Disclaimer: “L’Opinione Fatale” è una rubrica a cura di Matteo Fatale, membro della nostra community. Con questa rubrica vogliamo stimolare discussioni e confronti su temi scottanti su cui spesso l’opinione pubblica si divide. Precisiamo che le opinioni sono espresse a titolo personale: Starting Finance, in quanto realtà composta da tantissime persone provenienti da ambienti diversi e con idee differenti, non può (e non avrebbe modo di) prendere posizioni o schierarsi. Chiunque volesse scrivere un contenuto con cui confutare L’Opinione Fatale potrà inviarcelo, se rispetterà gli stessi standard di qualità che applichiamo a tutti i nostri contenuti, saremo lieti di pubblicarlo.
Il tema di questa Opinione Fatale è la politica industriale italiana e il capitalismo.
Uno dei casi più eclatanti è ovviamente quello riguardo la gestione di Alitalia, ma non facciamo l’errore di considerarlo l’unico solo perché è sempre all’ordine del giorno sui vari tg. Abbiamo altri esempi importanti come ATAC e Trenord che meritano non meno visibilità.
Innanzitutto siamo tutti d’accordo che il fine principale di ogni attività economica è la mera ricerca del profitto. Nessuno apre un negozio perché si considera una brava persona e decide di rischiare i propri capitali per assumere personale, ma lo fa perché considera possibile soddisfare una domanda specifica in quello specifico momento in modo da conseguire poi un guadagno. E quando esso arriva, allora l’attività economica prospera e la collettività ne giova in aumento di occupazione e più scelta per il consumatore finale in termini di prezzi di mercato.
Prezzi di mercato che divengono competitivi solo in presenza di libero mercato, o capitalismo se vogliamo intenderlo in questo senso, perché rappresentano nel miglior modo possibile la scarsità di un determinato bene.
Prezzi che in un mercato sono frutto della legge della domanda e dell’offerta. Legge che è universale e non eliminabile da nessun sistema economico e senza la quale i prezzi non sapranno dirci nulla.
Non potranno quindi dirci né quali beni sono scarsi, né quali beni sono abbondanti, né le preferenze di chi scambia, ovvero produttori e consumatori. E su tale problema, assieme alla logica conseguenza della gestione dei costi, vanno a sbattere regolarmente tutte le pseudo teorie economiche alternative al capitalismo.
Quando un’azienda viene gestita solo per erogare un servizio, senza fini di economicità, ecco allora che essa allocherà le risorse in un modo inefficiente, provocando un danno sia per i consumatori, che per l’intera collettività.
Mentre le aziende private che non puntano al profitto tramite una rigorosa gestione del bilancio e la contemporanea soddisfazione del cliente, finiscono per essere battute dalla concorrenza ed espulse dal mercato, le aziende pubbliche vengono invece viste sotto una lente diversa e ne abbiamo di due tipi, entrambe inefficienti:
quelle che operano in regime di monopolio, e quelle che operano nel libero mercato sottoposte a concorrenza.
Il primo caso è perfettamente rappresentato da ATAC, che essendo gestita pubblicamente e senza diretti concorrenti, diventa sempre più inefficiente e sommersa dai debiti. Per citare un dato, l’età media dei bus è passata dal 10,2 anni nel 2015 a 11,8 anni nel 2018, mentre il costo del personale sui costi totali è passato, nello stesso arco temporale, dal 44,8% al 57,7%.
Se l’azienda sentisse la pressione della concorrenza, sarebbe costretta a razionalizzare le spese, investire in maniera ottimale e soddisfare il cliente in maniera completa. Finché invece rimane pubblica e gestita in questo modo, le cose andranno sempre peggio. E la soluzione non è “gestiamola meglio”, perché la gestione degli ultimi decenni viene da malapolitica e solo da quella.
Il secondo caso è invece quello di Alitalia, vettore ormai decotto e con le sembianze di uno zombie. Questa azienda perde la bellezza di un milione di euro al giorno, ha una quota del mercato internazionale da e per l’Italia dell’8,1% (Ryanair ha il 22,2%) ed il 2% del mercato europeo. È stata letteralmente surclassata dalle compagnie low cost e costretta ad elemosinare allo stato prestiti ponte per centinaia di milioni che non verranno mai restituiti. La particolarità è che qui c’è il libero mercato, e infatti questa azienda non è riuscita a vincere sulla concorrenza finendo per costare oltre 8 miliardi, pagati interamente dai contribuenti italiani nel corso degli anni.
Si dirà che questa azienda non può fallire perché altrimenti manderebbe a casa 12.000 lavoratori, ma se il mio negozietto di paese fallisce, io i miei dipendenti li devo mandare a casa sul serio. Non vedo perché anche in questo caso lo stato non interviene facendomi prestiti. Inoltre non è che tutte le rotte di Alitalia scompaiano da un momento all’altro, ma vengono riassorbite da altri vettori che copriranno la quota di mercato lasciata libera, riassorbendo a loro volta parte degli esuberi precedenti.
Comprendiamo dunque come le aziende di Stato finiscano per fallire se non gestite secondo le regole dell’economia, cioè secondo le regole del capitalismo.
Di contrapposto c’è chiaramente il comunismo-marxismo che queste regole le rigetta e punta al mero benessere della popolazione invece che alla creazione di ricchezza. Nobile intento, ma aspirare ad una società senza competizione, spirito imprenditoriale e individualismo porta sempre e solo alla distruzione della stessa.
In modo tranchant e apparentemente tautologico, potremmo concludere dicendo che il comunismo fallisce invariabilmente perché semplicemente non è il capitalismo. Ovvero?
Ovvero quel sistema nel quale con la motivazione del profitto, liberi produttori indipendenti, producono con la migliore tecnologia a disposizione, esattamente i beni che i consumatori chiedono, soddisfacendo costantemente i bisogni di tutti, in un sistema di scambio e di determinazione dei prezzi di libero mercato.
In questo modo, anche se con fluttuazioni temporanee, il sistema economico capitalista
- sa sempre cosa produrre
- sa sempre quali investimenti rendono e quali no
- sa quali sono i prezzi giusti
- sa sempre qual è la tecnologia economicamente più efficiente
- mantiene così il saggio di profitto sempre positivo
- soddisfa sempre i bisogni della gente.
In definitiva il capitalismo, essendo un sistema produttivo totalmente decentrato in unità indipendenti e liberamente fallibili è un sistema economico evolutivamente stabile, potendosi costantemente adattare al mondo che cambia.