Il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato in un discorso alle Nazioni Unite di impegnarsi affinché il proprio Paese possa raggiungere la neutralità carbonica, equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio, entro il 2060, e il picco delle emissioni prima del 2030.
Si tratta dello stesso obiettivo che anche l’Unione Europea si è posta per il 2050, nel contesto dell’impegno derivante dall’Accordo di Parigi, e per raggiungere il quale esiste già un piano d’azione chiamato Green Deal Europeo, presentato nel 2019.
Per la Cina, però, la neutralità climatica rappresenta una sfida particolarmente ambiziosa. Si tratta del Paese che emette da solo il 28% delle emissioni di gas serra nel mondo, quasi il doppio rispetto alla superpotenza seconda in classifica, gli Stati Uniti. Inoltre, la Cina soddisfa il 58% del proprio fabbisogno energetico tramite il carbone, che costituisce anche il 66% della produzione di energia elettrica. Il carbone dà lavoro a 3,5 milioni di cinesi, le lobby spingono per continui investimenti nel settore e la capacità produttiva delle centrali a carbone continua a crescere: nel 2019 la Cina ha continuato a costruire centrali incrementando la produzione del 3,8%, e altre centrali sono tuttora in costruzione.
Come diventerà carbon neutral la Cina e a che costo?
Un piano dettagliato di come la Cina intende raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica è quindi fondamentale, e ci si attende che con il prossimo Five-Years-Plan 2021-2025 i dettagli vengano chiariti.
Sicuramente la riduzione della dipendenza da carbone è la sfida e l’opportunità più grande, a cui andranno affiancati investimenti sempre maggiori sulle energie rinnovabili quali il fotovoltaico e l’eolico, e sulla mobilità elettrica, in cui la Cina è già leader mondiale.
La Sanford C. Bernstein & Co ha stimato che una transizione della Cina alle emissioni zero in poche decine di anni potrebbe costare intorno ai $5,5 mila miliardi, mentre i ricercatori della Tsinghua University hanno presentato una road map a 30 anni, per un costo totale di $15 mila miliardi, per la dismissione completa dell’utilizzo di carbone entro il 2050, grazie all’intenso aumento delle rinnovabili e del nucleare, e la conversione all’elettrico per l’80% del consumo energetico cinese entro il 2060.
Tra le principali perplessità riguardo alla notizia c’è che la data target dell’accordo di Parigi per la riduzione del riscaldamento climatico è il 2050, quindi la Cina partirebbe già con 10 anni di ritardo. Gli investimenti cinesi nel settore del carbone sono ingenti, e a fronte dei sempre più numerosi impianti appena costruiti o in via di costruzione che dovrebbero essere riqualificati, ci si chiede se davvero la Cina riuscirà a indirizzare gli interessi economici verso soluzioni più sostenibili.
Inoltre, l’annuncio giunge in un momento in cui il clima è sempre più al centro del dibattito politico e delle attenzioni degli investitori, mentre gli USA di Donald Trump si disinteressano del tema e addirittura si ritirano dall’accordo di Parigi: per Xi Jinping la dichiarazione di un impegno a lungo termine può rappresentare un passo strategico verso la leadership politica della questione climatica.
La speranza
La notizia sembra comunque esser stata ben accolta dalla comunità scientifica, che riconosce come l’impegno della potenza cinese sia fondamentale affinché tutti gli altri Paesi seguano la direzione delle emissioni zero.
E qualcosa in più delle semplici dichiarazioni sembra già muoversi anche in Cina: la Asian Infrastructure Investment Bank, di matrice cinese, ha recentemente annunciato che non finanzierà più alcun progetto che sia relativo al carbone.
La speranza che la Cina possa davvero frenare il suo impatto sul pianeta è condivisa da molti, tanto più se si considera che finora le emissioni cumulative prodotte dalla Cina sono la metà di quelle attribuibili agli Stati Uniti nei secoli passati: il 25% delle emissioni dal 1750 ad oggi proviene dagli USA e solo il 12,5% dalla Cina, che forse è ancora in tempo per limitare il danno.