i magistrati italiani. Il picco della litigiosità in Italia è avvenuto soprattutto tra la metà degli anni ’80 e l’inizio del nuovo millennio. In questo periodo è aumentato molto il numero di avvocati, che in Italia sono oltre il triplo rispetto alla media dell’Unione Europea.