L’insufficienza delle risorse assegnate alla sanità italiana è un problema emerso con chiarezza dopo lo scoppio della pandemia da coronavirus. L’emergenza ha infatti reso innegabili una serie di gravi lacune. Il capitale destinato al sistema di assintenza medica, dal 2010 al 2017, è sempre stato inferiore a quanto richiesto. Questo è stato anche frutto della necessità di limitare la spesa pubblica nazionale in seguito alla crisi dei debiti sovrani. La spesa dedicata ai fondi del SSN (Sistema Sanitario Nazionale) a prezzi costanti del 2010 è stata regolare fino al 2007, è cresciuta per un breve periodo, per poi diminuire ogni anno. Si deve precisare, in questo discorso, che nel parlare di tagli alla sanità non si ha a che fare con una riduzione in assoluto delle risorse economiche destinate al SSN. Piuttosto si ha a che fare con incrementi della spesa ridotti rispetto a quanto pianificato e del valore degli stessi in rapporto con il PIL.
Come funzionano i finanziamenti pubblici nel SSN
Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici per la sanità, in termini assoluti c’è stato un aumento complessivo di 8,8 miliardi di euro in dieci anni, dai 105,6 miliardi nel 2010 ai 114,4 miliardi nel 2019, con una crescita media annua dello 0,9%. Questo incremento, dello 0,9%, risulta però inferiore rispetto all’inflazione media annua dell’1,07%, traducendo tutto ciò in un definanziamento di fatto. In generale, nel secondo decennio del XXI secolo, il tasso di crescita medio annuo della spesa sanitaria pro capite italiana risulta essere tra i più bassi in Europa.
I famosi tagli alla sanità non sono tagli in valori assoluti, in quanto le risorse destinate al SSN sono aumentate di anno in anno, ma è diminuito il loro rapporto in relazione al PIL. Dal 2000 al 2009 il valore della spesa sanitaria pubblica in relazione al Prodotto Interno Lordo italiano è aumentato dal 5,5% al 7%, ma dal 2010 al 2019 c’è stato un calo, leggero ma costante, fino all’attuale 6,6%.
Secondo una relazione della Corte dei conti, inoltre, per quanto concerne gli ultimi anni prima dello scoppio della pandemia, la spesa pubblica italiana per la sanità è risultata essere molto inferiore rispetto a quella delle altre maggiori potenze economiche occidentali. Nel 2018 il rapporto tra i fondi destinati alla sanità ed il Prodotto Interno Lordo in Italia è stato del 6,5%, mentre, nello stesso anno la Francia ha sostenuto spese pari al 9,3% del PIL, ed hanno fatto ancora meglio Germania (9,5%), Regno Unito (7,5%) e Stati Uniti (14,3%). Anche per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica pro-capite totale, l’Italia risulta essere al di sotto della media OCSE.
Oltre alla spesa in sè, un elemento chiave sono i posti negli ospedali effettivamente disponibili. In Italia questi, tra ospedali pubblici e privati, nelle rilevazioni del 2020, risultano essere circa 192.000 (di cui 9.931 di terapia intensiva), quindi circa 3,2 ogni mille abitanti, mentre la media UE è di circa 5 ogni mille abitanti. D’altro canto, le cause di tale diminuzione sono da ritrovarsi anche nelle politiche di deospedalizzazione, con la volontà di offrire una maggiore assistenza domiciliare a chi ne avesse bisogno.
I 37 miliardi sottratti al SSN
Spesso, quando si parla di tagli al sistema sanitario, si evidenzia come dal 2010 al 2020 siano stati tolti circa 37 miliardi di euro, di cui 25 tra il 2010 ed il 2015 e circa 12 tra il 2015 ed il 2019. Tuttavia, tale dato deve essere letto con la giusta chiave interpretativa: i 37 miliardi, infatti, fanno riferimento ad aumenti pianificati che non sono mai arrivati. Quando si parla di “taglio di 37 miliardi” è bene precisare che si fa riferimento ai mancati aumenti attesi in quanto, in termini assoluti, il finanziamento del SSN a carico dello Stato italiano è sempre cresciuto.
Le differenze tra nord e sud
La spesa per la sanità italiana, dal 2010 al 2020, appare molto squilibrata da un punto di vista territoriale. Al nord gli investimenti pro-capite risultano essere molto più elevati rispetto al sud e le strutture, oltre che i servizi offerti, appaiono più efficienti. La provincia autonoma di Bolzano e quella di Trento, così come Liguria, Valle D’Aosta ed Emilia Romagna, sono riuscite a raggiungere valori più alti rispetto alla media nazionale. Il Molise è risultata essere l’unica regione del centro-sud tra le prime cinque.
La privatizzazione della sanità
Se è vero che la spesa pro capite in sanità pubblica in Italia risulta essere inferiore alla media OCSE, a correre ci pensa la sanità privata. Lo sviluppo piuttosto imponente di queste strutture in Italia pare aver dato vita ad una particolare ambiguità. Diverse regioni, infatti, hanno appaltato il “servizio sanitario pubblico garantito” ad ospedali privati. Questa pratica risulta vantaggiosa in prima battuta ma problematica nel lungo termine.
Da una parte il ricorso ad aziende private fa sì che non sia lo Stato a dover trovare il capitale iniziale, né le risorse umane necessarie per costruire nuove strutture. Tuttavia gli ospedali privati, in quanto tali, devono cercare un profitto, mentre quelli pubblici devono solo pagare le spese necessarie. Per questa ragione, come è emerso in modo particolare con il coronavirus, il servizio sanitario pubblico appaltato ad enti privati deve comportare un costo maggiore per lo Stato. Tale sistema, inoltre, ha spianato la strada ad una serie di comportamenti disonesti, al fine di ottenere più soldi. Fra questi, ad esempio, c’è stato il caso di un ospedale privato calabrese, Villa Sant’Anna, nel quale la Guardia di Finanza ha, a ottobre 2020, scoperto che una delle sale di terapia intensiva dichiarate alla regione non era mai esistita. Per allestire e mantenere tale sala l’azienda aveva ricevuto, dal 2013 al 2019, più di 10 milioni di euro dalla Regione. Questo, comunque, non vuole essere un modo per negare che comportamenti simili, anche se di carattere diverso, avvengano anche nel pubblico. Tuttavia, in ambito statale, è più difficile causare danni erariali di tali proporzioni con una singola operazione senza essere scoperti, difatti in questi casi i responsabili di solito riescono a sfilare una parte, limitata, dei sodi pubblici gonfiando i costi rispetto a quelli reali sostenuti dall’ospedale.
Le politiche di aziendalizzazione hanno finito per indebolire il sistema sanitario nazionale. Infatti, i fondi destinati ad un privato per la sanità non potranno mai essere per intero investiti nel potenziamento delle strutture e del personale, proprio a causa della necessità di generare un buon utile. Questo anche nel caso di massima onestà e correttezza da parte dell’azienda.
Va ricordata la distinzione fra ospedali privati “classici”, dove i pazienti pagano per le cure, non coinvolti in questo discorso, dagli ospedali privati convenzionati. Sono questi ultimi a svolgere, come aziende, il servizio pubblico per conto dello Stato in molte regioni, prima fra tutte la Lombardia, dove la sanità pubblica è quasi tutta in mano a privati.