Le prime forme moderne di mercati finanziari sono nate in Europa, per la precisione in Belgio. Nel Sedicesimo secolo la città belga di Antwerp diventa il maggiore polo commerciale del Paese, ruolo che sino ad allora apparteneva a Bruges. Nell’arco di qualche decade, Antwerp diventa la capitale europea del commercio di zucchero, attraendo raffinatori da tutta europa. Gli acquirenti sono soprattutto mercanti tedeschi ma non solo.
Un giro d’affari di quel tipo porta allo sviluppo di un altrettanto vigoroso mercato di capitali, legati al settore dello zucchero.
La principale piazza di Antwerp dove, dal 1531, avvenivano le trattative è considerata da alcuni la prima Borsa della Storia, anche se ancora molto limitata e poco regolamentata. Qui, diversi mercanti, banchieri e intermediari si incontrano per concludere affari, prestare denaro e saldare debiti pregressi.
Il mercato è talmente grande da suscitare anche l’interesse anche dei mercanti inglesi, che infatti vi partecipano per una trentina d’anni. La dipartita degli Inglesi segna l’inizio del declino di Antwerp come polo finanziario europeo e prepara il terreno per l’ascesa di Amsterdam, in Olanda.
Indice
1. La nascita della Borsa di Amsterdam
2. Il primo mercato finanziario regolamentato
3. Il Buttonwood Agreement
4. Il consolidamento della Borsa di New York
5. La crisi del ’29
6. La Borsa di New York oggi
7. Il trading con gli algoritmi
La nascita della Borsa di Amsterdam
Il governo olandese attribuisce alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali (in lingua originale Verenigde Oostindische Compagnie) un monopolio ventennale sul traffico di spezie. Le garantisce completa autorità e autonomia su un ampio ventaglio di aspetti legati alle negoziazioni in Asia ed alla raccolta di capitali in patria.
Sarà la Compagnia Olandese, sfruttando le liberta lasciatele dal governo, ad istituire il primo vero mercato azionario della Storia, l’Amsterdam Stock Exchange, nel 1602, con l’obiettivo di raccogliere capitali da investitori privati. Fino ad allora, il mercato era stato perlopiù teatro di compravendite di commodities quali grano, tabacco, e così via. In altre parole, si investiva soprattutto in singole spedizioni commerciali, comprando in anticipo, a prezzi più bassi, parte dei prodotti per finanziare il tutto.
Quella di Amsterdam è la prima piazza in cui vengono scambiate azioni e titoli simili. Non sono legate alle merci di una spedizione ma ai profitti della relativa azienda della quale, comprando un’azione, diventano in piccola parte proprietari. L’emissione di titoli azionari rappresenta una grande novità: essi garantiscono agli investitori una partecipazione diretta ai profitti futuri della Compagnia sotto forma di dividendo.
Meglio di comprare in anticipo le merci dovendole poi rivendere per ottenere un profitto.
Il mercato azionario creato dalla Compagnia Olandese viene accolto molto bene dal pubblico e la società riesce ad assicurarsi un capitale che in valuta odierna ammonterebbe a circa cento milioni di euro. All’inizio, nella Borsa di Amsterdam vengono scambiati solo titoli di equity e di debito emessi dalla Compangia Olandese delle Indie Orientali. Nel 1623, però, scade la concessione di monopolio del governo olandese.
Secondo il contratto con il governo, alla scadenza la Compagnia avrebbe dovuto rimborsare i suoi azionisti. Ma sia la Compagnia che il pubblico vogliono continuare. Quindi, convincono il governo a fare una nuova concessione sul modello della precedente ma questa volta a tempo indeterminato.
Il primo mercato finanziario regolamentato
Il nuovo contesto non può che essere prolifico per il mercato azionario e porta infatti alla nascita dell’odierno mercato secondario, in cui gli operatori acquistano i titoli azionari da altri detentori e non direttamente dalla Compagnia. Degli operatori professionisti si occupano di fare da intermediari tra venditori e acquirenti. Inoltre, si occupano degli aspetti burocratici legati alla negoziazione e verificano che nessun operatore si comporti in modo scorretto. Il tutto in cambio di una piccola commissione applicata sotto forma di spread al prezzo di esecuzione. Sono gli antenati degli odierni broker.
Negli stessi anni, si sviluppano anche i primi mercati di contratti derivati sulle materie prime. All’inizio solo contratti forwards, che consentono di stabilire un prezzo alla data corrente per la consegna di un sottostante a una data futura. Ed è proprio tramite il commercio di questi strumenti che si origina la prima grande bolla speculativa sui mercati finanziari. A partire dagli anni ’20 del Diciassettesimo secolo, infatti, i tulipani olandesi acquisiscono una crescente popolarità. Portano profitti sempre più grandi, soprattutto dai Paesi asiatici. Nei primi anni Trenta il prezzo dei bulbi, e dei relativi futures, cresce a dismisura fin quando nel 1634 gli speculatori entrano nel mercato.
Questi attori commerciano esclusivamente in contratti forward a lunga scadenza. Al picco della loro popolarità, i contratti cambiano possessore anche una decina di volte al giorno. I prezzi dei bulbi aumentano parabolicamente, spinti però più dalla domanda di futures che da quella di fiori. Poi, nel Febbraio 1637, il prezzo all’imrpovviso crolla facendo andare interi patrimoni in fumo.
Il Buttonwood Agreement
Bisogna attendere quasi un secolo dalla nascita della Borsa di Amsterdam per vedere gli Stati Uniti assumere rilevanza nel panorama finanziario internazionale. Pur non essendo insensibili alle innovazioni che prendono piede oltreoceano gli Stati Uniti, diventti da poco un Paese indipendente, sono ancora ben lontani dall’avere un mercato strutturato ed efficiente. Il commercio, sia di securities che di commodities, è gestito e intermediato da banditori d’asta. In questo contesto così frammentato ventiquattro dei più influenti commercianti newyorkesi si incontrato in privato per convenire sulla struttura del mercato dei titoli americano e dargli un ordine.
Dopo uno sforzo che si protrae per un paio di mesi, il 17 Maggio 1792 viene finalmente firmato il Buttonwood Agreement, il documento che sancisce la nascita del New York Stock Exchange (NYSE). I ventiquattro commercianti stabiliscono con questo trattato due principi fondamentali da seguire: primo, si eliminano i banditori d’asta e si riserva ai soli broker l’intermediazione nella negoziazione di titoli azionari; secondo, le commissioni guadagnate dai brokers sulle operazioni sono fissate a 0,25%. L’evoluzione della Borsa di New York continua nel corso dell’Ottocento e passa anche da Philadelphia: la Borsa locale era stata fondata un paio di anni prima del NYSE.
In virtù di questo, da New York viene mandata una delegazione di broker a osservare il funzionamento della Borsa di Philadelphia, da vari punti di vista meglio organizzata. In seguito a questa spedizione, la Borsa newyorkese introduzione di restrizioni sulla manipolazione di mercato e la costituzione di organi formali di governance.
Il consolidamento della Borsa di New York
Nel 1865 viene poi concluso il processo di centralizzazione degli scambi, con l’adozione dell’attuale sede. In quel periodo un’altra invenzione, quella del telegrafo, contribuisce al consolidamento dei mercati finanziari e in particolare a quello di New York, che si riscopre più resiliente ai momenti di crisi rispetto ai suoi concorrenti. Sull’onda di questo successo, il NYSE completa delle fusioni strategiche, come quella con l’Open Board of Stock Brokers nel 1869, con l’obiettivo aumentare il numero di membri e il volume degli scambi, così da poter garantire ai clienti una maggiore liquidità.
Negli ultimi trent’anni dell’800, complice la guerra civile, si osserva una crescita sostenuta del trading di titoli finanziari per lo più con fine speculativo, tanto che l’exchange si trova costretto a porre dei limiti. Una frenesia del genere, che accompagna anche il primo trentennio del Novecento, non può che culminare in un evento di proporzioni significative.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, infatti, un ottimismo generalizzato ed una crescente fiducia nell’industrializzazione degli Stati Uniti portano i prezzi del mercato azionario ai livelli più alti di sempre. Sebbene diversi segnali indichino, in realtà, un’economia piuttosto stagnante, sono molti gli operatori e gli economisti che credono che il mercato azionario non possa far altro che continuare a salire.
La crisi del ’29
Nel Settembre 1929, però, una prima correzione dei prezzi si verifica a seguito della predizione di un esperto finanziere, Roger Babson, che sostiene l’imminente arrivo di un crollo.
L’entusiasmo generale, però, è talmente grande che la correzione viene interpretata come un’opportunità di comprare ulteriormente a sconto. Un mese più tardi prende piede un intenso sentimento risk-off e negli ormai famosi Black Thursday, Black Monday e Black Tuesday il mercato perde cumulativamente più del 35%. Il declino non si arresta fino all’8 Luglio del 1932, quando l’indice Dow Jones chiude la sessione a 41.22, giù di quasi il 90% rispetto a tre anni prima. Questo evento di natura prettamente finanziaria si ripercuote con conseguenze disastrose anche nell’economia reale. Inizia un periodo buio chiamato Grande Depressione, caratterizzato da alta povertà, alta disoccupazione, deflazione e bassi profitti. Tutto ciò porta il governo statunitense a regolamentare meglio i mercati finanziari.
Risale a questo periodo, infatti, il celebre Glass Steagall Act, con cui vengono definitivamente separate le banche commerciali, il cui compito è di raccogliere depositi e fornire prestiti, dalle banche di investimento, che invece sottoscrivono ed emettono titoli finanziari come azioni, obbligazioni e derivati. Inoltre, viene inserita la possibilità di interrompere le sessioni di trading qualora i prezzi si dovessero discostare in una maniera eccessiva dal loro precedente valore di chiusura.
La Borsa di New York oggi
L’opera di consolidamento del NYSE menzionata in precedenza continua anche negli anni Duemila, con una serie di operazioni rilevanti, tra cui la fusione con Archipelago Exchange nel 2005, e con Euronext, nel 2007, per espandersi oltreoceano, con l’incorporazione nel gruppo ICE nel 2013.
Andando brevemente indietro nel tempo, vale la pena porre l’accento su quella che è (e quella che fu) l’evoluzione della metodologia di scambio dei titoli finanziari. All’inizio, i titoli finanziari sono veri e propri fogli di carta stampata che rappresentano un claim, ovvero il diritto a ricevere una somma di denaro, nei confronti dell’entità emittente. I coupons delle obbligazioni, ad esempio, derivano il loro nome dalla loro caratteristica forma di tagliando da strappare e consegnare all’emittente per ricevere in cambio la cedola cui si ha diritto.
Solo molto in seguito, grazie all’avanzamento tecnologico e alla diffusione dei computers, i fogli vengono rimpiazzati da entrate in un registro elettronico. Ciononostante, il metodo di impartizione degli ordini sul trading floor con gli scenografici segnali fatti con le mani è sopravvissuto al progresso tecnologico per più di un trentennio.
Questo tipo di segnaletica nasce negli anni Settanta del Novecento presso il Chicago Mercantile Exchange (CME), in cui vengono scambiati soprattutto derivati sulle materie prime per i quali è essenziale garantire un’esecuzione della transazione impeccabile in termini di tipo, prezzo e quantità. Al CME, pertanto, non è inusuale vedere gli operatori estendere il palmo della mano verso una loro controparte per poi girarla di novanta gradi parallelamente al terreno con tutte le dita estese al fine di indicare l’intenzione di vendere un determinato strumento a un prezzo di dieci dollari. O, viceversa, estendere il dorso per indicare l’intenzione di acquistare.
Da inizio anni Duemila, con l’introduzione al NYSE di Direct+, una piattaforma che consente l’esecuzione automatica e immediata di ordini limite fino a 1099 azioni, il sistema basato sugli specialisti del floor e sui loro segnali viene progressivamente rimpiazzato da sistemi elettronici sempre più efficaci e rapidi. Poco più tardi, nel 2005, viene promulgato il celebre Reg-NMS (Regulation National Market System), un insieme di regole volte a modernizzare e rafforzare il mercato azionario americano alla luce degli incessanti sviluppi in ambito tecnologico.
Il trading con gli algoritmi
Contestualmente, viene rimosso il limite di 1099 azioni della piattaforma Direct+ e la partecipazione degli specialisti del floor cala drasticamente. In questi anni si sviluppano due fenomeni che sono legati a stretto giro e che ancora oggi sono particolarmente in voga: l’High Frequency Trading e l’Algorithmic Trading.
Sfruttando la crescente rapidità delle connessioni a internet e dell’innovazione tecnologica, diversi operatori cercano di stabilire i propri headquarters il più vicino possibile agli exchanges. Questo per far sì che la connessione con la Borsa sia sufficientemente rapida da garantire l’immissione e la cancellazione di ordini nell’arco di millisecondi.
Il compito viene affidato a un algoritmo, che immette ed elimina ordini sul mercato in automatico a seconda dei parametri con cui viene impostato. Infine, una delle più recenti innovazioni che vale la pena citare è sicuramente quella delle fractional shares, di cui molti broker fanno il loro cavallo di battaglia nel cercare di assicurarsi una maggior fetta di clientela retail. Si tratta della possibilità, da parte dell’investitore, di acquistare frazioni di un’azione invece che un’azione intera. Ad esempio, un investitore che non vuole spendere più di tremila dollari per un’azione intera di Amazon, può acquistarne un decimo, spendendone circa trecento. Sarà poi compito del broker collocare i restanti nove decimi ad altri clienti.