Le Isole Cayman fanno parte di quei territori che non hanno ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito, indicati come “Territori d’oltremare britannici”. Paesi come le Cayman, Bermuda o Anguilla hanno quindi come capo di Stato la regina Elisabetta II.
Questo arcipelago da tre isole, situato nel Mar dei Caraibi, è un paradiso fiscale, visto che non impone tassazioni dirette ai residenti e alla compagnie che si trovano nelle Cayman.
L’Unione Europea ritiene che al suo appello manchino, a causa dell’evasione fiscale aggressiva effettuata anche grazie ai paradisi fiscali, oltre 600 miliardi di euro ogni anno.
L’UE tiene quindi una “lista nera” dei paradisi fiscali, che vengono ritenuti paesi “non cooperativi”. In questa lista troviamo le Fiji, l’Oman, Trinidad e Tobago, le Samoa, Vanuatu e anche tre territori sotto il controllo statunitense: le Samoa Americane, Guam e le Isole Vergini.
Ciò che viene contestato alle Cayman è il fatto che il territorio attrae strutture offshore e profitti senza davvero avere una reale attività economica, e che le Isole non si siano attivate per introdurre una legislazione adatta ad affrontare la questione sollevata da Bruxelles.
La policy europea prevede di evitare di inserire territori sotto il controllo degli Stati membri in questa lista, ma ora che la Brexit è stata confermata, il destino delle Cayman è cambiato.
L’Unione Europea ha potuto sfruttare il fatto che il Regno Unito ha perso la propria influenza sulle decisioni di Bruxelles, una presa di potere ad appena due settimane dalla Brexit. Vengono così inserite le Cayman nella lista nera, e l’Ecofin, che riunisce i ministri dell’economia e delle finanze degli Stati Membri, dovrebbe riunirsi la prossima settimana per firmare la decisione.
Solamente l’anno scorso la “rete di paradisi fiscali” inglese è stata ritenuta la più grande responsabile di evasione fiscale societaria dal “Tax Justice Network”. Quattro dei loro territori rientrano nei dieci maggiormente colpevoli di supportare questo genere di attività.