Il 2017 avrebbe dovuto essere l’anno della svolta. O almeno questo era il pensiero di Luca Cordero di Montezemolo, il quale nell’aprile del 2016 parlando di Alitalia affermava: «La nostra Compagnia è diventata più efficiente nel controllo dei costi ed è sulla strada giusta per tornare in utile nel 2017».
Effettivamente il piano di rilancio industriale avviato con l’arrivo di Etihad sembrava aver creato i presupposti per la rinascita della compagnia aerea di bandiera italiana, che nel 2015 aveva ridotto le perdite per un importo complessivo pari a 381 milioni di euro. Un risultato significativo per un’azienda che dal 2009 aveva accumulato perdite per oltre un miliardo e non aveva mai realizzato utili.
Un decennio di crisi ininterrotta
La realtà però era ben diversa. I costi superiori a quelli sostenuti dai concorrenti ed una strategia non adeguata hanno portato Alitalia, nel corso del 2016, a maturare una perdita di oltre 400 milioni di euro; ciò ha avuto un notevole impatto sulla liquidità aziendale, tale da minare la capacità della compagnia di provvedere all’acquisto del carburante. Nell’aprile 2017 la vittoria del no al referendum sul preaccordo per il salvataggio della compagnia, che prevedeva circa mille esuberi e tagli retributivi al fine di sbloccare la ricapitalizzazione da circa 2 miliardi, ha aperto la strada al commissariamento.
Dal 2 maggio Alitalia è in amministrazione straordinaria sotto la guida dei commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, che proprio nelle ultime settimane stanno cercando una soluzione per la vendita della compagnia.
È la terza volta in soli dieci anni che Alitalia è costretta ad affrontare una profonda crisi.
I conti sono peggiorati significativamente dagli inizi degli anni Duemila a causa dell’attentato alle Torri Gemelle, che ha messo a dura prova l’intero settore, e dell’ingresso nel mercato delle compagnie low cost. Questi due eventi hanno accelerato il declino di Alitalia che presentava una struttura dei costi già fuori controllo: analizzando il bilancio del 2006, anno in cui il Governo decise di cedere il controllo della compagnia, le spese per servizi (ad esempio i costi di manutenzione) e i consumi per le materie prime (come il carburante) hanno gravato sul conto economico per un ammontare che ha sfiorato i 4 miliardi di euro. I costi per il personale, invece, hanno inciso meno del 20% su quelli totali. La situazione, di certo, non brillava dal lato dei ricavi.
Le problematiche del modello Alitalia
Il problema che ha accompagnato Alitalia fino ad oggi risiede nel modello di business: le varie amministrazioni negli anni sono intervenute con tagli al personale pensando di contenere le spese, senza adottare un’opportuna strategia che mirasse ad incrementare le vendite in costante calo.
In primo luogo, i dipendenti non sono il problema. Uno studio condotto dal professor Gaetano F. Intrieri sul bilancio del 2015 mostra che il costo medio annuo per dipendente, al netto degli oneri sociali ed accessori, è stato pari a 48 mila euro, in linea con gli altri vettori aerei europei (low cost compresi); inoltre il costo lordo del personale ha assorbito il 16,5% dei costi totali. I dati appena riportati confermano quanto già detto relativamente al bilancio del 2006; non a caso i tagli realizzati durante questo periodo non hanno prodotto alcun beneficio per la compagnia.
In secondo luogo, non si è fatto nulla per potenziare le rotte a lungo raggio, che sono quelle che generano maggiori profitti, poiché il costo unitario per passeggero è minore rispetto a quelle delle tratte a breve e media percorrenza e il tasso di riempimento è più elevato. In tale business Alitalia è stata meno presente rispetto ai vettori europei tradizionali; allo stesso tempo non aveva i requisiti per competere neanche sul corto raggio, segmento dominato dalle low cost che sono in grado di offrire tariffe molto più vantaggiose per i consumatori. Ad esempio, Ryanair sostiene un costo unitario per passeggero di 3 centesimi al kilometro, che con Alitalia raddoppia.
L’influenza della politica
Accanto alla cattiva gestione, non possono essere dimenticate le responsabilità politiche.
L’errore più grave fu commesso nel 2008, quando il colosso Air France-KLM fu ad un passo dall’acquisizione della compagnia. L’accordo prevedeva una ricapitalizzazione da un miliardo di euro, esuberi per 2100 lavoratori ed un ridimensionamento della flotta aerea.
Inizialmente tale accordo fu accettato ma prima l’azione dei sindacati, contrari ai tagli previsti, poi l’ostilità di Berlusconi (che sarebbe diventato a breve Presidente del Consiglio), intenzionato a preservare “l’italianità” della compagnia, spinsero Air France-KLM a defilarsi dalla trattativa. Alitalia passò nelle mani della CAI, una cordata di imprenditori italiani che riuscì a spuntare condizioni molto favorevoli: infatti rilevò solo la parte sana per 300 milioni di euro, accollando quella “cattiva” allo Stato, ed attuò tagli per un totale di 7000 dipendenti. In altre parole fu un disastro. L’ingresso di Air France-KLM probabilmente avrebbe consentito di beneficiare di una maggiore conoscenza del settore rispetto alla CAI. Soltanto 5 anni dopo Alitalia si trovò di nuovo sull’orlo del fallimento e fu Etihad a gettare l’ancora di salvataggio che però non è stata sufficiente.
Conclusioni
Il caso Alitalia manifesta l’incapacità della politica italiana, che spesso compie scelte poco lungimiranti senza considerarne le conseguenze. Salvare ad ogni costo una compagnia che era destinata a fallire si è rivelata una mossa azzardata che è costata miliardi di euro ai contribuenti. La vicenda offre uno spunto di riflessione anche sui sindacati, che nel nostro Paese rivestono un peso tale da condizionare fortemente le decisioni politiche.
Ad oggi, il lavoro dei commissari ha prodotto risultati positivi sia sotto il profilo economico che dal punto di vista commerciale. I ricavi sono in crescita, la liquidità a disposizione è pari circa a 800 milioni e le perdite sono destinate a ridursi di 90-100 milioni rispetto al 2016. Inoltre sono state aperte nuove rotte intercontinentali, invertendo la tendenza che ha visto Alitalia ridurre l’offerta a lungo raggio. La crisi è ancora viva ma la direzione intrapresa è quella giusta, in attesa di un nuovo acquirente.