Lo scontro che sta avvenendo tra gli Stati Uniti e la Cina non è delineato dalla volontà di dominare soltanto la sfera economica e commerciale. La nuova guerra fredda tra Washington e Pechino comprende qualsiasi settore che spazia dalla tecnologia (come il 5G) al controllo degli investimenti esteri nei paesi in cui opera Pechino ma che sono alleati di Washington, tra cui l’Italia.
Gli Stati Uniti vedono la Nuova via della seta come un progetto di espansione egemonica di Pechino, con il fine di cambiare gli equilibri degli attuali sistemi internazionali. Il mondo globalizzato, infatti, oggi si fonda sul ruolo centrale di Washington, a cui tutti i paesi, volenti o nolenti, devono fare riferimento. La pandemia globale del coronavirus potrebbe in questo senso avere due possibili effetti opposti. Da una parte la Cina potrebbe sfruttare la nuova instabilità internazionale per rafforzare la sua posizione ed indebolire quella degli americani. Gli USA, dal canto loro, potrebbero sfruttare il pretesto della sicurezza sanitaria per inasprire ancora di più la guerra commerciale, colpendo con maggiore forza la Cina e consolidando il loro ruolo egemone.
L’intervista ad Alessandro Aresu
Per comprendere meglio lo scenario che ci si può aspettare nel prossimo futuro Starting Finance ha intervistato Alessandro Aresu, direttore scientifico della Scuola di Politiche ed autore del libro Le Potenze del Capitalismo politico. Stati Uniti e Cina ( La Nave di Teseo; 2020)
Dott. Aresu la ringrazio per la disponibilità. Vorrei partire dalla citazione che sta sul retro del libro: “Il Mondo della globalizzazione non è piatto. È una macchina di conflitti”. Dobbiamo rivalutare la globalizzazione?
La globalizzazione non è un dato della natura, è un concetto da leggere sul piano storico. Ci sono bei lavori di alcuni storici sul tema, per esempio Harold James e Emma Rothschild, sulla storia della globalizzazione (contemporanea) e sulla fine della globalizzazione ottocentesca. Già Adam Smith analizza e descrive molto bene il fenomeno della riduzione delle distanze e dell’intensificarsi dei commerci. Ma aumentare i rapporti commerciali non vuol dire mai sconfiggere i conflitti, perché nel commercio vi sono sempre rapporti di forza e differenti interessi, che non riguardano solo il piano economico. La globalizzazione attuale è un’infrastruttura commerciale, militare, finanziaria e tecnologica che si basa sul ruolo fondamentale degli Stati Uniti. Pertanto, è impossibile che coinvolga tutti allo stesso modo, che tutti abbiano le stesse possibilità.
Nel suo libro parte dalla storia del Capitalismo, citando due esempi di romanticismo geopolitico, l’Impero Britannico ed il ruolo egemone americano, inoltre parla anche del pensiero di Alfred T. Mahan sulla geopolitica marittima. La Cina cercherà di prendere ad esempio il pensiero talassocratico di Mahan?
Uso l’espressione romanticismo geopolitico per prendere un po’ in giro Carl Schmitt, che nei suoi scritti derideva il romanticismo politico ma che a mio avviso non aveva capito il funzionamento ed il ruolo dei due sistemi che più avversava, fissato nelle sue fantasticherie continentali: il sistema britannico e quello americano. Non credo che nella Cina avremo una situazione simile a quella dello sviluppo statunitense sul potere marittimo, dovuto anche all’incontro di due personalità intellettuali e politiche come appunto Mahan e Theodore Roosevelt. Per ora si tratta di un ambito su cui i cinesi, almeno in termini strategici e militari, sono in ritardo, anche se sono importanti le loro mosse sui porti e sui cavi sottomarini, oltre che ovviamente l’azione per rendere terrestre e cinese qualche porzione del Mar Cinese Meridionale.
Quanto conta per la dirigenza di Pechino e del Partito Comunista puntare sulla parte storica del secolo delle umiliazioni? I membri del Partito comunista, per volontà di Xi Jinping, analizzano le opere storiche occidentali?
Nel libro faccio alcuni esempi del senso storico cinese e della curiosità per la storia occidentale, per esempio nell’aneddotica che riguarda Wang Qishan (pupillo di Zhu Rongji sopravvissuto fino all’era di Xi Jinping) e Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei. Questo non vuol dire che ci sia uno studio diffuso del modo con cui noi vediamo il mondo (anche perché questo noi occidentale è difficile da decifrare). Mentre i cinesi debbono studiare il pensiero del presidente Xi, cliccare sulla sua app. Per il Partito, la storia della Cina dura da 5.000 anni e la civiltà cinese si sviluppa in modo continuo. La contraddizione è appunto il secolo di umiliazione in cui la Cina è stata smembrata dagli altri, occidentali e giapponesi, anche per via del ritardo sullo sviluppo industriale e tecnologico. Ma dal 1949 la Cina si è rialzata e, nel 2049, sempre se ci arriveremo e ci arriveranno, ci sarà la celebrazione della rinascita.
Per la Cina di Deng, dopo l’epoca di Mao, quanto è stato decisivo il processo di riforma economica del Paese, partendo proprio dal modello di Singapore di Lee Kuan Yew, padre-fondatore della città-stato?
Deng Xiaoping, alto poco meno di un metro e mezzo, è stato una personalità di enorme statura. Anche perchè le condizioni internazionali lo consentivano, ha tratto la lezione dello sviluppo di Singapore e di altri modelli che si erano affermati, rispetto alla debacle della Cina popolare fino agli anni ’70, e li ha adattati ad un Paese enorme. Senza rinunciare in alcun modo al controllo politico ed al monopolio della forza del Partito anche, come sappiamo, in termini violenti. I successori di Deng Xiaoping si sono mossi in questo solco, con una diversa consapevolezza del ruolo internazionale della Cina, in corrispondenza alla crescita economica. Il sistema economico-giuridico cinese è molto complesso e per questo non è facile incastonarlo in un modello senza evidenziare le sue caratteristiche specifiche. Secondo il giurista Mark Wu, definirlo capitalismo di Stato è riduttivo. In esso convivono le agenzie centrali e locali di partecipazione pubblica, il controllo pubblico sulle banche, la pianificazione, i conglomerati, le distinzioni e ambiguità tra Partito e Stato, le imprese private.
Sicurezza Nazionale equivale a sicurezza del proprio apparato economico. Molte grandi potenze lo hanno compreso, altre tardano. Con lo scontro in atto tra Washington e Pechino il mondo dovrà attrezzarsi con strumenti come il Golden Power o una Precisa commissione di controllo degli Investimenti come quella di Washington?
Viviamo una corsa alla sicurezza nazionale alla quale corrisponde una corsa all’adattamento degli strumenti di scrutinio degli investimenti esteri. Un fenomeno precedente alla crisi che viviamo, come mostrato anche da un libro sulla comparazione giuridica degli strumenti di controllo, recentemente curato da Giulio Napolitano. Gli strumenti di controllo degli investimenti sono importanti, e sono stati rafforzati in molti paesi per corrispondere a una situazione in evoluzione. I vari sistemi debbono comunque essere credibili nella loro reputazione internazionale, essere competitivi ed essere in grado di controllare senza paralizzarsi, di attrarre ed attaccare, oltre che di difendersi in termini veloci ed efficaci. Per questo è ancora oggi fondamentale il ruolo della grande impresa ed è essenziale l’esigenza della crescita dimensionale delle imprese. Oltre all’importanza degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Domanda diretta: Serve un Consiglio per la Sicurezza Nazionale all’Italia?
Non servono tanto organismi politici, a mio avviso, ma strutture burocratiche organizzate. Può far storcere il naso, ma tutte le potenze si basano su burocrazie stabili che garantiscono la continuità. In questo caso si tratterebbe di pochi dipendenti pubblici giovani, con precise competenze, in grado di leggere la realtà della sicurezza economica e tecnologica e portare le questioni all’attenzione del decisore. Oggi questo compito in Italia viene svolto dall’intelligence ma non basta, soprattutto sul piano industriale. Uno dei temi più importanti per l’Italia di ieri e di oggi riguarda la comprensione del funzionamento delle catene del valore, la previsione e l’analisi del loro adattamento davanti alle crisi. Su questo tema la nostra capacità, nel capitalismo pubblico e privato, è a mio avviso piuttosto carente.
Lei cita la teoria della Trappola di Tucidide teorizzata da Graham Allison in un suo recente libro (Destinated for War: Can America and China escape Thucydide’s trap?). La Trappola di Tucidide influirà le relazioni USA-Cina in futuro? Possiamo parlare di nuova (o strana) guerra fredda o è un termine sopravvalutato?
È normale che si usi questo termine di grande successo ma è anche un effetto della povertà intellettuale della nostra epoca, a mio avviso. Non facciamo altro che ripetere espressioni del passato che oggi non hanno davvero nessun senso, pensiamo all’uso ridicolo del termine Piano Marshall, o che riguardano situazioni diverse, invece di coniare termini nuovi. I rapporti monetari, commerciali, demografici, tecnologici sono molto diversi rispetto al passato e le due ideologie che dovrebbero sfidarsi non mi sembrano ben delineate. Quello che è importante capire è che ci sono precisi conflitti tra Stati Uniti e Cina, nell’ambito tecnologico ed attraverso strumenti giuridici, nonché nelle organizzazioni internazionali. Li descrivo nell’ultimo capitolo del mio libro. Questa conflittualità ci riguarda, perché si svolge su una scala globale, perché ne siamo oggetto. C’è una guerra fredda tra gli Stati Uniti e la Cina sull’Organizzazione Mondiale della Sanità? Di sicuro c’è qualcosa di più profondo di una divergenza o di un disaccordo.