Il noto CAPM di William Sharpe (di cui si è già parlato qui) è un modello unifattoriale che individua il rendimento di equilibrio che ciascun titolo dovrebbe restituire in ragione del suo grado di rischio. Questo modello soggiace a diverse assunzioni, e una in particolare è sfidata e rimossa da Fischer Sheffey Black, economista americano noto per il cruciale contributo dato allo sviluppo della famosa formula per il pricing delle opzioni (Black-Scholes-Merton fomula). L’assunzione indagata è quella secondo la quale sul mercato esista un titolo totalmente privo di rischio (risk-free) a cui gli investitori possono indebitarsi senza vincoli di alcun genere.
Prima di entrare nello sviluppo del modello di Black, definito Zero-Beta model o Black CAPM, occorre però fornire qualche ulteriore dettaglio circa la formulazione matematica del CAPM, al fine di comprendere con più consapevolezza la modifica apportata da Black.
Il CAPM: una sintesi
Il CAPM stabilisce la seguente relazione di equilibrio:
E(Ra)=β(Rm-Rf)+Rf
Dove:
- Rf è il rendimento privo di rischio,
- Rm è il rendimento del mercato, misurato dal rendimento del portafoglio di mercato (market portfolio), definito come il portafoglio costituito da tutti i titoli presenti sul mercato, ciascuno avente un peso pari alla propria capitalizzazione di mercato. Spesso viene utilizzato un indice di mercato come proxy (es. S&P500 index per la borsa americana e il FTSE MIB per la borsa Italiana).
- Il beta (β) misura la sensibilità dei rendimenti del titolo rispetto ai rendimenti del mercato, è una misura del rischio sistematico, non diversificabile.
- E(Ra) è il rendimento atteso del titolo studiato.
- (Rm-Rf) viene definito come premio per il rischio, ossia il ritorno in eccesso che il portafoglio di mercato restituisce rispetto il rendimento di un titolo privo di rischio.
Come si evince dalla formula, il rendimento di un titolo rischioso è dato dalla somma di due componenti, una che è direttamente proporzionale al rischio sistematico incorporato e al premio per il rischio, e l’altra che invece è fissa, pari al risk-free. In questa ottica, dunque, il rendimento risk-free rappresenta un valore pavimento (floor) del ritorno di un titolo rischioso, infatti, se quest’ultimo avesse un rendimento inferiore, un investitore razionale sceglierebbe un titolo privo di rischio, in quanto avente un rendimento superiore e un rischio inferiore (efficiente in senso media-varianza).
Data questa relazione, la rappresentazione grafica su un piano cartesiano avente come ascissa il beta del titolo e come ordinata il ritorno atteso è pari ad una retta che sarà tangente alla frontiera efficiente di Markowitz proprio nel Market Portfolio.
E’ importante ricordare che questa è una relazione di equilibrio e che il risk-free gioca un importante ruolo nella linearizzazione della frontiera efficiente per la derivazione della Security-Market-Line (SML). Dunque, giunti a questo punto, sarebbe lecito domandarsi: il CAPM sarebbe ancora valido eliminando l’ipotesi dell’esistenza di un titolo risk-free? L’equilibrio generale è una condizione necessaria per provare l’esistenza della SML?
Black risponde a queste domande sviluppando il suo famoso modello Zero-Beta.
Lo Zero-Beta Model di Black
La rimozione dell’assunzione circa l’esistenza del riskless asset risiede nel fatto che da un lato non esistono in circolazione titoli che possano essere definiti risk-free e dall’altro che non è necessaria la presenza di un titolo risk-free per far valere la relazione lineare del trade-off rischio rendimento, come mostrato da Black nel modello che ci apprestiamo ad esplorare. Infatti, nella prassi, il rendimento dei Titoli di Stato è spesso impiegato nelle valutazioni come risk-free, in quanto si ritiene che lo Stato sia il soggetto più solvibile presente sul mercato, tuttavia, per quanto possa essere infinitesima la probabilità che uno Stato dichiari default, questa rimane comunque non nulla, e dunque il titolo non può considerarsi pienamente riskless.
Inoltre, come anticipato, la presenza di un risk-free non è neanche condizione necessaria per lo sviluppo di una relazione lineare tra rendimento e rischio, infatti, basandosi sulla seguente assunzione, Black sviluppa un modello alternativo:
Per ogni protafoglio p sulla frontiera efficiente, eccetto per il portafoglio di minima varianza, esiste (nel braccio opposto della frontiera) un unico portafoglio che ha covarianza nulla con p. Questo portafoglio viene definito il portafoglio zero-covarianza (zc) rispetto p.
Ora, considerando due portafogli p e q, entrambi sulla frontiera efficiente, sfruttando la precedente assunzione, impostando e sviluppando il modello della minimizzazione della varianza per ogni dato livello di rendimento come nel framework di Markowitz, Black giunge alla seguente formulazione, sempre valida, in assenza sia di equilibrio che di un titolo risk-free:
E(Rq)=β[E(Rp)-E(Rzc)]+E(Rzc)
Dove:
Rq: è il rendimento del titolo q;
E(Rzc): è il rendimento atteso del portafoglio zero-covarianza (zero-beta) rispetto p;
β: è la sensibilità del rendimento del portafoglio q rispetto i rendimenti del portafoglio p;
E(Rp): è il rendimento atteso del portafoglio p.
Come si può notare, vi sono similitudini e differenze con la SML del CAPM di Sharpe.
Innanzitutto, al posto del market portfolio, figura p, ossia un qualsiasi portafoglio efficiente sulla frontiera. Inoltre, la relazione lineare è ancora valida, eppure nessuna condizione di equilibrio è stata imposta, ciò prova che la linearità della SML non è un indice dell’equilibrio del mercato, ma è semplicemente una implicazione dell’efficienza del portafoglio p selezionato come proxy del market portfolio. Inoltre, non è presente un titolo risk-free nella relazione, al suo posto troviamo il portafoglio zc che identifica un portafoglio rischioso, efficiente e con correlazione nulla rispetto p. Dunque, il suo rendimento atteso sarà sicuramente maggiore rispetto il rendimento risk-free del CAPM di Sharpe, e dunque la Black-SML disegnata sul piano cartesiano avrà un’intercetta superiore e una pendenza minore rispetto la Classica SML di Sharpe.
Nel 1972 Black, Jensen e Scholes condussero test empirici su serie temporali riguardanti lo Standard CAPM, suddivisero i propri dati in decili e si avvalsero di variabili strumentali per massimizzare l’accuratezza dei risultati. Scoprirono che lo Zero-Beta model di Black era in grado di spiegare i risultati ottenuti con un grado di precisone superiore rispetto il classico CAPM di Sharpe, avvalorandone di conseguenza non solo la portata accademica, ma anche quella empirica ed applicativa.