Per debito pubblico si intende l’ammontare delle passività che uno Stato ha nei confronti di altri soggetti (imprese, Stati esteri, famiglie, banche). La nozione di debito è strettamente legata a quella di deficit, infatti il debito al tempo t è rappresentato dalla somma dei deficit fino al tempo t. Per deficit, invece, si intende la differenza negativa tra entrate e spese complessive dello Stato. Nel calcolare la spesa si includono anche gli interessi passivi sul debito pregresso. Quando il deficit risulta positivo si parla di avanzo, quando la differenza è nulla si parla di pareggio di bilancio, se invece è negativa si ha un disavanzo.
Un’altra entità contabile utile a valutare lo stato di salute della finanza pubblica è il saldo primario, ovvero la differenza tra entrate e spese, escludendo questa volta gli interessi passivi. In Italia il saldo primario è in miglioramento da quasi vent’anni, il che indica come buona parte dei problemi di finanza pubblica sono frutto di un’inadeguata gestione del debito.
La gestione del debito pubblico nell’UE
Con la ratifica del Trattato di Maastricht (1992) i paesi che hanno scelto di partecipare al progetto europeo si sono impegnati, tra le altre cose, a mantenere una finanza pubblica sostenibile, orientata a creare una moneta unica stabile. Questo risulta ancor più adeguato data la presenza di una Banca Centrale comune (BCE), che impedisce agli Stati svalutazioni arbitrarie e che non ne garantisce il debito.
Il Patto di stabilità e crescita (1997) va a supportare le prescrizioni del Trattato di Maastricht, ponendo un limite definito al disavanzo del deficit pubblico, che non deve superare il 3% del PIL, ed al debito pubblico, il quale non può essere portato oltre il 60% del PIL. Chi non rispetta le prescrizioni può essere soggetto a sanzioni. Diversi Stati e molti economisti, tuttavia, hanno criticato l’arbitrarietà di questi parametri ed hanno invitato le istituzioni europee a considerare altri approcci.
La teoria di Luigi Pasinetti
Luigi Pasinetti, nel suo libro “The myth (or folly) of the 3% deficit/GDP Maastricht parameter” (1998), sostiene che i criteri di convergenza del Trattato di Maastricht, poi diventati parametri nel Patto di Stabilità, non abbiano reali basi scientifiche. Secondo Pasinetti, infatti, non ha senso fissare un tetto al deficit uguale per tutti gli Stati memebri dell’UE. Il debito è sempre sostenibile quando il rapporto debito/PIL decresce oppure è costante, viceversa inizia a diventare insostenibile quando cresce. Quindi non è davvero il rapporto in sé ad avere peso ma, piuttosto, la sua variazione. Inoltre, bisogna considerare anche il tasso di crescita del PIL. Secondo i calcoli dell’economista italiano, un Paese con un rapporto debito/PIL del 120% ed un tasso di crescita del 5% potrebbe sostenere un deficit fino al 6% del Prodotto Interno Lordo.
Il legame tra crescita e debito: alcuni studi in materia
Nel 2010 due economisti, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff (entrambi professori ad Harvard), pubblicarono sull’American Economic Review un articolo intitolato “Growth in a Time of Debt“. La tesi sostenuta da Reinhart e Rogoff è che esiste una soglia precisa oltre la quale il debito di un Paese ne rallenta la crescita. In particolare gli autori concludono che i Paesi con un rapporto debito/PIL superiore al 90% presentano tassi di crescita negativi, se invece si considerano solo i Paesi in via si sviluppo tale soglia scende al 60%.
L’articolo dei due professori di Harvard fu contestato dopo che ad uno studente, Thomas Herndon, oggi professore alla Loyola Marymount University, fu assegnato il compito di replicare i risultati di un articolo scientifico di economia a scelta. Herndon scelse quello di Reinhart e Rogoff, trovando però delle grosse falle nel foglio di calcolo utilizzato dai due autori: dati mancanti, paesi esclusi ed errori metodologici. Tuttavia, quando i due professori corressero il loro studio, la stessa conclusione fu parzialmente confermata. I paesi ad alto debito crescono meno degli altri ma la differenza è in modo significativo più bassa rispetto a quanto avevano stimato in precedenza.
A Reinhart & Rogoff risposero anche Ugo Panizza (Università di Ginevra) ed Andrea Presbitero (IMF) nel 2014, pubblicando il lavoro “Public debt and economic growth: Is there a causal effect?“. In tale studio gli autori non trovarono evidenze empiriche a conferma della tesi di Reinhart e Rogoff: il debito pubblico non incide di per sè stesso sulla crescita economica futura, quella osservata dai due professori di Harvard sarebbe una correlazione non causale. Tuttavia, ciò non vuol dire che gli Stati possano sostenere qualsiasi livello di debito, ad esempio diventa insostenibile quando l’ammontare di interessi supera il PIL. Inoltre, l’alto livello di debito potrebbe contrarre la crescita, ad esempio, in presenza di politiche fiscali restrittive durante una crisi economica.