Dal 1 novembre 2019 e per i prossimi 8 anni sarà Christine Lagarde ad annunciare le decisioni di politica monetaria dell’Eurozona. Christine Lalloutte, questo il suo cognome da nubile, nasce il 1 gennaio 1956 a Parigi. Giovane promessa del nuoto sincronizzato, si laurea nel 1977 in Scienze politiche a Aix-en-Provence, per poi conseguire un master in Diritto d’affari a Parigi.
Trasferitasi negli Stati Uniti, lavora come stagista per il deputato William Cohen (futuro segretario della Difesa per l’amministrazione Clinton). Nel 1981, sempre negli USA, viene assunta in Baker&McKenzie, studio legale multinazionale specializzato in diritto d’affari, nel quale rimane per quasi 25 anni scalando progressivamente tutti i gradi dell’organigramma fino a diventare, nel 1999, presidente del CdA.
Nel 2005 torna in Francia per ricoprire il ruolo di ministro del Commercio Estero nel governo Chirac. Nel 2007 è per un breve periodo ministro dell’Agricoltura, poi Sarkozy la vuole al dicastero di Economia. Infine, nel 2011 viene nominata al vertice del Fondo Monetario Internazionale (FMI) ed ottiene la riconferma nel 2016.
Un’avvocatessa alla BCE
Lagarde non è un’economista, non ha mai guidato una banca centrale nazionale e ha un profilo più da politico che da amministratore. Ma forse è proprio questo di cui necessita la BCE in questi anni: una figura apicale dalla grande esperienza, affiancata e supportata da un team di tecnici. Al di là dell’attuale emergenza Covid-19 e delle ripercussioni economiche e politiche che ci saranno sia su scala regionale che globale, le sfide dell’Europa sono ancora dettate dai bassi livelli di crescita, dagli squilibri interni e dallo scontro fra i paesi del Nord e del Sud sul tema del debito pubblico. Tutti scogli che potrebbero essere favoriti (almeno agli occhi di chi l’ha votata) da una figura dura ma composta, cordiale ma severa.
Alla guida del FMI Lagarde ha seguito e gestito la crisi greca e argentina, ha affrontato e contestato la guerra commerciale fra USA e Cina, e si è mostrata più volte perplessa sulle politiche economiche della troika (di cui peraltro lei stessa faceva parte), ammettendo gli errori commessi dalle istituzioni internazionali e traghettando per la prima volta il FMI fuori dal paradigma del Washington consensus. Insomma, alla leader francese si riconosce la capacità di saper unire un comportamento politico rigido, attento al rispetto delle regole, degli statuti e dei ruoli, a un’abilità di intermediazione fra parti in scontro, un criticismo utile in funzione di un avvenire complesso e bisognoso di cambiamenti.
Il cambio del registro comunicativo
«Comunicherò col mio stile» ha affermato Lagarde a dicembre 2019, e abbiamo già potuto vedere come esso sia diverso da quello di Mario Draghi. La dimensione comunicativa è forse quella che merita più considerazione da parte del banchiere centrale – a tal punto che si parla di ECB-speak e FED-speak – e, purtroppo, è forse anche quella in cui Lagarde sembra avere le maggiori carenze.
La neo-presidente ha pubblicamente rivendicato il diritto di rivolgersi a interlocutori diversi con linguaggi diversi, e ha esortato i suoi uditori a non sovra-interpretare le sue parole. Questo, tuttavia, potrebbe essere un problema: lo abbiamo potuto constatare in occasione delle sue affermazioni sullo spread all’inizio della pandemia di Covid-19.
La BCE, come qualunque altra banca centrale, deve infatti agire con un codice comunicativo privo di ambiguità e che non possa essere frainteso in alcun modo dai mercati: la politica monetaria consiste, prima di ogni altra cosa, nel plasmare e controllare le aspettative su tassi e prezzi.
La BCE di Lagarde
Controllo dei bilanci pubblici e stimoli monetari quando necessari: in ultima analisi, sul piano economico Lagarde non sembra troppo distante da Draghi; a differenziarli sembra essere il piano politico, ovvero l’arte di apparire e di governare i rapporti di forza fra agenti e fra interessi in campo.
Poco dopo il suo insediamento, Lagarde ha comunicato il progetto di revisione degli obiettivi della BCE: esso non riguarderà unicamente la ridefinizione dell’obiettivo di stabilità dei prezzi ma vedrà l’ampliamento a nuovi target come il cambiamento climatico, le disuguaglianze e la tecnologia, temi non solamente tecnici ma anche politici.
La BCE di Lagarde sembra essere un’istituzione ambigua, almeno in questa prima fase. Da un lato si mostra, come detto, più politica rispetto al passato, proiettata a favorire una mediazione fra le parti attraverso l’utilizzo di un dialogo aperto e flessibile e desiderosa di ampliare i propri obiettivi e strumenti di azione; dall’altro si presenta più rigida nella volontà di rispettare il proprio statuto e l’obiettivo principale della stabilità dei prezzi, nonché più attenta a rivendicare la propria indipendenza ed autonomia rispetto alle politiche fiscali nazionali degli stati membri.