L’Afghanistan è davvero la Tomba degli Imperi? Forse sì. Gli storici lo hanno definito negli ultimi anni «la tomba delle potenze mondiali», visto che nessun paese straniero è riuscito a mantenerlo sotto il proprio controllo. Impero Zarista, Gran Bretagna, Unione Sovietica hanno fallito miseramente nel tentativo di conquistare quel paese ricco di risorse minerarie situato nel bel mezzo dell’Asia Centro-meridionale.
Oggi gli Usa tentano di realizzare ciò che molte ex superpotenze del passato hanno fallito: pacificare l’Afghanistan.
La nuova strategia Trump: più uomini e sfruttamento economico
Il 21 agosto scorso il Presidente statunitense Donald Trump ha annunciato l’invio di ulteriori 4 mila uomini nel paese. Molti giornalisti ed analisti hanno definito la strategia del Presidente uguale a quella dei suoi predecessori, ma in essa è presente anche un forte piano di sfruttamento delle risorse minerarie di Kabul: l’amministrazione Trump vuole utilizzare le risorse minerarie afghane per ripagare le spese della ricostruzione e di una guerra che dura da 16 anni, spese che ammontano a quasi 117 miliardi di dollari. Ma gli investitori, che etichettano il paese come uno dei più pericolosi del mondo, hanno definito la proposta un’utopia.
Nel 2007 l’agenzia governativa statunitense US Geological Survey affermò che l’Afghanistan aveva giacimenti minerari per un valore stimato intorno ai mille miliardi di dollari.
Le risorse minerarie afghane: non solo oro e argento
Oltre a oro ed argento, il paese ha giacimenti inutilizzati di platino e possiede quantità notevoli di uranio, minerali ferrosi, zinco, tantalio, bauxite, carbone, gas naturale e rame (risorse rare nel mondo minerario); in pratica il paese potrebbe diventare economicamente indipendente. Servono però stabilità e riforme economiche: oltre all’assenza di infrastrutture importanti, occorre risolvere il problema di una burocrazia corrotta e disordinata e la forte instabilità politica; oltretutto Kabul non controlla del tutto il paese, cosa che impedisce di creare un settore minerario legale. Il progetto delle miniere di rame di Mes Aynak, sviluppato da un consorzio cinese, è attualmente sospeso proprio a causa dell’instabilità politica.
Il Sacco di Kabul
Secondo quanto affermato dall’economista statunitense William Byrd, in Afghanistan sta avvenendo «un saccheggio su scala industriale». Le miniere medio-piccole esistenti non sono gestite dal governo afghano e i proventi vanno nelle tasche degli operatori locali, privando così Kabul di entrate per un valore stimato di 300 milioni di dollari.
Ora l’Amministrazione Trump punta su questo enorme potenziale. Secondo Hamdullah Mohib, l’ambasciatore afghano negli Usa, il Presidente sarebbe molto interessato al potenziale economico afghano. Durante un vertice svoltosi a luglio sembra che il coinquilino della Casa Bianca abbia dichiarato che Washington avrebbe dovuto rivendicare una fetta consistente delle risorse minerarie afghane come scambio per l’assistenza americana a Kabul. Ma molti investitori, secondo quanto dichiarato da Leigh Fogelman, direttore della banca londinese Hannam & Partners, si muovono con i piedi di piombo, visto che non ci sono soluzioni di prima scelta. Infatti il dilemma primario è rappresentato dai costi per portare fuori dal paese asiatico i minerali, costi che rimarranno proibitivi finché non ci sarà stabilità. Nel 2017 il governo afghano dovrebbe incassare quasi un miliardo di dollari dal settore minerario, ma realisticamente Kabul raggiungerà questa somma solamente nel 2029. Nello stesso 2017 le spese militari arriveranno a 4,6 miliardi di dollari, quasi un quarto del bilancio statale afghano. Riuscirà Donald Trump ad evitare che la Tomba degli Imperi mieta un’altra vittima illustre?