La rivoluzione della birra artigianale Italiana
In Italia quello della birra è un settore in salute. Più del 65% della birra consumata nel belpaese è prodotta da aziende italiane. Dagli ultimi dati che Assobirra (Associazione degli Industriali della birra e del malto) mette a disposizione emerge che nel 2016 la produzione interna ha raggiunto la cifra record di 14,5 milioni di ettolitri, in crescita sull’anno precedente. Di questi, 2,6 milioni sono stati destinati all’esportazione (massimo storico). Con l’import, che ha raggiunto i 6,9 milioni di ettolitri, si è registrato un saldo commerciale di -4,3 milioni, migliorato rispetto all’anno precedente (-4,6 milioni). I consumi, tornati ai livelli pre-crisi, hanno superato i 31 litri annui pro-capite del 2007 e nel complesso gli italiani si sono fatti una bevuta da 19 milioni di ettolitri. In questa cornice va evidenziata la continua crescita della quota di mercato della birra artigianale, la vera novità nel settore birrario italiano durante l’ultimo decennio.
Il panorama artigianale
I birrifici artigianali sono realtà imprenditoriali spesso gestite da giovani e il loro numero è cresciuto di oltre sei volte tra il 2008 e il 2016, passando da 113 a 718 (dato aggiornato a luglio 2017). Oggi sono aziende e oltre il 60% di queste ha un volume d’affari tra i 100 mila e gli 800 mila euro. La produzione artigianale annua supera i 400.000 ettolitri e rappresenta oltre il 3% della produzione di birra nel Paese. Se la popolarità del prodotto artigianale è cresciuta molto, quando se ne parla bisogna però far chiarezza. Il 2016 è stato un anno importante anche in questo senso, infatti con un disegno di legge approvato in luglio è stato modificato l’articolo 2 della legge 1354/1962 ed è stata specificata l’identità normativa del prodotto.
All’articolo 2, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:
«4-bis. Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi».
Ne esce che per il legislatore è artigianale ciò che è prodotto da piccoli birrifici indipendenti e si è di questa categoria se si rispettano determinati requisiti.
La prima conseguenze positiva dell’aggiornamento pare quindi la difesa dall’invasione dell’industria, che da tempo- con le cosiddette crafty – è accusata di imitare le artigianali appropriandosi indebitamente di linguaggi e concetti dei microbirrifici. Questo disorienta il consumatore ed è un tentativo di mescolare le carte e creare confusione tra ciò che è e non è artigianale.
L’invasione dell’industria
I birrai artigianali rimangono comunque scettici e non mancano le polemiche, soprattutto alla luce di alcune altre operazioni. Quella che ha fatto più scalpore riguarda Birra del Borgo, uno tra i più famosi birrifici artigianali italiani, che è stato acquisito da Ab InBev, il colosso mondiale della birra. Il timore è che anche in Italia possa iniziare una stagione di acquisizioni da parte delle multinazionali, che da tempo stanno compiendo operazioni analoghe in altri paesi. L’obiettivo è quello di riconquistare fette di mercato perdute e nicchie in cui non riescono a far breccia. La scena artigianale italiana si è sviluppata lontana dalle dinamiche dell’industria e per coerenza alla propria storia, seppur giovane, tende a rigettare questo tipo di contagi. Per chi fa craft beer la priorità è la qualità che si raggiunge grazie ai processi produttivi e alle materie prime, aspetto forse sottovalutato in ambito normativo. Non è un caso che molti dei microbirrifici italiani siano nati inizialmente per passione personale dei propri fondatori prima di diventare un business.
Per questo motivo alcuni sostengono la necessaria limitatezza della produzione, importante per non far perdere all’artigiano il contatto con il processo produttivo. Perché al di là della legge, la rivoluzione è nata così e la varietà di gusti e aromi che oggi abbiamo a disposizione la si deve al lavoro di queste persone.
Dopo l’acquisizione, Birra del Borgo è ancora percepita come artigianale dai consumatori, anche se alle spalle ora ha la società Leader di settore e ha cominciato a rivolgersi al mercato con le strategie e i capitali dell’industria. C’è uno sdoppiamento, questa zona grigia lascia dei dubbi, aumenta i rischi e le insidie per le realtà indipendenti. Nel rinascimento che ha vissuto il settore birraio Italiano i microbirrifici hanno avuto un ruolo rilevante. Grazie all’indipendenza dai grandi produttori hanno potuto sperimentare e portare innovazione, come ha sostenuto lo stesso Ad di Heineken Italia.
«Le artigianali – spiega Soren Hagh– hanno ricoperto un ruolo importante per l’immagine della birra, ma anche per il recupero del gusto. Che l’industria aveva trascurato».
Nel mentre anche Heineken ha fatto compere e un anno dopo l’operazione di Ab InBev ha acquistato il birrificio Hibu. In risposta Unionbirrai si schiera dalla parte delle craft e incoraggia i birrifici artigianali a evitare di partecipare a eventi insieme alle industriali o agli ex artigianali per rivendicare la propria indipendenza e le proprie peculiarità.
Birra del Borgo intanto sostiene che con il passaggio ad Ab Inbev non cambierà, ma avrà spalle più larghe per migliorare, grazie al know-how e a nuovi investimenti in ricerca e sviluppo. E c’è allora da considerare anche l’altra faccia della medaglia. Il birrificio Hibu – ad esempio – prima di essere acquistato nel 2016 aveva fatturato 1 milione ma generato una perdita di 231mila euro in due esercizi. Se l’identità di prodotto delle craft firm italiane è forte in generale lo è meno quella economica. Sono cresciute molto ma non tutte e molte restano piccole aziende o start up. L’asticella entro cui stare per continuare ad avere l’etichetta artigianale è stata fissata a 200.000 ettolitri l’anno, molto alta, molto più di quanto singolarmente questi birrifici producano oggi. Segnale che si può puntare in alto e non smettere di crescere. Si tratta di un mercato che in questi anni è fiorito da solo e ha saputo farsi spazio tra i frigoriferi e le spine della penisola grazie alla singolarità dei prodotti offerti e alla capacità di educare a diversi gusti, storie e tradizioni. Ora con la una nuova inquadratura giuridica per i birrifici artigianali italiani, in un’ambiente ancora a tratti acerbo, la sfida è sfruttare questo e i futuri interventi del legislatore per rafforzare la propria posizione, il proprio lavoro e riuscire a crescere anche come aziende. Il gioco si fa più complesso.