Matteo Bruno Lunelli è il presidente e amministratore delegato di Cantine Ferrari, fondata nel 1902 da
Giulio Ferrari, pioniere della viticoltura italiana. Ha studiato all’Università Bocconi e prima di entrare nel
gruppo di famiglia ha fatto esperienza per 5 anni in Goldman Sachs, una delle banche d’affari più grandi del
mondo.
Nel 2019 la sua passione e il suo impegno nella promozione del Made in Italy lo ha portato a occupare la
carica di presidente di Fondazione Altagamma, che sostiene e promuove l’eccellenza imprenditoriale del
nostro paese.
Dottor Lunelli, come ha reagito il mercato dello spumante, e del vino in generale, alla pandemia?
Bisogna fare delle distinzioni perché nel mercato del vino c’è asimmetria tra vini destinati al settore Ho.Re.Ca. (Hotel, Ristoranti, Catering), e vini destinati alla GDO. Tutte le vendite nei supermercati hanno retto molto bene, mentre le etichette destinate all’on-trade sono state fortemente penalizzate.
Nel 2020 è mancata la convivialità, elemento che si lega molto al consumo di vino, specialmente in Italia. Lo stesso fenomeno non si riscontra nei mercati anglosassoni, nei quali infatti nel complesso la diminuzione
dei consumi è stata più ridotta.
Le bollicine di alto livello invece sono molto legate al catering, e in questo mercato lo Champagne è calato più del 20%, complice il fatto che ci sono stati meno eventi e celebrazioni; parte di queste perdite vengono leggermente compensate del consumo in casa in momenti di svago. L’online è stato il canale che ha avuto i tassi di crescita più alti, pur non essendo in grado di compensare il consumo perso con le chiusure di bar e ristoranti.
Il Gruppo è soddisfatto di aver chiuso l’anno con un -15%, calo tutto sommato contenuto visto il periodo. L’altissima gamma come “riserva Giulio Perlé” ha tenuto molto bene, la domanda era superiore alla disponibilità della cantina. Il cuore della produzione, come i non millesimati, ha invece sofferto molto la mancanza del loro mercato di riferimento.
Quali sono le criticità per l’export to UK da quest’anno, dopo l’addio dell’Inghilterra all’Unione Europea?
La Brexit è una cosa che giudico un grande peccato. Credo molto nel sogno europeo e ritengo che sia una sconfitta sia per Inghilterra che per l’Europa. Nel 2020 l’Inghilterra ha visto pandemia e Brexit insieme, che hanno portato numeri veramente drammatici nei consumi del canale Ho.Re.Ca. Sicuramente la Brexit nel 2021 ci porterà molta più burocrazia per tutto ciò che concerne certificazioni, documentazioni ed etichette, e in più il sistema dei trasporti sta ancora avendo difficoltà. Tutto questo porterà a un aumento dei costi e quindi a un aumento dei prezzi al consumo.
Ciò che oggi guida l’andamento dei consumi è più la pandemia che la Brexit, ci aspettiamo una ripresa più veloce grazie alle aperture già fissate in Inghilterra. La bella stagione e le ulteriori aperture di maggio e giugno porteranno ad un secondo semestre sicuramente positivo. Durante l’estate 2020 abbiamo notato che, quando le persone hanno potuto ritornare alla convivialità, lo hanno fatto con gran forza e voglia. Quell’effetto “revenge spending” porterà ad un effetto molla, appena sarà possibile.
In generale, in qualsiasi settore, ci si deve interrogare su quali siano i cambiamenti strutturali e quali temporanei. La mancanza di convivialità è temporanea, mentre i viaggi business magari vedranno una riduzione strutturale, visto che abbiamo imparato che alcuni affari si possono gestire senza necessariamente spostarci.
Di cosa si occupa Fondazione Altagamma? Quali saranno i trend del futuro per il settore del lusso?
Fondazione Altagamma raggruppa 107 marchi dell’eccellenza del Made in Italy di diversi settori: dalla moda, all’alimentare, alla nautica e al design. La mission è quella di sostenere e incrementare la crescita e la competitività dell’industria culturale e creativa italiana, dando un contributo al paese.
Il comparto dell’alto di gamma conta per quasi il 7% del PIL italiano, con oltre 400 mila persone impiegate direttamente e indirettamente nel settore. Altagamma, insieme ad associazioni europee simili, formano la “European Cultural and Creative Industries Alliance”. Il settore Luxury è uno dei pochi comparti il cui baricentro è rimasto europeo, a differenza di altri che con il passare degli anni si sono spostati in Cina o negli Stati Uniti.
L’Europa mantiene una leadership come primo produttore e primo mercato, ma ogni giorno di più, la Cina sta diventando primo consumatore di beni di lusso. Un terzo dei consumi mondiali oggi è operato da utenti cinesi e stimiamo che entro il 2025 si arriverà al 50%. I brand che vogliono crescere in questo mercato dovranno inevitabilmente dialogare con il consumatore cinese.
Il settore sarà inoltre sempre più digitale, nel 2020 infatti il 23% dei beni di lusso è stato acquistato online; nel 2025 il dato potrebbe spingersi fino al 30%.
L’altro trend nel mercato del lusso sarà la sostenibilità. I buyer internazionali valutano la sostenibilità come elemento fondamentale nelle loro scelte, e il consumatore sarà sempre più attento al “portato valoriale” dei marchi, dai quali ci si aspetta non solo prodotti eccellenti, ma che le aziende siano eccellenti nei rapporti con l’ambiente con i dipendenti, con le comunità locali e con i fornitori.
Cosa pensa del presidente Draghi? Quali crede che siano le misure da adottare per rilanciare il settore primario?
Con Mario Draghi siamo in ottime mani, ho avuto la fortuna di lavorarci assieme quando ero Junior a Goldman Sachs. Nel campo dell’agricoltura sarà cruciale fare in modo di sfruttare l’opportunità del Recovery Fund. Il piano nazionale di ripresa e resilienza deve avere come tematiche il digitale e la sostenibilità, fattori di sviluppo futuri grazie alle opportunità che questi offrono.
La tecnologia può aiutare nell’agricoltura di precisione, ed è un’opportunità per ottenere una produzione di eccellenza, sulla quale deve puntare l’Italia. Speriamo che il recovery fund porti questo settore verso la sostenibilità, ottenendo prodotti di eccellenza adottando sistemi che tutelino l’ambiente e chi lavora in campagna.
Intervista a cura di Marco Pili e Pietro Gallina