Il riscaldamento globale non è un argomento che interessa solo gli ambientalisti. Gli effetti economici dell’aumento della temperatura media sulla terra, infatti, sono stati uno degli argomenti principali trattati al World Economic Forum di Davos 2020. Nel report relativo ai maggiori rischi per l’economia, un intero capitolo è stato dedicato ai cambiamenti climatici. I cambiamenti climatici, fino al 2060, si stima peseranno sul PIL globale ogni anno fra l’1% ed il 3%. Sebbene questa perdita potrà essere compensata da altri fattori, si tratta comunque di cifre molto significative. Nel 2100, se la temperatura media aumenterà di 3° rispetto all’inizio del XXI secolo, ovvero mantenendo i ritmi attuali, il PIL globale dovrebbe registrare un calo generale circa del 7% rispetto al valore del 2000.
Paesi poveri e Paesi ricchi
Paesi poveri
Per molti Paesi con economie meno sviluppate, basate soprattutto sul settore primario, il più colpito dal riscaldamento globale, le conseguenze saranno catastrofiche. Quasi nella metà degli Stati nel mondo lo stipendio medio per cittadino potrebbe scendere anche del 75%. Inoltre, c’è il fatto che la maggior parte degli Stati più poveri si trovano anche in aree già calde. Importanti porzioni del territorio saranno, ed alcune già sono, soggette a desertificazione, diventando quasi inabitabili ed innescando, in maniera inevitabile, grandi flussi migratori.
Questo causerà un significativo aumento della disuguaglianza economica fra i Paesi a livello globale. Infatti, le economie in via di sviluppo vedranno colpite con forza le loro principali fonti di guadagno. Gli Stati più ricchi, invece, potranno contare sui settori secondario e terziario, arginando molto di più le perdite.
Paesi ricchi
Il riscaldamento globale avrà un effetto negativo anche sui Paesi ricchi. Infatti, oltre ai più frequenti disastri naturali in tutto il mondo, l’aumento della temperatura andrà a colpire ovunque il settore primario. Si stima che i cambiamenti climatici causeranno un calo circa del 10,5% del PIL statunitense fino al 2100. La Cina, invece, dovrebbe soffrire un -4,3% mentre l’Europa un -4,6%.
Tuttavia, per qualcuno il riscaldamento globale sarà un vantaggio. Infatti nei Paesi freddi, per la maggior parte ricchi, molti territori che nel 2020 non lo sono diventeranno adatti alla coltivazione.
Un ulteriore elemento di rischio
Il caldo influenza in modo negativo anche il comportamento e la produttività. Infatti, così come per quasi tutti gli animali, lo stato d’animo e l’energia di un essere umano dipendono, attraverso meccanismi chimico-biologici, dalla temperatura. Per analizzare questo fenomeno Edward Miguel, Marshall Burke e Solomon Hsiang, dell’Università di Berkeley, hanno osservato l’andamento dell’economia in relazione alla temperatura in 166 Stati dal 1960 al 2010.
La ricerca è stata pubblicata dalla rivista scientifica Nature con un articolo intitolato Global non-linear effect of temperature on economic production. La conclusione presentata è che, nei periodi più caldi, la produttività cala in maniera considerevole. Questo, in linea teorica, significa che i danni all’economia dovuti ai cambiamenti climatici potrebbero essere peggiori delle previsioni dei maggiori enti internazionali.