Fra le epidemie della Storia recente il Covid19 nel 2020 è probabilmente la peggiore. Esso ha davvero generato una crisi economica e finanziaria globale paragonabile a quella del 2008. La pandemia ha frenato i flussi commerciali internazionali di merci ed affossato sia l’offerta, con una riduzione della produzione industriale, sia la domanda, con i consumatori impossibilitati ad acquistare o che preferiscono non spendere in una situazione d’incertezza. Secondo le banche d’affari americane Morgan Stanley e Goldman Sachs una recessione del PIL globale, per il 2020, è un dato quasi certo.
Il nuovo coronavirus e le vecchie conoscenze
Il SARS-CoV-2, causa della malattia Covid19, è un virus facente parte del genere Betacoronavirus (famiglia Coronaviridae). Si tratta del settimo coronavirus riconosciuto in grado di infettare esseri umani. La correlazione negativa tra presenza di malattie infettive e crescita economica con il Covid19 è diventata evidente, tuttavia essa è già stata sperimentata in passato.
Tra i principali virus che hanno colpito l’uomo nella Storia recente ci sono il vaiolo, con 300 milioni di vittime nel corso del XX secolo, e l’influenza di tipo A, quella comune, responsabile di circa 100 milioni di morti, in gran parte durante il 1918-1919 con la variante nota come influenza spagnola. Inoltre sono degni di nota l’HIV, con più di 30 milioni morti, ed una serie di virus che portano alla gastroenterite, i quali causano intorno al milione di morti ogni anno nel mondo.
L’osservazione empirica mostra che l’incidenza di malattie infettive è maggiore nei paesi più poveri e meno sviluppati. C’è una correlazione diretta tra povertà e diffusione di malattie infettive ma allo stesso tempo la presenza di malattie infettive rallenta lo sviluppo economico generando povertà.
Dalle malattie alla povertà
Un individuo malato non può lavorare o non lavora al pieno delle sue capacità. Una comunità con un’alta incidenza di patologie infettive genererà meno ricchezza a causa della minore produttività media di ciascun lavoratore.
Malattie aggressive possono rendere anche intere comunità incapaci di lavorare generando gravi conseguenze sull’economia. Inoltre, la presenza di patologie diminuisce gli investimenti del settore privato. Infatti, se un potenziale investitore è consapevole della possibilità che parte della forza lavoro diventi impossibilitata a produrre per dei periodi, potrebbe decidere che l’investimento non è economicamente sostenibile. Considerando il commercio internazionale, poi, i prodotti di uno Stato nel quale è noto ci siano una o più epidemie saranno meno appetibili agli occhi dei consumatori esteri.
Dalla povertà alle malattie
I paesi più poveri spesso non hanno i sistemi sanitari necessari per contrastare la diffusione delle malattie in modo efficace. Inoltre, una parte importante della popolazione può essere troppo povera per permettersi le cure mediche ed i medicinali, spesso non garantiti dallo Stato. Inoltre, la denutrizione o malnutrizione indebolisce il sistema immunitario spianando la strada alla diffusione di virus e batteri. La povertà, poi, si traduce spesso anche in contesti che favoriscono la diffusione delle malattie, a causa di fonti idriche inquinate, immondizia lasciata a marcire, baraccopoli ed assenza di ambienti idonei a conservare il cibo.
Malattie diverse in aree diverse
Alcune malattie infettive, come la tubercolosi e la malaria, sono diffuse in molte aree, imponendo oneri e cali di produttività sostanziali ma costanti nel tempo. Altre, come l’influenza di tipo A, possono avere intensità diverse di anno in anno, provocando a volte il caos sia nelle economie in via di sviluppo che in quelle sviluppate quando si genera un focolaio (un forte aumento della prevalenza in un’area a popolazione relativamente limitata), un’epidemia (un forte aumento che copre un’area o una popolazione più ampia) o una pandemia (un’epidemia che copre più paesi o continenti).
Disastri sanitari come l’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale e l’ascesa di agenti patogeni sempre più farmaco-resistenti hanno sottolineato i terribili costi socio-economici delle malattie infettive. La pandemia Covid19 ha la particolarità di aver contagiato più paesi e continenti e sembra concentrarsi sugli Stati già sviluppati e non su quelli in via di sviluppo.
I costi economici di un’epidemia
In seguito all’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale, dal 2013 al 2015 la crescita del PIL in Liberia è diminuita dall’8,7% allo 0,7%, in Sierra Leone dal 5,3% allo 0,8%. In tutti e due questi paesi i profitti si sono contratti in ogni settore. Inoltre, il declino della fiducia degli investitori privati ed esteri ha portato a perdite in Borsa di centinaia di milioni di dollari nel corso dei due anni.
Salute e sistema sanitario
Con un’epidemia, in primo luogo, ci sono i costi sia pubblici che privati per il sistema sanitario, per le cure mediche degli infetti e per il contenimento della diffusione. Una pandemia può sopraffare il sistema sanitario, limitando la capacità degli ospedali, aggravando così la situazione complessiva nel lungo periodo.
L’epidemia di Ebola del 2013-2015 nell’Africa occidentale ha provocato almeno 28.616 morti sospetti e 11.310 decessi confermati. La gravità della crisi fu amplificata dai sistemi sanitari scadenti nelle nazioni colpite. La malattia ha infettato 881 persone fra gli stessi operatori sanitari, con 513 decessi, a causa degli inadeguati strumenti a loro disposizione per proteggersi dal contagio. L’intero personale degli ospedali è diminuito dell’8% in Liberia e del 23% in Sierra Leone. Questa moria di operatori nelle struttre sanitarie, oltre al loro sovraffollamento di pazienti, ha portato a circa 10.600 decessi aggiuntivi dovuti ad altre patologie non curate in Guinea, Liberia e Sierra Leone (1.091 decessi per HIV, 2.714 decessi per tubercolosi e 6.818 decessi per malaria). Il gran numero di morti compromise la crescita economica anche degli anni successivi all’epidemia, a causa della diminuzione della produttività e della diminuzione di entrate fiscali ed investimenti.
Turismo e commercio
Il turismo risulta essere uno dei settori più colpiti dalle epidemie. Durante la SARS del 2003 il turismo diminuì del 68% ad Hong Kong e di oltre il 70% a Singapore. Le compagnie aeree registrarono nelle rotte dell’area Asia-Pacifico una perdita di 6 miliardi di dollari. La Singapore Airlines fu costretta a mettere 6.600 suoi dipendenti in congedo non retribuito.
In Corea del Sud, dopo lo scoppio di una epidemia di MERS nel 2015, il numero di visitatori internazionali crollò del 41% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le perdite nel settore del turismo ammontarono a 10 miliardi di dollari e negli anni a seguire il governo dovette organizzare costose campagne turistiche per incoraggiare i turisti a tornare a visitare il paese.
Nel 2009 l’influenza H1N1 provocò una perdita di 2,8 miliardi di dollari al turismo in Messico, affossando uno dei settori principali dell’economia nazionale. Il numero turisti scese di oltre un milione in un periodo di cinque mesi rispetto alla media di quel periodo negli anni precedenti.
I danni complessivi
La perdita economica globale totale dovuta alla SARS è stata stimata in circa 40 miliardi di dollari. L’ufficio di statistica cinese ha registrato una perdita dello 0,8% del PIL nel 2003, principalmente a causa di perdite nei settori turistico, alberghiero, della ristorazione e della vendita al dettaglio. Il PIL di Hong Kong calò del 2,6%. Gran parte di questi impatti furono generati, soprattutto, dalle paure dei consumatori esteri.
Durante l’epidemia di MERS sudcoreana, a causa della paura del contagio e della risposta governativa, i settori alberghiero ed alimentare registrarono una contrazione del 10%, quelli dell’editoria, della comunicazione e dell’informazione del 6,3%. Ci fu una perdita anche nel campo dei trasporti, del 2,4%, e delle vendite all’ingrosso ed al dettaglio, dell’1,6%. La successiva risposta del mercato indicò un cambiamento nelle abitudini di consumo. La più grande catena di mercato della Corea del Sud, E-Mart Co Ltd., registrò un aumento delle vendite online del 63% mentre le industrie con un’alta percentuale di posti di lavoro temporanei (Ristoranti, alloggi e settori ricreativi) subirono un impatto significativo e ridussero il proprio personale. In totale l’economia sudcoreana crebbe solo dello 0,3% nel secondo trimestre del 2015, il peggior risultato in oltre sei anni.