Lo scontro tra Riyad (Arabia Saudita) e Teheran (Iran) nel Medio Oriente si combatte su tutti i fronti. Le due potenze rappresentano le nazioni-guida dei due grandi principali religiosi del mondo arabo. L’Iran guida la mezzaluna sciita, mentre l’Arabia Saudita il mondo musulmano-sunnita. Le due potenze mediorientali stanno attuando, dal 2011, una pericolosa guerra per procura (Proxy war) nella regione del Siraq, al fine di ottenere la maggiore influenza sul Libano.
Teheran è in svantaggio a livello macroeconomico ma non in campo militare
Riyad resta la principale potenza economica del medio Oriente, con un Pil assoluto da 637 miliardi di dollari, Teheran raggiunge un valore assoluto del PIL intorno ai 400 miliardi di dollari. La produzione petrolifera saudita è il doppio di quella di quella iraniana. Una guerra diretta tra le due nazioni, tuttavia, rischierebbe di veder penalizzati i sauditi. Una guerra Iran-Arabia Saudita vedrebbe in una buona posizione i sauditi soltanto con un sostegno diretto degli USA, nonostante la spesa militare saudita ammonti già a quasi 64 miliardi, il triplo dei 12 miliardi di quella iraniana. Infatti, Teheran è di molto superiore a Rijad a livello di preparazione strategica ed ha un esercito molto più grande per numero di soldati. Un conflitto armato sarebbe molto costoso per entrambe le parti, dal punto di vista economico svantaggioso ma la situazione è tesa più che mai.
Il corridoio elettrico di Teheran, investimento iraniano che preoccupa i sauditi
Il Libano è il breaking point geo-economico tra Teheran e Riyadh. Per l’Iran Beirut (Libano) è il punto chiave di un ambizioso progetto da sviluppare nel Siraq. Dopo aver sgominato le milizie sunnite filo-saudite e l’ISIS, grazie al supporto russo, ed aver liberato la strada ad un asse sciita Teheran-Baghdad-Damasco l’Iran ha intenzione di costruire nel cuore del corridoio sciita la più grande rete elettrica del Medio Oriente. Questa sarebbe gestita dal Pasdaran (le Guardie della Rivoluzione), ovvero sotto il diretto controllo del governo iraniano, consentendo a Teheran di rifornire di energia elettrica vaste aeree della regione mediorientale. Si tratta di un’operazione cruciale, sia dal punto di vista finanziario sia politico-sociale. Tutti gli interlocutori regionali vedono di buon occhio il progetto energetico, tranne Riyadh. Infatti i Sauditi vedono nel progetto iraniano una minaccia al programma “Vision 2030“, progetto che punta a diversificare l’economia saudita.
Molti investitori potrebbero apprezzare il progetto iraniano, visto che è sicuro e che punta ad una serie di interventi infrastrutturali in paesi, come Siria ed Iraq, da ricostruire da zero dopo anni di conflitti . Il Cremlino punta molto sul progetto di Teheran, mentre Washington supporta le politiche del giovane principe Mohammed Bin Salman. La Proxy War iraniano-saudita si è quasi conclusa sul fronte militare per spostarsi nel settore geo-economico del Medio Oriente.
Riforme fallite, la guerra in Siria e la protesta in Iran
Le proteste iniziate il 28 dicembre in Iran hanno assunto il carattere di uno scontro aperto nei confronti del regime degli Ayatollah. L’Accordo sul nucleare, firmato nel 2015, aveva riportato il paese nel consesso delle Nazioni Unite e la popolazione si aspettava un conseguente miglioramento della vita ed incremento della ricchezza media per cittadino. Le cose, tuttavia, sono rimaste le stesse o peggio. L’economia del paese è monopolizzata dalle tradizionali forze che reggono il potere nel regime della Repubblica Islamica, in primis i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione Islamica e le diverse associazioni religiose iraniane che si reggono sui finanziamenti statali. Inoltre, sul bilancio dello Stato pesa l’intervento militare di Teheran in Siria, che però è stato mirato a monopolizzare la futura ricostruzione del Paese da poco liberato dall’ISIS, un affare da 300 miliardi di dollari secondo i Francesi del Femise. Tuttavia, l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha rinsaldato il fronte anti-Iraniano guidato dall’Arabia Saudita e da Israele, oltretutto Rouhani non ha intaccato il monopolio dei pasdaran nel sistema economico e finanziario dell’Iran. Sembra che la maggiore concentrazione delle risorse statali in politica estera rispetto che negli affari sociali interni sia il principale motivo delle rivolte che stanno sconvolgendo il Paese, anche se due sondaggi del 2015 e del 2016 registravano un pieno appoggio degli iraniani all’intervento militare in Siria. La stagione riformista di Rouhani è in una fase di declino, pressato dall’esterno e dall’interno, mentre il suo esecutivo si prepara ad emanare l’ultima finanziaria che aumenterà il prezzo del carburante ed aumenterà i finanziamenti governativi alle associazioni religiose legate ai pasdaran. Le proteste dilagano ma nessuna delle forze sembra per il momento intaccare il regime degli ayatollah e il suo monopolio della forza ed ha ancora un enorme supporto della popolazione del paese.