Il Coronavirus è ormai una piaga a livello mondiale. L’interconnessione dei mercati rende l’economia, intesa come un fenomeno unitario, estremamente vulnerabile poiché intaccare un Paese, un settore, un comparto, ha effetti sugli altri attori coinvolti.
La Cina negli ultimi anni è diventata la seconda potenza mondiale dietro gli Stati Uniti, divenendo di fatto un player imprescindibile nelle dinamiche di mercato globali. Le misure straordinarie intraprese dal governo cinese, obbligato a isolare dapprima Wuhan per evitare il dilagare del contagio, e successivamente anche le città limitrofe, hanno portato alla chiusura di diversi stabilimenti e fabbriche da parte delle maggiori compagnie e nessun settore ne è rimasto illeso.
L’agenzia Standard & Poor’s ha rivisto al ribasso le stime della crescita mondiale e dell’economia cinese, con un taglio netto del Pil della Repubblica popolare al 5%. S&P ha inoltre effettuato l’analisi da un punto di vista settoriale.
L’automotive, ovvero il settore automobilistico, compresa l’intera filiera produttiva è uno dei settori maggiormente colpiti dal diffondersi del virus secondo l’Agenzia. I due maggiori fattori di impatto sono il calo dei consumi del mercato asiatico e la riduzione della produzione post chiusura di alcuni stabilimenti.
A causa dello stop della Cina dal ruolo di fornitore di alcune delle maggiori case automobilistiche, nel primo trimestre dell’anno il calo della produzione è stimato a -15%, peggiorando le precedenti previsioni degli analisti sulla crescita.
Le case più colpite
Il gruppo tedesco Volkswagen con ventitré stabilimenti e il 40% della produzione in Cina è il gruppo maggiormente esposto al taglio delle immatricolazioni e al calo produttivo. Gli analisti di S&P hanno sottolineato che nonostante gli impianti Volkswagen siano concentrati perlopiù nella zona di Shangai, a causa della politica di isolamento è da tenere in conto una chiusura prolungata degli stessi. Stessa sorte per General Motors anche se vende la metà delle auto del gruppo tedesco. Sia Nissan che Honda invece vendono e producono per il 30% in Cina, e probabilmente anche a causa della vicinanza geografica sono tra i gruppi automobilistici più esposti. La casa giapponese fondata da Soichiro Honda è maggiormente penalizzata a causa della presenza della maggior parte degli impianti proprio nella città di Wuhan. Leggermente meno esposto a livello produttivo è invece il colosso Toyota che però ha intrapreso diversi investimenti nel settore elettrico nel mercato asiatico col rischio di restare scottato dalla crisi dell’automotive. Fca e Psa invece sono probabilmente fuori dalla “zona rossa” ed insieme a BMW e Ford in questo momento non stanno operando in Cina. La scarsità di approvvigionamento dei componenti sta perciò pesando sul comparto analizzato dall’Agenzia con conseguenze negative anche sulle quotazioni di borsa. Almeno per un’altra settimana non è prevista alcuna ripresa delle attività negli stabilimenti locali.
Per approfondire, leggi i nostri articolo sugli effetti del Coronavirus sull’economia.