Airbnb è una compagnia del settore immobiliare che si occupa, attraverso un portale online, di mettere in contatto persone in cerca di un alloggio per brevi periodi con altre che dispongono di uno spazio extra da affittare. La società si finanzia applicando una percentuale che varia dal 6 al 12% su quanto paga l’ospite e dal 3 al 5% di quanto riceve chi affitta. Un’altra opzione piuttosto recente riguarda le “esperienze”, come le escursioni per gli ospiti, su cui Airbnb applica una commissione del 20%. Ad oggi ci sono più di 2 milioni di abitazioni a disposizione della società, distribuite in 34mila città e in 191 Paesi del Mondo.
Brian Chesky e Joe Gebbia sono due ex-compagni di Università alla Rhode Island School of Design e nel 2007 decidono di trasferirsi a San Francisco, in California, per cercare fortuna.
Sono nella Silicon Valley e la vita costa caro. I due diventano coinquilini e condividono così le spese per l’appartamento. Non trovando però un’occupazione remunerativa e stabile, hanno non poche difficoltà a pagare l’affitto ogni mese. Chesky e Gebbia decidono quindi di acquistare un materassino gonfiabile, da mettere in soggiorno, e di convertire il piccolo spazio disponibile in un bed and breakfast. I due creano, quindi, il sito Airbedandbreakfast.com, l’11 Agosto del 2008, proprio a ridosso di un importante evento a San Francisco ed a cui tengono particolarmente: la Conferenza sul Design Industriale, organizzata dalla Società americana dei designer industriali. Un’occasione a cui partecipano diversi studenti e professionisti di tutto il Paese ed è per questo che diventa sempre più complicato trovare un alloggio. Nonostante le circostanze favorevoli, il loro progetto non riesce nel modo sperato. I due, ai quali si aggiunge nel frattempo anche Nathan Blecharczyk, capiscono che il problema principale è la difficoltà di far arrivare l’offerta ai potenziali clienti.
Il 2008 negli Stati Uniti è l’anno delle elezioni presidenziali. Barack Obama sfida John McCain.
Chesky, Gebbia e Blecharczyk, per sponsorizzare il proprio sito, realizzano 100 scatole di cereali
e le inviano a 100 reporter d’America. Nel giro di una settimana i loro cereali sono su “Good Morning America” sulla CNN e, nonostante il prezzo proibitivo di 40 dollari a confezione, i cereali porteranno poi, messi sul mercato, ad un ricavo di 30mila dollari. Questo attirerà l’attenzione di molti investitori, fra cui Paul Graham, co-fondatore di Y Combinator, una delle più importanti società incubatrici di startup, tra cui DropBox, Reddit e Disqus. Graham seguirà quindi i tre nella fondazione della società, il cui nome passa, nel Marzo del 2009, da Airbedandbreakfast.com a Airbnb, e che arriva in breve tempo fra le aziende leader del settore.
In Italia, nel 2015, si contano 83mila host, che hanno ospitato 3,6 milioni di persone. Il guadagno pro capite medio è stato di 2.300 euro l’anno, per una cifra complessiva di 191 milioni di euro solo nella penisola. Lo scorso 15 Giugno il Parlamento italiano ha dato il via libera al decreto legge che regolamenta i contratti di locazione brevi, ovvero non superiori a 30 giorni, che coinvolgono proprio gli intermediari come Airbnb. Questi, oltre ad inviare all’Agenzia delle Entrate una comunicazione in occasione della stipula di ogni nuovo contratto, pena una sanzione da 200 a 2mila euro, dovranno trattenere il 21% dei proventi della locazione. Un cambiamento sostanziale rispetto a quanto avveniva prima, dove era il proprietario a versare direttamente l’importo allo Stato. Secondo una stima di Halldis, società italiana che opera nel settore degli affitti temporanei, la flat tax per gli affitti brevi al 21% farà emergere il nero del settore – oggi stimato al 75% – e libererà per lo Stato un fatturato potenziale di 3,5 miliardi di euro.
Una tesi che però non viene sposata da Chris Lehane, capo delle policy di Airbnb: “Se guardiamo alla legge passata in Italia sul sostituto d’imposta, è semplicemente non praticabile. Non penso che quell’emendamento sia passato pensando di fare qualcosa di male, semplicemente non hanno capito come funziona”, il quale poi chiosa: “Le grandi idee ed i cambiamenti sono guidati dalle piattaforme tecnologiche, non dal governo”.
Airbnb non dorme sonni tranquilli nemmeno in Germania. In terra tedesca, infatti, da Maggio 2016 non è possibile concedere in affitto per un breve periodo un immobile senza previa autorizzazione comunale. Se da un lato va infatti garantita la libertà economica agli individui, dall’altro è indispensabile il ruolo delle istituzioni nella programmazione dello sviluppo urbano e nella difesa del bene pubblico. Nel primo mese di attuazione della normativa, l’attività d’intermediazione di Airbnb in Germania è crollata del 40%, ma i dati sembrano tuttavia suggerire che il calo sia stato temporaneo e che lentamente l’offerta sia in ripresa. La crescita complessiva di Airbnb si può vedere anche dai dati su Berlino, a Marzo del 2015 si registravano 11.500 abitazioni disponibili, che a Gennaio 2016 erano già diventate 19.700. Un aumento del 68% in soli 10 mesi.
Dall’altra parte del Mondo, a Melbourne in Australia, il mercato immobiliare di Airbnb è in grande crescita. Più dei 3/4 delle abitazioni sul portale sono disponibili per oltre 90 giorni ed i proprietari guadagnano oltre tre volte con Airbnb rispetto a quanto ricaverebbero da un contratto di locazione lungo.
Airbnb è anche vicina alle questioni civili. A Gennaio 2017, Chesky in un tweet ha affermato che la compagnia avrebbe ospitato tutti i rifugiati e le persone lasciate nel limbo dal “Muslim ban” di Donald Trump ed ha lanciato una campagna Instagram in cui, conl’hashtag #weaccept, venivano raffigurate una serie di persone provenienti da tutto il Mondo.
Il futuro di Airbnb
Il successo su scala globale per Airbnb passa inevitabilmente dalla Cina.
Se un’altra startup dell’high-tech della Silicon Valley, ovvero Uber, ha riscontrato grandissime difficoltà nell’Estremo Oriente e registrato una perdita di 3 miliardi nel 2016, Airbnb nello stesso esercizio è entrata per la prima volta in utile. La società, proprio come Uber, viene definita in finanza un “unicorno”, ovvero una startup la cui valutazione supera il miliardo, per la precisione 31 miliardi di dollari. Però, a differenza di Uber, Airbnb ha speso solo 300 milioni dei 3 miliardi raccolti dai finanziatori ed intende espandersi in altri settori complementari a quello immobiliare, come il trasporto su terra, aria, l’ambito delle consegne a domicilio e quello delle app di prenotazione ai ristoranti. In Cina gli affari sono però agli inizi. Se Airbnb mette a disposizione più di 2 milioni di abitazioni in tutto il Mondo, nella Repubblica Popolare sono solo 80mila. La compagnia deve infatti affrontare la dura concorrenza delle società cinesi, come ad esempio Tujia, che ha 440mila case sul proprio portale ed offre non solo l’affitto, ma anche l’acquisto di case.