Gli anni ’70 sono stati un periodo difficile per l’economia mondiale. La Guerra Fredda tra Stati Uniti d’America ed Unione Sovietica ebbe una temporanea e formale fase di distensione. Entrambe le due super-potenze del globo si ritrovarono infatti ad affrontare serie problematiche interne, soprattutto a causa di difficoltà economiche. Il trentennio di crescita senza precedenti, che ebbe luogo soprattutto in Occidente e Giappone, venne interrotto dalla prima recessione del secondo ‘900, registratasi tra il 1974 ed il 1975 in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.
L’URSS, impero instabile
Durante gli anni ’70 l’Unione Sovietica iniziò a mostrare le fragilità che ne avrebbero portato al definitivo declino nel decennio successivo. L’URSS, dopo la fine della guerra mondiale, era divenuta a tutti gli effetti un impero di dimensioni globali. Questo anche grazie alla profonda influenza esercitata in Oriente su numerosi paesi che, in forme diverse tra loro, aderirono al comunismo ed accettarono la condizione di sovranità limitata per aderire al progetto internazionalista.
Economia militarizzata
Nell’Unione Sovietica la maggioranza della classe dirigente poneva come priorità assoluta la sconfitta del capitalismo. Questo significava voler estendere il loro potere su scala globale ad ogni costo, il che portò Mosca ad impegnarsi quasi solo sul settore bellico e sulla sicurezza interna, contro i dissidenti. Saranno sistematicamente ignorati il benessere della popolazione e lo sviluppo economico.
Nell’URSS durante gli anni ’70 ci furono diversi tentativi di correggere la linea politica dominante. Si riuscì ad ottenere il ritorno alla pianificazione centralizzata e l’obbligo di auto-finanziamento per gli investimenti da parte delle imprese. Numerose industrie statali si fusero per aumentare l’efficenza, vennero introdotte delle forme di management interno alle aziende, prima proibito perché visto come emblematico strumento di oppressione capitalista.
Nel 1977 venne redatta una nuova Costituzione, che Leonid Il’ič Brežnev definì come la massima e più completa espressione di Socialismo Reale. Questa, però, assieme alle riforme, si rivelò insufficiente. Gli unici settori in cui l’URSS riusciva a competere con gli Stati Uniti e l’Europa Occidentale erano strettamente legati al comparto militare. La mentalità del grosso della classe dirigente, infatti, non cambiò.
L’incertezza degli Stati Uniti
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli USA erano diventati i maggiori finanziatori della NATO. Essi mantennero, aumentandola gradualmente, la presenza dei loro militari in Europa. Con gli accordi di libero scambio GATT abbandonarono il protezionismo, diventando i più grandi importatori di beni al mondo. Al costo di questa struttura quasi imperiale, si aggiungeva l’iper-interventismo militare in ogni area del pianeta. Con il protrarsi della guerra in Vietnam, però, il malcontento della popolazione rispetto a questa elevata esposizione degli Stati Uniti nel mondo divenne evidente. Le fatiche che l’economia americana doveva sopportare per finanziare l’interventismo sfociarono nel richiamo alla vecchia politica isolazionista, che era stata abbandonata dalla Seconda guerra mondiale in poi.
Nixon prova a cambiare tutto
Nel 1969 venne eletto come Presidente degli USA Richard Nixon, che proponeva un programma volto a diminuire l’esposizione degli Stati Uniti sul piano internazionale. Il 15 agosto del 1971 il Presidente annunciò la fine della convertibilità dei dollari in oro, ponendo fine al sistema Bretton Woods, e l’imposizione di una sovrattassa del 10% su tutte le importazioni. Non appena si insediò alla Casa Bianca, si impegnò per limitare la partecipazione alla Guerra Fredda, negoziando con il leader Sovietico Brežnev la firma del SALT I e del Trattato Anti Missili Balistici. Nixon arrivò persino a proclamare la coesistenza pacifica durante un banchetto al Cremlino.
Con l’aiuto dell’allora Consigliere per la sicurezza nazionale, Henry Kissinger, Nixon, visitando nel febbraio del 1972 Mao Zedong, sancì la storica rappacificazione diplomatica degli USA con la Cina. Questo soprattutto con lo scopo di indebolire l’influenza Sovietica in uno dei suoi più importanti satelliti.
Le difficoltà economiche
Già da prima dell’elezione di Nixon, gli Stati Uniti d’America stavano attraversando un momento difficile dal punto di vista economico, con attacchi speculativi al dollaro, la progressiva perdita di gran parte delle riserve d’oro nazionale ed il peggioramento dei bilanci pubblici. La spesa pubblica del governo centrale esplose a causa della guerra in Vietnam e delle continue politiche economiche espansive dalla fine della crisi del ’29 in poi. Il modello dello stato sociale e delle politiche economiche di stampo keynesiano iniziò il suo periodo di declino, che culminerà negli anni ’80 con l’avvento di Tatcher e Reagan. A dare il colpo di grazia all’economia americana ed europea fu la crisi petrolifera iniziata nel 1973, a causa della guerra tra Egitto, Siria ed Israele.
La crisi petrolifera
Quando nell’ottobre del 1973 ebbe inizio la Guerra del Kippur, i paesi arabi associati nell’OPEC decisero di sostenere la posizione di Egitto e Siria, infliggendo pesanti sanzioni ad Israele ed ai suoi alleati occidentali. L’OPEC, non appena iniziata la guerra, decise di aumentare il prezzo di vendita sulle esportazioni di petrolio del 25% e bloccò del tutto il commercio di greggio con Stati Uniti, Giappone ed Olanda nel 1975. Il prezzo per barile passò da 2,59 dollari nel 1973 a 18 dollari nel 1979. Si trattò di un colpo durissimo per tutti i paesi della NATO, i quali dovettero subire quasi un intero decennio di austerity energetica e livelli d’inflazione a doppia cifra.
Um nuovo più fragile sistema monetario
A seguito dell’uscita unilaterale degli Stati Uniti da Bretton Woods imposta da Nixon, venne alla luce un sistema monetario molto più flessibile. Con gli accordi di Washington, firmati nel 1971, il margine di fluttuazione delle singole valute rispetto al dollaro venne allargato dall’1% al 2,25% e non venne ristabilita più la convertibilità del dollaro americano in oro. Questo spinse ad una forte svalutazione del dollaro, intorno al 12% in media rispetto alle altre monete. Questo favorì le esportazioni americane a scapito dei suoi storici alleati. Agli accordi di Washington si aggiunsero quelli di Basilea, da cui scaturì la prima embrionale forma di collaborazione monetaria tra Stati europei, il Serpente Monetario Europeo, che riduceva il margine massimo di fluttuazione delle valute all’1,125%. Tuttavia, i nuovi sistemi fallirono entrambi a causa dell’estrema volatilità dei tassi di cambio causata dall’alta inflazione scatenatasi in seguito alla Crisi Petrolifera.