Durante gli anni ’50 l’economia italiana ha vissuto il massimo del suo splendore. Tutto il Paese, una volta archiviati gli orrori della dittatura e della Seconda Guerra Mondiale, viveva un’epoca di ottimismo, densa di straordinarie trasformazioni sociali. Durante il decennio post-bellico l’Italia ricostruì dalle macerie uno Stato funzionante e riacquisì il prestigio internazionale perso con la guerra. Quello passato alla Storia come il Miracolo Economico migliorò il tenore di vita di tutti gli italiani. Fu l’epoca della nascita di grandi marchi iconici (nell’automobilismo, nella moda, nel cinema ecc.) che resero celebre l’Italia e l’italianità in tutto il mondo.
Indice
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L’era di De Gasperi e dell’atlantismo
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Dentro la NATO
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Il piano Marshall
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Bretton Woods e la stabilità macroeconomica
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Einaudi, Menichella e la stabilità della lira
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Menichella governatore della Banca d’Italia
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Investimenti, CECA e debito pubblico
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Il capitalismo di Stato
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Da economia agricola a potenza industriale
L’era di De Gasperi e dell’atlantismo
Il gennaio del 1948 entrò in vigore la nuova Costituzione italiana, con la nascita della Repubblica. La Carta Costituzionale firmata nel ’48 garantiva e garantisce ai cittadini diritti politici, sociali e civili. Tuttavia questa mostrò fin da subito difficoltà nel garantire stabilità e durevolezza agli esecutivi.
Le elezioni del 19 aprile 1948 furono determinanti nel decretare quello che sarebbe stato l’assetto economico ed il ruolo geopolitico ricoperto dall’Italia fino alle fine della Guerra Fredda. Il Fronte Popolare di Togliatti e Segni aveva come modello socioeconomico la Russia sovietica, considerata principale alleato in politica estera. La Democrazia Cristiana percepiva invece come vitale l’alleanza con gli Stati Uniti per scongiurare il rischio di una nuova dittatura, questa volta comunista. I risultati della tornata elettorale più importante della storia d’Italia decretarono la schiacciante vittoria dei Democratici Cristiani filo-americani guidati da Alice De Gasperi.
Dentro la NATO
Lo snodo cruciale che portò l’Italia a trasformarsi in un’economia capitalistica, innescare il boom economico, e rimanere culturalmente occidentale fu la firma del Patto Atlantico, posta da De Gasperi a Washington il 4 Aprile del 1949. Il Trattato Nord-Atlantico diede origine alla NATO, alla quale aderirono uno ad uno tutti i principali Paesi dell’Occidente europeo.
Il piano Marshall
Anche grazie ai buoni rapporti che fin dal 1946 De Gasperi riuscì ad instaurare con gli Stati Uniti d’America, l’Italia entrò nell’European Recovery Program. Il progetto, varato dal Segretario di Stato americano George Marshall, serviva per sostenere la ricostruzione dei principali Paesi alleati in Europa. Questo attraverso l’elargizione di prestiti per l’85% a fondo perduto, senza che fosse corrisposta alcuna contropartita. Quello passato alla Storia come Piano Marshall terminò nel 1951, tuttavia la dipendenza dell’economia italiana da quella statunitense ha continuato ad essere molto profonda nel corso del tempo.
Gli aiuti americani diedero un’impulso enorme non solo all’Italia ma a tutta l’economia europea. La facilità con cui gli Stati poterono accedere a materie prime e beni di prima necessità servì ad arginare i problemi legati all’estrema povertà del dopoguerra. L’aiuto degli americani ai Paesi distrutti dal grande scontro mondiale dettero respiro all’economia reale e permisero agli Stati europei di mettere in ordine le finanze senza rinunciare ad investire in nuove grandi opere pubbliche.
Bretton Woods e la stabilità macroeconomica
Fin dal 1944 l’Italia faceva parte del Gold Exchange Standard, il sistema monetario nato a seguito degli accordi di Bretton Woods. Si trattava di un sistema a cambi fissi: il dollaro statunitense era convertibile in oro e tutte le altre valute dei paesi aderenti potevano essere convertite in dollari.
Ciascun Paese aderente dovette dichiarare il tasso di cambio della propria moneta con il dollaro USA (e quindi con l’oro). Le Banche Centrali nazionali avevano il compito di far si che tale tasso non oscillasse più nel +/- 1%. Il Fondo Monetario Internazionale, disponendo di fondi composti da tutte le valute dei Paesi aderenti, interveniva prestando le valute alle banche centrali nei casi limite in cui quest’ultime non disponevano delle riserve necessarie per riequilibrare i cambi.
Einaudi, Menichella e la stabilità della lira
Nell’ambito del sistema monetario a cambi fissi assumono una rilevanza fondamentale la flessibilità dei salari e dei prezzi e la mobilità dei lavoratori per riequilibrare il sistema in caso di shock asimmetrici. Il termine shock asimmetrici indica situazioni nelle quali si crea un’ampia divergenza tra le performance economiche delle diverse zone geografiche che compongono l’area valutaria.
Quando l’Italia entrò a far parte del Gold Exchange Standard il livello del PIL e dell’occupazione erano decisamente più bassi rispetto a quelli dei Paesi usciti vittoriosi dalla guerra. Per riportare l’economia italiana ai livelli di quelle degli altri Stati occidentali fu determinante il contributo della politica rigorista di Luigi Einaudi, liberista ed attenta alla stabilità di lungo periodo. L’abbassamento del costo del lavoro spinse gli investimenti esteri ed interni. L’ondata migratoria dal Sud al Nord ridusse in modo drastico la disoccupazione.
Menichella governatore della Banca d’Italia
L’economista Donato Menichella fu governatore della Banca d’Italia dal 1948 al 1960. Precedentemente a capo dell’IRI, Menichella condivideva con Einaudi una ferrea impostazione liberista, focalizzata sul controllo della massa monetaria e sul contenimento dell’inflazione.
Nell’ambito della vigilanza bancaria Menichella si batté per sancire il divieto di commistione del capitale sociale tra banche e imprese. Infatti questa pratica aveva fatto sì che la crisi finanziaria del ’29 si tramutasse all’istante in un terribile shock anche per l’economia reale.
Il governatore della Banca d’Italia si impegnò per favorire la massima competitività nel mercato bancario, dando sostegno alle piccole banche locali che finanziavano soprattutto le piccole imprese familiari. Proprio queste iniziarono a diventare il cuore del capitalismo Italiano proprio all’alba degli anni ’50. I risultati ottenuti dalla politica monetaria di Menichella valsero alla lira il titolo di moneta più stabile ed all’economista il riconoscimento di Miglior Governatore Centrale da parte del Financial Times.
Investimenti, CECA e debito pubblico
Durante il periodo di Einaudi e Menichella i governi ridussero il disavanzo pubblico, concentrandosi in particolar modo sull’esigenza di contenere la spesa corrente in favore di maggiori investimenti pubblici. L’inizio del processo di unificazione europea con il Trattato di Parigi che portò alla nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), nel 1951, diede grandissimo impulso al commercio internazionale e, nella fattispecie, alle esportazioni italiane. Grazie all’incredibile crescita degli investimenti pubblici e privati, alla rinnovata stabilità del sistema finanziario, al boom dei consumi ed alla fiducia nei confronti del sistema-Italia, i tassi di interesse sui titoli di Stato ed il debito pubblico rimasero a livelli molto bassi per tutto il decennio.
Il capitalismo di Stato
L’intervento pubblico sull’economia nella Storia d’Italia ha assunto livelli ben più importanti di quanto non lo abbia fatto in altri Paesi. L’IRI, ente creato in epoca fascista con il solo scopo di salvare banche e industrie dai fallimenti causati dalla crisi del ’29, divenne all’alba della Repubblica l’organo principale con cui lo Stato cercava di influenzare l’andamento dei mercati.
L’IRI ed il piano Vanoni
Oscar Sinigaglia, al comando dell’IRI nel dopoguerra, strinse un’alleanza con gli industriali italiani privati. Così facendo poté trasformare l’Istituto di Ricostruzione Industriale da supplente dell’iniziativa privata a vero e proprio sistematico propulsore della nascita della grande industria di base e delle nuove infrastrutture necessarie per la ricostruzione del Paese.
Altro aspetto peculiare fu quello di lasciare quasi sempre il capitale privato all’interno delle società partecipate dallo Stato. Nella maggior parte delle altre economie capitalistiche le grandi imprese erano o del tutto private o del tutto nazionalizzate. Grazie alla commistione tra capitale pubblico e privato, lo Stato Italiano riusciva a controllare tutti i più importanti settori dell’economia pur senza limitare troppo l’iniziativa privata.
Nel 1950 nacque la cassa per il Mezzogiorno, ideata da De Gasperi per promuovere un maggiore sviluppo industriale al Sud. Vennero istituiti consorzi, promossi da Comuni e Camere di Commercio, costruite le infrastrutture necessarie per ospitare nuovi complessi industriali, impiegando oltre mille miliardi di lire di denaro statale in dieci anni.
Un ruolo determinante fu quello del Ministro delle Finanze (dal 1948 al 1954) e del Bilancio (dal 1954 al 1956) Ezio Vanoni. Nel 1951 varò la Legge Vanoni, una riforma radicale del sistema tributario. Questa introdusse l’obbligo di dichiarazione dei redditi e portò ad una drastica riduzione delle aliquote su cui pagare le imposte ed un aumento dei minimi imponibili, favorendo così soprattutto il ceto basso ed i lavoratori autonomi. Nel 1954 si approvò il Piano Vanoni, un programma decennale che delineava le linee guida da seguire per risolvere i problemi della povertà, della disoccupazione e del divario crescente tra Nord e Sud.
Da economia agricola a potenza industriale
Durante gli anni ’50 è avvenuto il più grande progresso della struttura produttiva, economica e sociale della Storia dell’Italia unita. Il tasso di incremento della produzione globale e del reddito nazionale ha viaggiato su ritmi che poco spesso si erano manifestati nella Storia delle economie di mercato.
Il PIL è aumentato con una media superiore al 5% annuo, e nel secondo quinquennio dell’8%, con picchi straordinari nel comparto industriale. La produzione dell’industria siderurgica quasi raddoppiò, il chimico divenne il settore più rilevante sia in termini di produzione che di occupazione.
L’enorme cambiamento si è riflettuto anche sui consumi. Se durante la guerra gli italiani spendevano gran parte del loro reddito per esigenze alimentari, durante il Miracolo Economico iniziarono ad acquistare soprattutto beni durevoli. Lo sviluppo del settore agricolo è stato invece piuttosto modesto, con tassi di crescita annui mai superiori al 3%. Il valore relativo della produzione agricola rispetto a quella complessiva passò dal 35% del 1950 al 22% del 1960. L’Italia si trasformò in una delle più importanti potenze industriali dell’Occidente, gli italiani lasciarono le campagne per spostarsi nelle città.