Prendendo in considerazione la riforma protestante c’è un consenso unanime tra economisti e sociologi sull’esistenza di una forte correlazione positiva tra tale evento storico e lo sviluppo economico dei paesi che si sono separati dalla chiesa di Roma.
Il famoso filosofo ed economista Max Weber fu il primo ad indicare i meriti della riforma protestante per quanto riguarda l’aumento della produttività. Becker e Woessmann nel 2009 confermarono la tesi di Weber tramite un’indagine statistica. Questi mostrarono come a fine ‘800 le aree protestanti avevano un reddito medio significativamente più alto di quelle cattoliche. La correlazione è osservabile ancora nel XXI secolo. Jared Rubin nel 2017 osservò come, in termini di PIL pro capite annuo, il cittadino di un paese a maggioranza protestante produce, rispetto alla media globale, 13,406$ in più.
In un paese a maggioranza cattolica un cittadino in media produce $3,900 in più rispetto a quello di un paese musulmano, che è mediamente di 7,509$ più povero della media globale.
Semplice correlazione o legame causale?
C’è una correlazione positiva tra protestantesimo e Sviluppo economico, i paesi a maggioranza protestante sono in media più ricchi. Molti studiosi, tra cui Blum e Dudley, nel 2001, Becker e Woessmann, nel 2009, Chen, nel 2014, e Rubin, nel 2017, si sono spinti oltre indicando la presenza di un legame causale. La religione protestante, con i suoi valori dominanti, sarebbe un vero e proprio motore della crescita.
Un esempio lampante di questa dinamica culturale si osserva in modo particolare guardando ai calvinisti. Questi sono caratterizzati dall’idea per cui:
Se hai successo nella vita Dio ti ama e andrai in Paradiso
Secondo la dottrina calvinista infatti il successo nella vita è un segnale dell’approvazione divina e per perseguirlo è necessario essere il più possibile diligenti nel lavoro, il che è visto come una delle virtù più importanti per l’uomo. Sapere che dal proprio successo economico dipende anche la salvezza dell’anima, convinzione comune, anche se meno forte che nei calvinisti, a quasi tutte le confessioni protestanti, può aver rappresentato uno straordinario stimolo lavorativo per l’individuo e per intere comunità.
La Riforma Protestante sembrerebbe aver contribuito a cambiare i valori della società occidentale, favorendo lo sviluppo di elementi fondamentali per la crescita economica.
L’autonomia individuale
Come sostenuto dall’economista austriaco Schumpeter, il più grande motore dello sviluppo economico nel lungo periodo è l’innovazione. Questa a sua volta è favorita in società che permettono la competizione e l’efficiente allocazione di risorse nel mercato. La riforma luterana ruppe il monopolio della chiesa cattolica sulla religione e sulla società e permise di ridurre la corruzione, giungendo infine a promuovere la difesa dell’autonomia individuale. Tutti questi cambiamenti si rivelarono fondamentali per permettere la libera innovazione all’interno della società in un contesto competitivo e non più monopolistico (fonte: Grim e Finke 2001).
Educazione
La letteratura economica ha dimostrato l’esistenza di una stretta relazione causale tra il livello di istruzione medio e la crescita economica (fonte: Hanushek e Woessmann, 2012; Hanushek, 2016). Infatti, l’istruzione aumenta la produttività del lavoro, stimola l’innovazione tecnologica e facilita l’amministrazione di uno Stato. Un paese più istruito è un paese che cresce di più. Punto fondamentale del protestantesimo è che ogni protestante deve personalmente leggere e rapportarsi con le scritture. I protestanti, quindi, svilupparono tassi di alfabetizzazione molto più alti di quelli dei paesi cattolici, al livello solo di quelli delle comunità ebraiche (fonte: Sascha Becker, Ludger, Woessmann 2009).
Etica Lavorativa
L’etica lavorativa ha una chiara correlazione con la crescita economica. Max Weber per primo avanzò l’ipotesi che la più forte etica lavorativa dei paesi protestanti sia la causa del loro successo economico. Jork Spenkuch nel 2016 analizzando la Germania dimostrò quantitativamente che i protestanti lavoravano di media 3.5 ore in più alla settimana dei non protestanti. Questo trend sembra essere confermato anche in Svizzera dalle ricerche di Christoph Basten e Frank Betz nel 2013.