Gli anni ’60 sono stati il decennio del boom economico italiano. La lira venne premiata dal Financial Times come moneta più stabile, la crescita annua media era più alta delle più grandi economie mondiali. A livello sociale, disoccupazione, povertà ed analfabetismo andavano scomparendo.
Nella Guerra Fredda l’Italia ricoprì un ruolo essenziale nel blocco filo-americano, in Europa era uno degli Stati più influenti e più propensi ad approfondire la cooperazione. Erano gli anni in cui lo stivale si affermò come una delle maggiori potenze economiche e geopolitiche del pianeta, guadagnando un posto nel G8.
Indice
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L’Italia nella Guerra Fredda
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Lo scontro con la Francia di De Gaulle
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Dal centrismo al centro-sinistra organico
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Il governo Fanfani
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Il governo Moro
L’Italia nella Guerra Fredda
L’Italia si era apertamente schierata dalla parte degli Stati Uniti nell’ambito della Guerra Fredda. Con la firma del Patto Atlantico, posta da Alcide De Gasperi nel 1949, l’Italia entrò a far parte della NATO.
Durante gli anni ’60 le tensioni tra Unione Sovietica ed USA si irrigidirono in modo particolare a causa della Rivoluzione Cubana, iniziata nel 1959, e della Guerra del Vietnam, che perdurò dal ’55 al ’75. Le nazioni comuniste appoggiavano sia a Cuba che in Vietnam l’instaurazione di regimi a stampo marxista mentre al contrario gli Stati Uniti cercavano di impedirne l’avvento. Lo scontro tra le due fazioni in quel campo non si limitava alla semplice contrapposizione dei rispettivi interessi nazionali. Si trattava di una lotta ideologica più che geopolitica.
La scelta compiuta dall’Italia di entrare nella NATO ebbe conseguenze profondissime sullo sviluppo del tessuto sociale del Paese. Infatti l’Italia da quel momento divenne legata, culturalmente ed economicamente, agli Stati Uniti. Il Paese aveva intrapreso una strada ben marcata, trasformandosi a tutti gli effetti in un’economia capitalista. Nasceva la società dei consumi, che visse il periodo di massima espansione proprio durante gli anni ’60.
Lo scontro con la Francia di De Gaulle
Nel 1958 venne eletto Presidente del Consiglio dei Ministri francese il generale Charles de Gaulle, già Primo Ministro provvisorio dal ’44 al ’46. Il generale De Gaulle, che aveva una lunga carriera militare alle spalle, optò per una politica nazionalista, a discapito sia del progetto federalista europeo sia della tenuta del Patto Atlantico.
In ambito europeo, De Gaulle si batté per la creazione di un’Europa delle Nazioni e per la riconciliazione dei rapporti tra Germania e Francia. Il generale strinse una forte alleanza con il fronte tedesco occidentale, ponendo le basi per una politica di cooperazione frai due Stati. Ben due volte si oppose, con il diritto di veto, all’entrata del Regno Unito nella Comunità Economica Europea. Questo a discapito dell’Italia, che puntava a costruire un’asse italo-inglese da contrapporre a quello franco-tedesco.
Durante gli anni ’60 si consumò un periodo molto difficile nelle relazioni tra Francia ed Italia. De Gaulle ostentava nei confronti di Roma un atteggiamento denigratorio ed a tratti ostile. Passò alla storia la frase pronunciata nel 1945 dal generale: <<L’Italia non è un paese povero, ma è un povero paese>>.
L’Italia, guidata dalla Democrazia Cristiana filo-Atlantica ed a trazione Europeista, era ostacolata nei suoi progetti dalla politica estera nazionalista francese. La Comunità Economica Europea aveva infatti dato un contributo enorme ad aumentare le esportazioni italiane, rendendo realizzabile il boom economico. Un ulteriore allargamento ed approfondimento del processo di unificazione europeo non avrebbe che rafforzato l’economia italiana.
De Gaulle, dopo numerosi attacchi diplomatici nei confronti degli Stati Uniti, fece uscire la Francia dalla NATO nel 1966, in nome della sovranità nazionale. Questo portò ad un ulteriore peggioramento dei rapporti con l’Italia, che rimase invece nella cerchia dei fedeli agli USA fino alla fine della Guerra Fredda.
Dal centrismo al centro-sinistra organico
Dopo i governi delle larghe coalizioni dell’immediato dopo-guerra, negli anni ’50 De Gasperi, su pressione degli Stati Uniti d’America, inaugurava la stagione del centrismo. Il partito Democristiano avrebbe esautorato i comunisti ed i socialisti dalle compagini di governo. Si favorì così la collaborazione con liberali e repubblicani.
Negli anni ’60, invece, nonostante le pressioni americane, all’interno della Democrazia Cristiana iniziarono ad acquisire sempre più autorevolezza i membri della corrente Dossettiana, di centro-sinistra, più propensa al dialogo con i socialisti. I personaggi principali della corrente furono Amintore Fanfani ed Aldo Moro.
Il governo Fanfani
Nel 1959 Aldo Moro venne eletto Segretario della Democrazia Cristiana e riuscì a far assegnare il governo a Fanfani, che formò una maggioranza con socialsemocratici ed i repubblicani. Fanfani ottenne anche l’appoggio esterno del Partito Socialista Italiano, che però si astenne dalla votazione alla fiducia in parlamento. Dopo le elezioni del 1963, che videro trionfare di nuovo la Democrazia Cristiana con ampio scarto, si aprì la stagione del Centro-Sinistra organico. L’alleanza tra la DC ed i partiti socialisti divenne stabile e solida.
Il governo Moro
Durante il suo operato come Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro prese posizione sia in ambito economico che sociale. Le politiche di governo e le linee di partito si avvicinarono a quelle degli alleati di sinistra, in particolare PSI e PSDI. Nel 1962 Moro utilizzò tutte le sue energie per convincere anche le correnti più liberiste della DC a votare a favore della nazionalizzazione delle industrie elettriche (nascita dell’ENEL) ed alla riforma dell’istruzione pubblica.
Il 4 dicembre 1963 nacque il primo Governo Moro, con un socialista, Antonio Giolitti, Ministro del Bilancio, un SocialDemocratico, Roberto Tremelloni, Ministro delle Finanze ed un Democristiano al Tesoro, Emilio Colombo.
Durante il discorso per la fiducia alla Camera, illustrando le linee generali della politica economica del nuovo governo Aldo Moro esplicitò la sua adesione alle teorie economiche keynesiane. I governi di Moro mirarono così ad una politica fiscale espansiva, volta al raggiungimento della piena occupazione. Proprio durante gli anni ’60 la spesa pubblica italiana inizierà ad aumentare vertiginosamente. Nonostante ciò, il rapporto tra Debito Pubblico e PIL rimase ampiamente sotto controllo ed anzi si rivelò tra i più bassi d’Europa. Questo fu possibile grazie all’imponente crescita economica che era in atto.