Snapchat ha stupito, ha conquistato ed è entrata nel quotidiano della fascia più mutevole ed esigente dell’intero mercato tecnologico, i millenials.
L’ingresso di snapchat tra i giganti di Wall Street rappresenta un forte messaggio per tutto il mondo tecnologico. La società è stata la prima IPO tecnologica del mercato americano che ha permesso di raccogliere 3.4 miliardi di dollari, tramite la vendita di 200 milioni di azioni ad un prezzo di mercato di 17$ ad azione. Come aveva fatto Facebook nel 2012, la società ha scelto di quotarsi sulla fascia più alta della forchetta di prezzi individuata tra i 14$ e i 16$.
L’eccitazione del mercato azionario americano, figlio della politica di “deregulation” economico-finanziaria voluta dal governo Trump, ha fatto sì che ci fosse una notevole reazione. I titoli del “Ghostface Chilla”(il nome della mascotte di snapchat) hanno aperto il 2 marzo a 24,00$ al pezzo, toccando il valore massimo di 25,42$, garantendo un gain sull’IPO del 44% (considerando che nell’IPO la domanda aveva superato l’offerta di titoli di ben 10 volte!).
Il successo dilagante delle “Live Stories” ha garantito importanti accordi con la NFL, che nel 2015 e ha portato a 158 milioni di utilizzatori attivi giornalieri (più di Instagram che si assesta sui 150 milioni). Ma già nella settimana successiva all’offerta sul mercato qualcosa è iniziato a scricchiolare; il titolo è scivolato dai massimi che si avvicinavano ai 30$ per azione fino a scendere sotto i 20$ (-33%), garantendo però un prezzo ancora superiore al valore di IPO. Ma da cosa deriva questa forte volatilità?
Il problema centrale di Snapchat è il limite alla crescita potenziale, infatti, come evidenziato da Laura Martin, Needham&Co Senior analyst, la piattaforma social è condizionata dall’ampiezza non soddisfacente del suo “Total addressable market”(TAM). Ovvero il mercato potenziale che un’azienda specifica può in teoria raggiungere (considerando uno scenario di espansione verosimile). Infatti il TAM è rappresentato da sole 650 milioni di persone (1/5 del concorrente Facebook). Visto e considerato il limite alla crescita degli utenti, l’unico modo per aumentare i ricavi è sicuramente legato all’ aumento del numero di pubblicità per utente; ma questo modello risulta sostenibile per una generazione così volubile?
Bisogna anche considerare che le persone sotto i 25 anni usano snapchat circa 30 minuti al giorno, quelle sopra tale età circa 20 minuti, contro i 50 minuti di Facebook. Il coinvolgimento è sicuramente presente ma non ai livelli del principale concorrente, che più volte ha provato ad acquistare la neo-quotata.
Con la ricerca di Bloomberg riguardante gli utenti medi giornalieri, a seguito della clonazione attuata con “Instagram Stories” (concept replicato e forse “abusato” anche dalle altre piattaforme del gruppo, Facebook e WhatsApp) è stata messa in luce la principale debolezza del social. Pur avendo considerato che l’incremento degli utenti tra il terzo e l’ultimo parziale dell’anno ha toccato il +80% nel 2014 e più 62,5% nel 2015 (a 13 milioni di users), non è sicuramente da prendere sotto gamba il calo del 50% (5 mln di utenti) dell’ultimo Q4, sicuramente influenzato dal clone introdotto da Facebook Inc nel Q3 2016. Considerando che il numero di users medi delle due società suddette ammonta a 1.2 miliardi per FB e 300 milioni per TWTR (rispetto ai 158 milioni del fantasmino), la valutazione sembra sicuramente eccessiva.
La scarsa profittabilità è sicuramente un altro” pilastro” della barcollante struttura finanziaria del fantasmino. Il tutto però viene drasticamente smentito dal mercato in preda ad una fase bullish senza precedenti che traina con sé l’euforia legata ai titoli più glamour del momento. Ancora più drammatico è il risultato economico netto, che ha evidenziato una perdita di 515 milioni di dollari per l’esercizio 2016 pur avendo incrementato i ricavi di ben 7 volte! E’ palese la necessità di incrementare i ricavi per utente e al contempo di confrontarsi con la lenta crescita del numero di users per una società che genera fatturato da soli due esercizi.
In aggiunta alla disastrosa situazione economica e alla feroce concorrenza sulla ”user base”, si aggiunge un problema di cash flows. Infatti, la creatura di Spiegel & Co. è una macchina “cash-burn”, che non ha fatto niente per nascondere o limitare la sua insaziabile necessità di liquidità. Nel Q4 2016, il trimestre prima della quotazione, Snap ha utilizzato 1.14$ cash per generare 1$ in ricavi.
Infine c’è il problema legato al diritto di voto delle azioni. Snapchat è infatti la prima azione flottante sul mercato americano a distribuire “non-voting shares”. Questo significa che gli azionisti non avranno alcun potere sulla nomina e sulla compensazione dei managers e non potranno esporre o discutere questioni prima del meeting annuale. Un gesto di fiducia estrema verso il duo miliardario che sarà direttamente responsabile della sorte della società nel bene o nel male.
Pur considerando queste gravi lacune, Snapchat rappresenta un importante segnale per le IPOs emergenti come Uber, Dropbox e Spotify in primis. Un’iniezione di fiducia in un settore pieno di incertezze ma ad alto potenziale di crescita sarebbe sicuramente di buon auspicio per la continuazione di un trend che punta al consolidamento. Ma fino a che punto queste decine di miliardi di valutazione del mercato sono coerenti con l’effettivo valore aggiunto e con i flussi di cassa?
Lo spunto di riflessione si colloca in questo frangente; “historia magistra vitae” dovrebbe essere un caposaldo degli ambienti finanziari, specialmente dopo i recenti avvenimenti del 2008. L’euforia irrazionale di Shiller (il quale ha recentemente apostrofato il comportamento dei mercati) sembra pervadere in tutti i titoli fomentati dal Trump rally, non trovando in alcuni casi, una solida correlazione con i fondamentali. Dovrebbe essere ancora ben salda nella mente degli investitori l’immagine della bolla dot-com di inizio millennio (esemplare il caso Webvan). In tutto ciò non si può trascurare il campanello di allarme, visto che questi nuovi settori, in un mercato azionario senza regole, rischiano di portare alla creazione di bolle speculative simili a quelle che hanno causato la crisi del 2008.