Il criminale forse più imitato, studiato e romanzato nella Storia, ma anche uno dei più ricchi, violenti e famigerati: Pablo Emilio Escobar Gaviria. La sua vita è essenzialmente storia nota e trattata in centinaia di documentari, libri e numerose serie televisive, a partire da quella che ha avuto più scalpore mediatico, Narcos, prodotta da Netflix.
Dalle stalle alle stelle
Di origini più che umili, Pablo nacque da padre agricoltore e madre insegnante il 1 dicembre 1949 ad Antiochia, in Colombia. Sin da piccolo si distinse in famiglia per le sue mire ambiziose e per la volontà di spiccare dalla condizione di povertà in cui versava la sua gente. Voleva sempre essere sulla cresta dell’onda e così spesso disse ad amici e famigliari che sarebbe divenuto presidente della Colombia. Dopo piccoli furti di macchine e razzie in tombe e negozi, Escobar si specializzò nel contrabbando di sigarette Marlboro, mercato che gettò le basi per i futuri traffici di cocaina.
Situata proprio fra i punti cardine di coltivazione in Perù e Bolivia, la Colombia si proponeva come trampolino di lancio fino agli Stati Uniti e, per Pablo, punto di spicco personale. Escobar, accecato dalla bramosia di potere e dalla facilità con cui poteva fare soldi, decise di inserirsi immediatamente all’interno del mercato della coca, comprando prima pochi etti e muovendosi poi su centinaia e infine migliaia di chili. Superato il semplice nascondiglio fra i sedili di una macchina rubata, Pablo dovette ungere parecchi meccanismi del sistema militare per poter far arrivare le tonnellate di cocaina su comodi camion attraverso il confine. Si diceva che ogni militare da Bogotà a Medellin fosse pagato da Escobar.
Nel 1975, dopo la creazione del primo vero cartello della droga a Medellin, il Boss Pablo Emilio fece uccidere il noto Narcos Fabio Restrepo e divenne così il principale manager di un business che il mondo non aveva mai conosciuto prima. Una delle più note citazioni di Escobar fu «a volte sono Dio, se dico che un uomo muore, muore il giorno stesso». Per capirne l’immensità, con un paragone moderno, il cartello di Medellin potrebbe essere inserito all’interno di Fortune 500, classifica che presenta le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato. Lo stesso Pablo ha raggiunto all’apice della sua carriera criminale un patrimonio di 30 miliardi di dollari, possedendo fra le altre cose un’isola privata alle Bahamas, sede principale della logistica intercontinentale, con un aeroporto riservato e una pista di atterraggio di 1 km. Da quest’isola la cocaina veniva spostata in Florida, invadendo poi gli Stati Uniti, volando con una frequenza che toccava le 5 o 6 volte al giorno.
Costi e guadagni dell’impero Escobar
Facendosi largo in un periodo di terrore e distruzione, Pablo si espanse dal Perù e dalla Colombia verso gli USA, controllando più dell’ 80% della cocaina presente nel mondo. Ogni giorno il cartello esportava negli Stati Uniti oltre 15 tonnellate di coca e al culmine della sua attività guadagnava 420 milioni di dollari alla settimana, con spostamenti via jet e sottomarini. Ogni singolo chilo di cocaina costava al cartello circa 1000 dollari per essere prodotta e altri 4000 per essere introdotta in maniera sicura negli Stati Uniti. I piloti assunti dal cartello guadagnavano cifre esorbitanti, fino a 500.000 dollari per una singola tratta, poiché una volta giunto negli USA, quel chilo costato 5000 dollari veniva rivenduto a 50.000 o anche 70.000 dollari. Il totale, ottenuto con pochi calcoli, porta a cifre come 60 milioni al giorno e 22 miliardi all’anno. Significa che Pablo, parlando con la figlia per pochi istanti, “perdeva” una cifra come 41 mila dollari al minuto.
L’enorme quantità di denaro costringeva il cartello a spendere circa 1000 dollari a settimana solo per elastici porta-banconote, con cui contarle e organizzarle. Nonostante l’acquisto di compagnie aeree, di taxi, di ferrovie, la costruzione di strade e pur avendo cercato di saldare l’intero debito colombiano, il Patron non riusciva comunque a riciclare l’infinita fiumana di contanti che giungevano nelle tasche del cartello. Per tale ragione iniziò a seppellirli, a nasconderli in case fidate o nelle fattorie. Si stima che, ogni anno, Pablo perdesse 2 miliardi di dollari a causa delle piogge, dei ratti o semplicemente poiché il denaro veniva perso. Stiamo parlando di un uomo che, come ha raccontato il figlio, mentre erano in fuga in una delle sue 800 proprietà, bruciò 2 milioni di dollari in contanti per riscaldare la piccola figlia che aveva freddo.
Per comprendere meglio questi numeri, basti pensare che il reddito medio di un cittadino colombiano oggi è di 5.194 dollari; significa che servirebbero 4.235.657 colombiani (attenzione, 4 milioni e non migliaia) per guadagnare quanto Pablo Escobar in un solo anno. Spostando il paragone verso gli Stati Uniti, si consideri che il reddito medio è di 51.939 dollari all’anno e dunque, per poter eguagliare quello del cartello di Medellin in un solo giorno, un cittadino statunitense dovrebbe lavorare e risparmiare tutto il suo compenso per 1.115 anni. Sbalorditivo?
Ma continuiamo. Il reddito di Escobar, quotato al netto dell’inflazione 2012 a circa 30 miliardi di dollari, lo collocò nella classifica Forbes dei 10 uomini più ricchi sul pianeta per 10 anni di fila. Basti pensare che questa è la cifra del PIL di uno stato come il Paraguay, che conta 6 milioni e 700 mila persone. Per fare un paragone, tra i personaggi pubblici più pagati al mondo figura Floyd Mayweather, noto pugile statunitense, con 300 milioni di dollari. Da un punto di vista finanziario, si pensi che Escobar e il suo cartello si sarebbero posizionati 129° nella già citata classifica Fortune 500, con un reddito più alto di quello di McDonald’s o Facebook, ma anche di molte compagnie aeree e multinazionali.
Il riciclaggio
Ma come faceva a tenere tutti questi soldi senza dare nell’occhio? Come poteva comprare proprietà, industrie, compagnie, terreni, auto, permettersi una vita lussuosa e al tempo stesso in sordina? Attraverso una pratica detta riciclaggio di denaro (money laundering), ovvero quell’insieme di operazioni mirate a dare una parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, rendendone così più difficile l’identificazione e il successivo eventuale recupero.
Ci parla del money laundering di Pablo Escobar un ex-agente segreto infiltratosi nella metà degli ’80 proprio fra le fila del Cartèl, Robert Mazur. Fingendosi un business-man e facendosi chiamare Bob Musella, Mazur riuscì a sgominare gli intricati rapporti fra la criminalità e le più grandi banche mondiali. Come egli stesso ha affermato, «mentre collezioni prove essenziali stai anche contribuendo ad attività criminali; era dunque mio compito riciclare il minimo quantitativo di denaro possibile ma raccogliere il maggior numero di elementi probatori». In 2 anni riciclarono “solo” 34 milioni di dollari, ma tanti bastavano per riuscire a sgominare i boss del cartello e anche i dipendenti di alto rango di banche diffuse in 72 paesi al mondo, di cui non ha ovviamente rilasciato il nome alla stampa. La sua storia ha ispirato il film The Infiltrator, con Bryan Cranston, già protagonista di Breaking Bad, nei panni di Robert Mazur.
Le ambizioni e la fine
Appassionato ed estremamente barocco, Pablo non pensava solo al riciclaggio: comprò un terreno sconfinato che chiamò Hacienda Napoles. Tralasciando la faraonica villa con piscine, campi da tennis e calcio presenti sul posto, all’interno furono trasportati animali esotici di ogni genere e specie, fra cui 50 ippopotami e alcuni uccelli rarissimi in via d’estinzione. Tuttavia, la sua fortuna non poteva certo durare per sempre. Nonostante i rischi e l’esagerata quantità di soldi, il più grande trafficante al mondo non abbandonò mai la sua mira espansionistica e la puerile volontà di diventare leader della Colombia.
Dopo essersi reso noto per la fama del Robin Hood colombiano, costruendo case, campi da calcio e chiese per i Barrios, Escobar trovò il consenso popolare e venne eletto membro dell’onorevole Congresso di Colombia nel 1982. Tuttavia, lasciando inascoltata l’insistenza dei genitori e amici a lasciar perdere questa ambizione, Pablo si rese presto conto che quella sarebbe stata la sua fine. Pestando i piedi a membri radicati e con conoscenze fino alle poltrone della Casa Bianca, Escobar non riuscì più a tenere nascosta l’origine della sua fortuna. Due anni dopo l’elezione fu costretto a dare le dimissioni; indagato dal ministero di giustizia, iniziò il periodo della vendetta.
Con la consapevolezza che non sarebbe mai più potuto diventare presidente, il Patron fece conoscere alla Colombia uno dei periodi peggiori della sua storia; creatosi il nuovo cartello dei Los Extraditables, che guidò con ferocia, Pablo fece uccidere circa 4000 persone, centinaia di influenti rappresentanti del Paese furono rapiti, migliaia uccisi da bombe, cecchini e terrorismo. Tuttavia, la meglio definita strategia del terrore fece aprire gli occhi anche ai più fedeli di Escobar oltre che al popolo della Colombia, che gli voltarono le spalle.
Un anno dopo fuggì dalla sua stessa prigione, ma senza la guida del boss, il cartello di Medellin si deteriorò passo dopo passo. Dopo parecchi tentativi mancati, la polizia militare colombiana, unitamente all’intelligence statunitense, riuscì a catturare tutti i boss del cartello e infine anche lo stesso Escobar, il giorno dopo il suo compleanno. Dopo la morte degli ultimi sicarios a lui vicini, Pablo cercò la fuga sui tetti di Medellin, quando fu raggiunto da due colpi di pistola, uno al torace e uno dietro l’orecchio, che lo finì. Gran parte delle sue ricchezze morirono con lui.