Questo è il secondo di una serie di articoli in cui si analizzano i legami tra le retribuzioni dei manager bancari e la crisi economica del 2008. Trovate qui il primo articolo.
La cultura dei bonus bancari
La cultura dei bonus a Wall Street è stata una caratteristica tipica delle banche di investimento per decenni. Probabilmente questo tipo di remunerazione risale all’epoca durante la quale le grandi banche di investimento erano ancora delle partnerships. Infatti in principio queste istituzioni tenevano sotto controllo i costi fissi mantenendo degli stipendi molto bassi e remunerando il management con dei bonus in denaro in base ai profitti realizzati di anno in anno. Lo scopo iniziale era quindi non quello di incentivazione: si mirava più che altro al controllo degli stipendi garantendo bassi compensi in periodi di bassi profitti e stipendi più alti in periodi di forte boom. In seguito, quando tali partnerships si dissolsero andando a creare le attuali Investments Banks sotto forma di Società per azioni, questo metodo di remunerazione rimase in vigore. Successivamente, con l’evolversi del mercato, i bonus in contanti si trasformarono in stock options e azioni vincolate e con lo sviluppo delle teorie di Corporate Finance il metodo dell’incentivazione dei manager assunse sempre più importanza nell’ottica della gestione delle remunerazioni aziendali. Di lì a poco quella che era stata costruita come una elegante teoria si trasformò nella selvaggia anomalia odierna con remunerazioni spesso fuori da ogni logica di mercato.
Remunerazione fissa contro remunerazione variabile
La crisi economico-finanziaria del 2007-2009 ha avuto senza dubbio importanti conseguenze sulle remunerazioni adottate nei grandi istituti finanziari. Le remunerazioni variabili dei CEO americani ed europei sono scese notevolmente durante la crisi e sono risalite celermente nel periodo post-crisi. E seppure questo potrebbe far pensare che la ratio degli incentivi abbia funzionato, remunerando i manager quando le performance aziendali erano buone e tagliando di fatto tali bonus durante il periodo di crisi, è importante sottolineare che tali remunerazioni scesero soprattutto per le forti pressioni politiche derivanti da un’opinione pubblica inferocita, nonché dalle drammatiche condizioni finanziarie in cui versavano tali istituti. È interessante notare che gli amministratori delegati degli istituti statunitensi hanno ricevuto in anni profittevoli frazioni assai più elevate del loro salario in forma di bonus in contanti, azioni vincolate o stock options rispetto ai manager europei. Si pensi che durante il 2010 Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, ha ritirato ben 23 milioni di dollari di retribuzione, il 90% della quale in bonus e stock options, mentre Larry Blankfein, CEO di Goldman Sachs, ha preso più di 16 milioni di dollari nel solo 2011. Si potrebbe notare anche una certa correlazione tra le elevate remunerazioni variabili dei manager e i pesanti rischi assunti dagli istituti statunitensi, che difatti si trovarono molto più esposti nei confronti del mercato rispetto a quelli europei.
Nuove forme di regolamentazione: il Dodd-Frank Act
A seguito della travolgente crisi le autorità, sospinte dalla pressione mediatica e pubblica, vararono un’importante opera di regolamentazione. Negli Stati Uniti il presidente Obama firmò il “Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act“. L’atto promosse in primo luogo la stabilità finanziaria negli USA e mirò in particolare ad una maggiore trasparenza e responsabilità del sistema finanziario nei confronti dei risparmiatori. Il Dodd-Frank si spinse anche oltre, regolando le retribuzioni per tutte le istituzioni finanziarie e imponendo a tutti gli istituti di identificare e comunicare le modalità di remunerazione e incentivazione che avrebbero potuto portare ad una perdita finanziaria. Inoltre vietò alle istituzioni finanziarie di adottare piani di incentivazioni che secondo i regolatori avrebbero potuto incoraggiare l’assunzione di eccessivi rischi da parte degli istituti stessi.
I principali punti introdotti dal Dodd-Frank furono:
- Say on pay, secondo il quale le società quotate dovevano esprimere un voto non vincolante sulla retribuzione dei dirigenti designati almeno una volta ogni tre anni;
- Say on golden parachutes, per il quale le società quotate dovevano esprimere un voto non vincolante sul compenso della buonuscita milionaria in caso di voto su una OPA (Offerta Pubblica di Acquisto);
- Increased disclosures and trasparency, in base al quale le società dovevano divulgare le relazioni esistenti tra remunerazione dei manager e performance finanziaria da raggiungere, lo stipendio del CEO e il suo ratio e qualunque operazione di hedging contro le possibili diminuzioni di valore dei titoli conferiti a manager e dipendenti.
Inoltre con l’Integrity and accuracy of executive compensation fu resa chiara l’indipendenza del comitato retributivo e la formazione di accantonamenti volti al recupero di ogni stipendio assegnato basandosi su dati finanziari errati o poco accurati. Infine nel 2011 con il Federal Deposit Insurance Act si mettevano dei paletti ai livelli di remunerazione, definiti irrazionali o comunque sproporzionati rispetto alla quantità e qualità dei servizi resi.
In Europa la regolamentazione si concentrò sul rapporto tra remunerazioni fisse e variabili. Il G20 nel 2009 istituì il Financial Stability Board e il Financial Stability Forum ai quali spettavano i compiti di promozione della stabilità finanziaria e cooperazione tra istituzioni, mentre le raccomandazioni più specifiche sulle retribuzioni variabili e fisse furono inserite nei Principi e Standard per le remunerazioni (P&S) che l’FSB ha in seguito emanato per fornire linee guida per i bonus bancari. Queste erano volte a garantire una governance regolare delle remunerazioni, oltre ad un reale allineamento della retribuzione con una prudente assunzione di rischi e un efficiente controllo di vigilanza.
Nell’ultimo decennio il problema sulle retribuzioni dei top executives, in particolar modo a Wall Street, continua a sollevare molte polemiche, soprattutto per il fatto che grosse quantità di denaro pubblico, gettato nelle fauci di questi grandi istituzioni “Too Big to Fail” al fine di sanarne i bilanci, sono finite invece nelle tasche del top management che aveva contribuito in maniera lapalissiana al crack finanziario. Il problema persiste ancora oggi e solo la continua ricerca di nuovi e più efficaci metodi di incentivazione può portare all’innovazione e al miglioramento di tutto il sistema finanziario ed economico.