I tassi negativi
Il tasso d’interesse ha un ruolo fondamentale nell’economia e possiamo definirlo come “il prezzo del denaro”. Un suo rialzo o ribasso può causare effetti collaterali sulla nostra realtà quotidiana, ma molto spesso non ce ne accorgiamo.
Da sempre il tasso d’interesse ha avuto un valore positivo, ma questo non è più valido dalla metà del 2014, quando il presidente della Bce Mario Draghi ha deciso che la Banca Centrale Europea avrebbe applicato tassi negativi sui depositi. A sperimentare i tassi negativi per primi sono state la Svezia (2009 e 2010) e Danimarca (2012).
In pratica, se prima le banche che depositavano soldi alla Banca Centrale Europea ottenevano un interesse positivo sulla somma prestata, adesso invece la banca che presta denaro ne avrà di meno indietro. Tutto questo ovviamente è valido solo nei confronti delle banche centrali e non nei confronti degli investitori privati, perché questo comporterebbe ovviamente una corsa agli sportelli e quindi tutti ritirerebbero i propri depositi dalla banca.
A prima vista questa può sembrare una manovra anomala e anche irrazionale, vediamo di capirne invece la logica dietro.
La logica dietro la manovra
I tassi negativi hanno lo scopo di combattere la stagnazione dell’economia, ovvero un periodo economico caratterizzato da PIL e reddito pro capite che non crescono. Alla base della stagnazione c’è la deflazione. Nel medio periodo, infatti, una bassa inflazione (prezzi che aumentano molto poco) o una deflazione (prezzi decrescenti) congelano l’economia. Un po’ d’inflazione è necessaria all’economia di un Paese, secondo la BCE il tasso di inflazione annuo ideale è inferiore al 2%.
La deflazione potrebbe apparire come una notizia positiva per i consumatori, perché significa che il pane, o un auto, o qualsiasi altro bene, domani costerà meno di quanto costa oggi. I consumi da parte delle persone però calerebbero, dato che il calo dei prezzi produce l’aspettativa di ulteriori cali futuri e ciò può portare al continuo rinvio degli acquisti. Questo spinge chi vende ad abbassare ulteriormente i prezzi per convincere a comprare, e si innescherebbe quella che in termini tecnici viene definita una spirale deflazionistica, molto negativa per chiunque venda beni e servizi. Di conseguenza, chi produce beni e servizi (cioè i datori di lavoro) è costretto a licenziamenti e chiusure, aumentando, tra l’altro, la disoccupazione.
Di solito per combattere la bassa inflazione si utilizzano politiche monetarie espansive, ovvero la BCE aumenta la moneta circolante (Quantitative Easing) con un’iniezione di liquidità, questo spinge la popolazione a consumare di più e quindi aumenta la domanda e di conseguenza si alzano i prezzi. Però non sempre queste politiche monetarie funzionano, allora la BCE deve ricorrere a politiche alternative, nel nostro caso i tassi negativi. La spinta è diretta alle banche: con un tasso negativo, se lasciano i loro capitali nelle banche centrali, li vedranno calare e vengono dunque incentivate a prestarli ai loro clienti. Questo provocherà un’iniezione di liquidità alternativa, facendo crescere gli investimenti e i consumi.
Le conseguenze
Può capitare che gli incentivi non diano il risultato sperato: vediamo questo esempio preso dal libro “Pensare Freakonomics”, di Stephen J. Dubner e Steven D. Levitt:
L’ONU voleva incentivare le imprese a limitare le emissioni di CO2 nell’ambiente, infatti per ogni tonnellata di anidride carbonica non emessa l’azienda incassava un credito. Altri inquinanti erano più remunerativi, il metano (21 crediti), il diazoto (310 crediti) e in cima alla lista un super gas serra chiamato HFC23 (11700 crediti). Cosa fecero le imprese, specialmente Cina e India? Iniziarono a produrre HCFC 22 per generare HFC23 di scarto su cui incassare i crediti.
In Europa i tassi negativi non ebbero questi risultati disastrosi sull’ambiente, però sicuramente non hanno realizzato le aspettative di Mario Draghi (per quanto riguarda il settore bancario). Contrariamente alle attese, infatti, dal giugno 2014 alla fine del gennaio scorso, i depositi delle banche presso la BCE sono aumentati di ben 1.100 miliardi di euro, così come sono cresciuti di 802 miliardi i risparmi depositati in banca da parte di famiglie e imprese (+7,3%). A fronte di tali cifre, i prestiti bancari a famiglie e imprese sono cresciuti di appena l’1,6%, ovvero di 169 miliardi. La policy della BCE è costata 3,6 miliardi di euro alle banche dell’Eurozona nel 2016; perché le banche devono versare questa cifra alla BCE. In pratica, i tassi negativi si sarebbero tradotti solamente in un calo dei margini bancari, ovvero di redditività delle banche, senza avere immesso un solo centesimo in circolazione.
I debitori sono i principali beneficiari di questo mondo alla rovescia, e l’Italia è tra i primi Stati indebitati ad esserlo.
Come possiamo vedere dal grafico, sul mercato secondario il tasso a 2 anni tedesco ha toccato un minimo a -0,96% all’inizio di quest’anno.
Il presente
Nella conferenza di fine anno tenuta da Mario Draghi a Francoforte, quest’ultimo ha confermato che non ci sarà nessun rialzo dei tassi nel 2018:
Permane la necessità di un ampio grado di stimolo monetario affinché le spinte inflazionistiche continuino ad accumularsi e per sostenere la dinamica dell’inflazione complessiva nel medio periodo.
La BCE ha anche confermato le stime sul PIL a +2,4% nel 2017, +2,3 nel 2018 e 1,9% nel 2019, inoltre il target dell’inflazione al 2% si sta raggiungendo pian piano perché nel 2017 l’inflazione è stata confermata a 1,55%, si pensi che nel 2015 era pari a 0,03 %. Bisogna specificare però che stiamo parlando di un tasso di inflazione medio.
Il suo collega membro della BCE, Benoit Coeure, ha avvertito che i tassi di interesse negativi introdotti dalla Banca centrale europea alla metà del 2014 potrebbero danneggiare la redditività delle banche nel tempo, “nonostante siano estremamente efficaci come strumento complementare ad altri di politica monetaria non convenzionali”.
In un certo senso, la manovra di Draghi si può definire efficace, perché anche se ha preso strade inaspettate è quasi arrivata alla meta, bisogna solo capire a che prezzo. La manovra di Draghi non ha creato l’iniezione di liquidità che ci si aspettava tramite il mercato bancario però essendo i tassi interbancari negativi, ha ridotto i rendimenti delle obbligazioni. I manager quindi si sono spostati verso asset più illiquidi o comunque asset innovativi. La crescente domanda degli investitori, dovuta a un’elevata liquidità sul mercato e alla mancanza di asset class redditizie alternative, ha favorito lo spostamento d’interesse verso asset class che, fino a poco tempo fa, non erano considerate investimenti tradizionali, come il debito immobiliare, gli alloggi per studenti e gli immobili legati all’assistenza. Una conseguenza è proprio che, a livello settoriale, è il residenziale a distinguersi di più fra le asset class preferite dagli investitori. Settore che anche in Italia inizia a essere valutato. Un trend da evidenziare è il miglioramento della fiducia e della spesa dei consumatori in tutta Europa, come dimostrato dall’inflazione attuale. C’è da dire che il merito di questi risultati non è da attribuirsi unicamente alla manovra dei tassi negativi, ma a quest’ultima congiunta con il Quantitative Easing.
Tra le incertezze che aleggiano sul 2018 una cosa però è certa, il fantasma della deflazione adesso è più lontano che mai.