Di Daniele Fontana
Abbiamo già parlato, in diversi nostri articoli, del mercato dell’arte e del suo funzionamento. Ora però vorremmo approfondire l’argomento introducendo il tema della diversificazione dei portafogli con le opere d’arte.
Partendo dai concetti base, possiamo affermare che esistono due grandi tipologie di rischio, quello diversificabile e quello non diversificabile. Ora, il rischio non diversificabile, anche conosciuto come rischio sistematico o di mercato, non può essere eliminato o attenuato in quanto dipende da variabili fondamentali che influenzano tutti i vari asset presenti nel mercato. L’altro rischio, quello diversificabile, è invece attenuabile attraverso tecniche e strategie di diversificazione. Vi sono infatti modelli – come il CAPM (Capital Asset Pricing Model) – ed esperimenti – come quello di Fama del 1935 – che spiegano e illustrano le varie modalità con cui operare questa diversificazione. La tecnica più semplice per la diversificazione di un portafoglio è quella di inserirvi asset tra loro configgenti e il più possibile complementari, in un numero non inferiore a 15.
Nell’ultima decade, però, la diversificazione ha cambiato decisamente volto e ha messo in crisi la validità delle teorie appena citate, in quanto si sono sviluppate tecniche di riduzione del rischio basate sull’introduzione di opere d’arte all’interno dei vari portafogli. Numerosi studi hanno infatti evidenziato come l’introduzione di determinate opere d’arte in portafogli prevalentemente azionari consenta una riduzione del rischio maggiore di quella ottenuta con l’introduzione di un titolo di stato. La motivazione di questo fenomeno va ricercata nel fatto che il mercato dell’arte segue regole diverse da qualunque altro mercato; basta pensare che in questo ambito il fattore temporale provoca l’aumento dei prezzi.
La crescita del mercato artistico, che nel 2014 ha toccato la cifra record di 1,76 miliardi di dollari, è stata possibile in seguito alla comparsa dell’arte contemporanea, che ha reso tutto più accessibile. Opere giovanili di artisti che poi diventano famosi, di scolari o artisti dimenticati, o opere in serie limitate, dati i loro esigui prezzi hanno permesso, ad alcuni investitori più propensi al rischio, di potersi avventurare in questo mercato con cifre che raramente superano i 10.000 dollari.
La diversificazione con l’introduzione dell’arte nei portafogli va presa però con le pinze. Infatti uno degli aspetti da tenere ben in considerazione è la liquidità: non sempre tutto si può rivendere in maniera immediata in caso di necessità. I comunicati stampa riportano i record delle vendite ma raramente si soffermano ad analizzare l’invenduto che, secondo gli esperti, nella maggior parte dei casi è superiore al venduto.
Un altro fattore critico di successo di questo mercato, passato dall’essere di nicchia all’essere una realtà diffusa, è stato il regime di tassazione, dal momento che, ad oggi, non esiste una tassa sulle plusvalenze che derivano dalla compravendita delle opere d’arte, le quali non devono peraltro essere denunciate nella dichiarazione dei redditi.
Non bisogna però confondere. Infatti sono molti i Paperoni per i quali l’arte è a pieno titolo una passione: prima ancora del valore economico conta infatti il valore artistico, il piacere di avere nel proprio studio o nella propria abitazione opere nate per essere ammirate. Non a caso le opere più care, spesso i capolavori, sono di proprietà dei vari nababbi o di High net worth individual, cioè di coloro che nel mondo della finanza (in particolare nel private banking) e del lusso si distinguono per il possesso di un alto patrimonio netto.