Questo articolo fa parte di una serie in cui si descrivono i legami tra le retribuzioni in forma di incentivi ai manager di Wall Street e la crisi economica del 2008. Trovate qui il primo articolo introduttivo, a questo link il secondo, incentrato sul Dodd-Frank Act, e qui il terzo, sul funzionamento delle stock options.
Stock options a rapporto
Negli ultimi anni il tasso di crescita delle remunerazione dei top manager è aumentato sensibilmente. Come abbiamo avuto modo di dire nei precedenti articoli, questo deriva in larga parte da un ingente aumento nell’utilizzo dei piani di stock options da parte delle aziende. Fino al 2005 la crescita delle remunerazioni attraverso stock options è stata sospinta da diverse cause, una su tutte il fatto che non dovevano essere spesate a conto economico. In passato, infatti, le stock options dovevano essere riportate in bilancio con un valore pari al loro valore intrinseco e di solito questo costo risultava pari a zero, poiché le opzioni venivano emesse at the money. Dal 1995 le cose iniziarono a cambiare, anche se con non poche resistenze. In quegli anni venne approvato lo standard contabile FAS 123 e, in un primo momento, si ebbe l’impressione che esso avrebbe costretto le società a spesare le stock options in base al loro fair value, come era logico che fosse. Ma un’intensa attività di lobbying riuscì ad evitare che tali punti venissero sottoscritti come prassi obbligatoria. Lo standard incoraggiava solamente le società a spesare le opzioni e al contempo chiedeva loro di esprimere in bilancio una nota che ne indicasse il fair value.
Ora, dopo tante dispute, gli standard obbligano le società ad indicare e spesare tra le componenti negative di reddito del conto economico il fair value delle stock options. Per effetto dei nuovi standard attualmente le stock options devono essere valutate alla data di assegnazione ed il loro valore deve essere indicato tra le componenti negative di reddito dell’esercizio in cui vengono assegnate. Negli standard non è prescritto che le opzioni vengano rivalutate negli esercizi successivi. Secondo diversi accademici come J. C. Hull e A. White il metodo di ricalcolo del valore delle stock options al termine di ogni esercizio (o anche trimestralmente) sarebbe in assoluto la soluzione migliore per eliminare diversi problemi legati alla valutazione delle opzioni. Se tale suggerimento venisse seguito, le stock options verrebbero considerate alla pari degli altri derivati presenti nel bilancio della società. In tal modo, se il loro valore aumentasse da un esercizio all’altro, un ulteriore importo verrebbe incluso tra le componenti negative di reddito e viceversa se il loro valore diminuisse. Con questo approccio ci sarebbero diversi vantaggi: ad esempio, il costo contabile cumulato rifletterebbe il valore effettivo ex post delle stock options e quindi non dipenderebbe dal metodo di valutazione utilizzato. Inoltre in seconda analisi le società non sarebbero più incentivate ad adottare pratiche scorrette di backdating.
Il grande problema del backdating
Proprio il backdating è una delle pratiche che ha compromesso il corretto funzionamento delle stock options. Essa consiste nel porre su un documento una data anteriore a quella effettiva. La pratica è esplicabile attraverso un esempio: si supponga che, il 30 ottobre, quando il prezzo corrente dell’azione della società Apuanella è pari a 50 euro, la società decida di varare un piano di stock options a favore dei propri dipendenti. Dato che in precedenza, il 3 ottobre, il prezzo dell’azione era sensibilmente più basso, diciamo 42 euro, ci potrebbe essere la tentazione da parte della società di fissare lo strike price proprio a 42 euro. Questo comportamento non sarebbe illegale se le opzioni venissero assegnate il 30 ottobre e la società dichiarasse che sono in the money per 8 euro (pari alla differenza tra i valori citati). Sarebbe invece illegale dichiarare che le opzioni sono state assegnate il 3 ottobre e che erano at the money a quella data. Infatti il 3 ottobre il valore di un’opzione at the money, calcolato quando il prezzo dell’azione sottostante è a 42 euro, è di gran lunga inferiore al valore della stessa opzione calcolato il 30 ottobre, quando il prezzo dell’azione è pari a 50 euro. Se la società dichiarasse attraverso una retrodatazione dei documenti (il backdating) che le opzioni sono state assegnate at the money il 3 ottobre, gli azionisti verrebbero ingannati circa il reale costo delle stock options.
Si stima che il numero di società che hanno retrodatato illegalmente le assegnazioni di stock options sia pari a diverse centinaia. Alcuni amministratori delegati si sono addirittura dimessi dopo che gli scandali relativi a tali pratiche sono venuti alla luce. Nell’agosto del 2007 Gregory Reyes di Brocade Com. Systems Inc. è stato il primo CEO ad essere processato e condannato per backdating. Secondo quello che riportò la stampa, Reyes avrebbe detto ad un impiegato che lo metteva in guardia sulla pericolosità di tali pratiche: «Non è illegale se non vieni preso». Nel giugno 2010 è stato condannato a 18 mesi di detenzione e 15 milioni di dollari di multa. Alcune società coinvolte in questi scandali hanno dovuto rettificare decine di bilanci degli anni precedenti. McAfee ad esempio comunicò nel dicembre 2007 che avrebbe rettificato i bilanci relativi al periodo 1995-2006, aggiustando inoltre gli utili per un totale di 137 milioni di dollari. Molte altre società che nel corso degli anni sono state coinvolte negli scandali di retrodatazione delle stock options hanno dovuto sostenere milioni di dollari di spese legali a seguito delle numerose class actions intentate dagli azionisti.