L’economia, nel senso corrente del termine, è la disciplina che studia la struttura ed il funzionamento dei mercati, partendo dall’analisi dei meccanismi di produzione e scambio. Esiste poi la distinzione fra microeconomia, quando ha come oggetto le unità economiche, e macroeconomia, quando si riferisce a sistemi economici che includono più attori.
L’inizio dello studio sistematico dei meccanismi economici
L’economia come disciplina autonoma nacque nel XVIII secolo, anche se la data esatta è opinabile. La si potrebbe collocare nel 1754, a Napoli, con l’istituzione della cattedra di Commercio e meccanica del professor Antonio Genovesi, oppure nel 1776, con la pubblicazione dell’opera di Adam Smith The Wealth of Nations. Si tratta, infatti, rispettivamente, del primo corso di studio sul mercato della Storia e della prima opera dedicata ad affrontare in modo approfondito i meccanismi economici
Il corso Commercio e meccanica fu il primo nella storia a trattare di economia in modo simile a come si fa oggi. Non è un caso che tale disciplina si sia separata dalla filosofia politica proprio nel XVIII secolo. Innanzitutto, i progressi tecnici e le nuove esplorazioni e colonizzazioni portarono ad un massiccio aumento della produzione negli stati Occidentali. Questo portò a far espandere i mercati, che diventarono sempre più indipendenti ed a seguire dei loro meccanismi difficili da manipolare.
La grossa differenza della nuova disciplina economica rispetto al passato era l’approccio. Se prima si parlava di produzione e scambi quasi solo in astratto e sempre in relazione alla politica, nel ‘700 si diffuse una visione incentrata sul mercato in sé e sempre più su dati empirici, traducibili in numeri.
Il mercantilismo
Prima della nascita dell’economia come disciplina si era sviluppato il primo abbozzo di un modello economico, il mercantilismo. Questo si fondava sull’idea secondo cui la ricchezza dello Stato dipendesse dalla quantità di moneta, ed in generale dai metalli preziosi, presente nel Paese. Ciò implica che, per avere un’economia forte, una nazione dovrebbe riuscire a mantenere sempre le esportazioni di merci superiori alle importazioni. Questa idea spinse i governi del XVIII secolo ad attuare politiche protezioniste, imponendo tasse di importazione molto alte ed addirittura proibendo alcuni prodotti stranieri.
Il mercantilismo era un pensiero di protoeconomia e non di economia per come la si intende oggi. Mancavano le componenti astratte dello studio dei meccanismi del mercato, l’uso di funzioni matematiche per fare previsioni, la riflessione sistematica sui modelli economici possibili.
Economia e liberalismo
Se nell’ottica mercantilista era previsto un forte intervento dello Stato nel mercato, l’economia fu invece costruita sull’idea del liberismo del liberalismo classico. Fino al ‘700, quando si parlava di produzione e scambio si cercava un modo per porli il più possibile sotto controllo. Non si cercava di comprendere la natura delle meccaniche economiche, quanto piuttosto di contenerle. Con il liberalismo si affermò invece l’idea che, anche in economia, lasciando fare ad ognuno il proprio interesse si fa l’interesse della collettività. Si diffuse l’idea secondo cui se chi lavora lo fa per il suo bene, e la ricchezza dipende solo dal lavoro e dall’intraprendenza, e non dalle rendite per privilegio, allora la produzione crescerà e così si arriverà ad avere più ricchezza per tutti.
La prima economia
La visione dei primi padri dell’economia era un po’ ingenua, anche se per certi versi lungimirante. Con l’affermarsi di quello che sarà poi detto sistema capitalista si avrà un miglioramento rispetto ad un passato fatto di privilegi nobiliari, con immense porzioni di terra trascurate per disinteresse dei proprietari. Nel XVIII secolo molti iniziarono a credere che, in un modo o nell’altro, la completa libertà del mercato avrebbe portato ad un miglioramento della condizione di tutti.
Per Antonio Genovesi ogni uomo è per natura buono, così l’idea di un modello liberista, nella sua ottica, porterebbe di certo ad un miglioramento. Infatti, se gli uomini per natura sono portati a fare del bene, lasciando ad ognuno la possibilità di agire sarà automatico che il ricco aiuterà il povero. Un po’ più disincantato sarà il quadro di Adam Smith, che tuttavia idealizza sempre il nascente liberismo. Per il filosofo scozzese non ha importanza che i ricchi, o qualcun altro, si occupino di ridistribuire le ricchezze. Se ognuno trae profitto in maniera proporzionale al lavoro ed alla gestione corretta dei mezzi di produzione, allora la produzione aumenta. Ciò porterebbe, secondo Smith, all’aumento della ricchezza di tutti.