Almeno il 40% del suolo terrestre è a rischio desertificazione. A rivelarlo sono gli studi compiuti nel corso degli anni dal WWF e dagli esperti che lavorano alla Convenzione per la Lotta alla Desertificazione, istituita a Parigi il 17 giugno 1994. Tale fenomeno consiste nella perdita di fertilità da parte di terreni prima coltivabili e riguarda soprattutto le aree aride e semi-aride. Questo può avvenire sia a causa dei cambiamenti climatici, naturali o meno, che per l’eccessivo e squilibrato sfruttamento o inquinamento del terreno, che finisce per perdere le sue sostanze nutritive senza riuscire a rigenerarle.
Perché la desertificazione è un fenomeno difficilmente reversibile
Con la desertificazione si verifica lo sconvolgimento dell’ecosistema che permette la fertilizzazione naturale del suolo. Infatti, oltre che alle minori piogge, questa può essere ed è il più delle volte dovuta alla morte degli organismi presenti nella terra, fondamentali per la rigenerazione dell’humus, la parte del terreno ricca di sostanze nutritive.
Un fenomeno già in corso
L’area più colpita al mondo dalla desertificazione è, nel 2021, quella che si trova a sud del Sahara, in Africa. Il fenomeno, tuttavia, è globale. Secondo Mariam Akhtar-Schuster, ricercatrice co-presidentessa della Science policy Interface, circa 3 miliardi di persone al mondo potrebbero essere colpite dagli effetti economci della perdita di fertilità dei terreni. Questa, soprattutto in Africa, ha portato ad un considerevole aumento del prezzo medio degli alimenti ed in generale dei prodotti agricoli. Un altro esempio tragico è stato in India, dove milioni di agricoltori sono stati costretti a lasciare i loro terreni per colpa della perdita di fertilità.
Secondo l’organo di esperti della Convenzione per la Lotta alla Desertificazione ogni anno vengono persi circa 12 milioni di ettari di terreno coltivabile. La questione diventa ancora più preoccupante se si considera che, mentre si riduce la capacità produttiva di cibo, la popolazione mondiale continua a crescere. Le previsioni dell’ONU parlano di 9 miliardi di persone sulla terra nel 2050, se si mantengono i ritmi di incremento demografico dei primi decenni del XXI secolo.
Secondo alcuni economisti, la desertificazione potrebbe essere la causa della più grave crisi economica della Storia. Fra questi anche il CEO del fondo d’investimento BlackRock, Larry Fink.
La situazione in Italia
In Italia circa il 20% delle aree coltivate sono a rischio desertificazione, secondo Coldiretti, in particolare nel sud della Penisola. Secondo uno studio portato avanti dal CNR la regione più esposta è la Sicilia, con il 70% dei terreni fertili in pericolo. Seguono il Molise, con il 58%, e la Puglia, con il 57%
Gli Stati europei a rischio
Secondo gli esperti della Convenzione per la Lotta alla Desertificazione il problema potrebbe colpire con forza almeno 11 Stati membri dell’Unione Europea, fra cui l’Italia. Il fenomeno riguarda prima di tutto il degrado del suolo, la perdita di fertilità, che può avvenire anche in zone umide ma molto colpite dall’inquinamento. I Paesi a rischio, oltre alla Penisola, sono Bulgaria, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Portogallo, Grecia, Croazia, Lettonia, Cipro e Malta.
Le proposte di Coldiretti per far fronte al fenomeno
Secondo Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, in Italia il rischio desertificazione potrebbe essere in parte scongiurato attraverso una serie di interventi infrastrutturali mirati. Infatti, osserva Prandini, l’Italia è un Paese piovoso ma il terreno trattiene poco l’umidità per via delle sue caratteristiche geologiche. Quindi, la soluzione potrebbe essere costruire sistemi per raccogliere l’acqua piovana, in modo da utilizzarla nei più lunghi e caldi periodi di siccità, che altrimenti porterebbero danneggiare l’ecosistema del terreno. Il comparto agricolo italiano, secondo il presidente della Coldiretti, dovrà investire in sistemi d’irrigazione più efficienti, che riducano il consumo di risorse idriche, anche consentendone il riutilizzo. Inoltre, sarà fondamentale che le aziende adottino metodi di coltivazione sostenibili, che non compromettano la fertilità del suolo a lungo termine.