Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, il nuovo Stato dovette affrontare moltissimi problemi. Il principale era la mancanza di un sistema bancario nazionale e di una Banca centrale. Da questo si sviluppò il primo ed unico grande scandalo dell’Italia Sabauda.
Prima della nascita della Banca d’Italia (istituita nel 1894), nel sistema bancario del Regno D’Italia esistevano sei banche che avevano il compito di emettere cartamoneta supportata dalla copertura del gold standard. La moneta cartacea, all’epoca, aveva un valore pari all’oro conservato negli istituti di emissione. Le sei banche italiane erano istituti degli ex stati preunitari: la Banca Romana dello Stato Pontificio, la Banca Nazionale Toscana, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e la Banca Nazionale del Regno d’Italia. Dal 1874 il governo italiano aveva rilasciato ai sei istituti la facoltà di stampare ed emettere la moneta cartacea. Questi istituti d’emissione dovevano rispettare rigide regole, specificando il tetto massimo di banconote emesse e il loro rapporto con le riserve auree.
Lo scandalo
Dal 1870 in Italia esplose un forte boom edilizio, le maggiori città vennero velocemente modernizzate e le banche si resero assolute protagoniste. Esse infatti investirono pesantemente utilizzando i risparmi depositati in investimenti a lungo termine (credito ad aziende immobiliari ed edilizie ed acquisto di titoli ed azioni).
Nel 1889 scoppiò la crisi del settore edilizio e le principali banche private si trovarono impossibilitate a rientrare dei capitali investiti. Per evitare il collasso del sistema bancario intervenne lo Stato. Già dal 1883, sei anni prima della crisi edilizia, i sei istituti avevano avuto la concessione di emettere cartamoneta per supportare gli investimenti nel settore immobiliare, superando i limiti consentiti.
La Banca Romana, attuando questo meccanismo, commise gravissime irregolarità, che costrinsero l’allora ministro dell’agricoltura e dell’industria italiano Miceli, nel 1889, ad istituire una commissione d’inchiesta. La commissione, presieduta dal senatore Alvisi e dal commendator Biagini, funzionario del Tesoro, scoprì che il governatore della Banca Romana, Bernardo Tanlongo, era gravemente coinvolto nello scandalo.
La commissione affermò che la cartamoneta emessa aveva superato i 25 milioni di lire dell’epoca (un milione di lire dell’epoca corrisponde a quattro milioni di euro attuali), tetto massimo che la Banca era autorizzata ad emettere, e che c’era un buco di bilancio di 9 milioni che era stato sanato con biglietti falsi, emessi sempre dalla Banca.
Venne fuori, oltretutto, che la Banca aveva usato quel denaro per attuare speculazioni nel settore edilizio e per corrompere politici e giornalisti emettendo prestiti in forma di cambiali le quali, alla scadenza naturale, venivano rinnovate. Utilizzando questo stratagemma i beneficiari si vincolavano agli interessi della Banca. Inoltre la Banca aveva dato in prestito denaro a condizioni favorevoli (e persino donato) a diversi governi, a partire da quello di Depretis nel 1876.
Tentativi di insabbiamento
Nel 1891 ci fu il primo tentativo del governo italiano, presieduto da Di Rudini, di insabbiare l’inchiesta. Ad Alvisi venne impedito, grazie alle pressioni di Francesco Crispi, di Giovanni Giolitti e di Miceli, di riferire in Senato «in nome dei supremi interessi del paese e della Patria». L’inchiesta venne dunque in un primo momento insabbiata, ma Alvisi rivelò lo scandalo ad alcuni amici. Così nel 1893 una copia della relazione della commissione finì nelle mani del deputato Napoleone Colaianni, membro dell’opposizione, antagonista dei governi Crispi prima e Giolitti poi, e lo scandalo venne fuori. Giolitti, che era presidente del Consiglio dal maggio del 1892, decise di istituire una commissione d’inchiesta amministrativa, con poteri minori rispetto ad una commissione parlamentare.
Nel gennaio del 1893 essa rivelò dati incredibili: 65 milioni di lire emesse dalla Banca Romana circolavano illegalmente, c’erano 20 milioni di ammanco di cassa ed erano stati prodotti 40 milioni in cartamoneta falsa.
Nel libro di memorie di Giolitti fu lo stesso politico a confermare le cifre della commissione. Nel marzo del 1893 la maggioranza del parlamento decise di nominare una commissione parlamentare d’inchiesta per confermare le responsabilità dei politici coinvolti nello scandalo.
Conclusione
Vennero arrestati Bernardo Tanlongo, ex governatore della Banca Romana, e il direttore dell’istituto Michele Lazzaroni. Molti illustri personaggi, tra cui il direttore del Banco di Napoli, furono arrestati e molti altri morirono in condizioni misteriose. L’ex direttore del Banco di Sicilia fu la prima “vittima” dopo che aveva denunciato irregolarità nel suo stesso istituto.
Giolitti venne accusato di aver avuto due prestiti, uno di 60.000 lire ed uno di 40.000. Travolto dallo scandalo si dovette dimettere dalla Presidenza del Consiglio (15 dicembre 1893). Il processo si concluse nel luglio del 1894: tutti gli imputati vennero assolti. I giudici, per non coinvolgere uomini di spicco del panorama politico – Francesco Crispi e molti altri – dichiararono che durante le indagini erano scomparsi importanti documenti.