Il clickbait è una delle piaghe che, con l’avvento di internet, ha iniziato ad affliggere il mondo dell’informazione. Il termine è nato per indicare quei link, inseriti nelle pagine web, con rimando a contenuti a pagamento o pubblicitari senza che questo sia dichiarato nel banner. Un esempio classico di questo primo tipo di clickbait sono, ad esempio, i finti concorsi a premi negli spazi pubblicitari.
Nel 2019 il significato del termine clickbait è stato ampliato. Con clickbait si intendono, secondo l’Oxford Dictionary tutti quei contenuti
<<il cui scopo Principale è attrarre l’attenzione e spingere i lettori a cliccare sul link>>
Quindi, per essere definito clickbait, un contenuto on-line deve essere impostato con l’unico scopo o lo scopo principale di attrarre più click possibile, a scapito dell’informazione. Per distinguere un clickbait da un non-clickbait ci si deve quindi prima di tutto chiedere qual’è lo scopo del prodotto in esame, se dare un messaggio e riportare una notizia o attrarre più click possibili e basta, anche a costo di fare disinformazione.
I pericoli del clickbait
Il click bait è una pratica pericolosa sia in grande, per la Società, che in piccolo, per la redazione o il blog che usa questa tecnica.
La società
Il clickbait è un fenomeno vario. Può essere solo un titolo forzato o esagerato ma che rimanda ad un vero contenuto d’informazione o proprio un articolo che riporta falsità, costruito ad arte per spingere sulle emozioni delle persone. I danni che questo secondo tipo di contenuti possono causare sono più evidenti ma, in realtà, sono anche più facili da gestire. Infatti, le realtà che agiscono in questo modo, possono essere chiuse in poco tempo in seguito ad azioni legali e comunque non hanno quasi nessuna credibilità agli occhi della maggior parte del pubblico.
I titoli forzati o distorti con rimando ad un contenuto anche di qualità sono i più pericolosi. Infatti si tratta di una disinformazione più sottile ed in un certo senso anche involontaria. Infatti, verrebbe da credere che, comunque, se nel testo le informazioni sono corrette non si sta facendo passare alcuna falsità. Tuttavia, secondo una ricerca della Columbia University, ben il 59% dei link condivisi sui social network lo sono senza essere stati aperti da chi li diffonde. Quindi più della metà degli utenti dei social, almeno a volte, condivide solo in base ai titoli o al testo dei post con rimando ad un sito. Il fine di ottenere tanti click è raggiunto grazie alla legge dei grandi numeri, ma la maggior parte delle persone a cui arriverà il link ne vedrà solo la copertina, che da sola trasmetterà una percezione distorta della realtà.
Questo tipo di clickbait soft è molto più difficile da limitare, in quanto non si può intervenire legalmente visto che le informazioni presenti nel testo sono corrette. Inoltre, è questo tipo di clickbait che può davvero portare ritorni importanti in termini economici a chi lo usa.
Quelli che fanno clickbait
Per una redazione on-line il clickbait può sembrare molto attraente ma gli effetti positivi durano di solito molto poco. Infatti, più dei click, della maggiore visibilità dei post con rimando al proprio sito e dell’indicizzazione sui motori di ricerca il primo e fondamentale obbiettivo che una società che fa informazione on-line deve raggiungere è guadagnarsi la fiducia dei lettori. Un utente che dopo aver cliccato più volte non troverà il contenuto che si aspettava perderà interesse per il sito.
Una redazione on-line che vive solo grazie al clickbait ha delle prospettive di crescita in termini di utenti, e quindi di guadagni, basse. Inoltre, per queste, senza la credibilità, sarà molto difficile vendere qualunque tipo di prodotto. Il discorso cambia solo per quelle realtà, come Lercio, che fanno sì clickbait ma con contenuti esplicitamente comici o satirici.
Non confondere clickbait e curiosity gap
Il fenomeno del clickbait, con i suoi effetti di disinformazione, ha portato molti giornalisti ad interrogarsi sul loro modo di presentare gli articoli. In un certo senso, infatti, qualunque giornale ha come obbiettivo quello di attrarre lettori e di attirare l’interesse con i titoli. Tuttavia quello che conta, secondo i partecipanti al convegno dell’International Journalism Festival del 2014, è che l’articolo rispetti le aspettative create dal titolo e che il contenuto non sia fuffa scritta con l’unico intento di farne un post acchiappa-click.
La tecnica del curiosity gap, o del provocare un curiosity gap, può essere definita come una sorta di clickbait buono. Questo consiste nell’impostare il titolo in modo tale da istillare curiosità nel lettore, curiosità che poi dovrà essere del tutto soddisfatta dall’articolo. Quindi, non si tratta di clickbait quando quello che si cerca di “vendere” all’utente è quello che, dal titolo, l’utente si aspettava di trovare. Anche se l’articolo contiene informazioni false non necessariamente si tratta di clickbait, se queste non sono state usate deliberatamente per attirare click, infatti, si può parlare semplicemente di cattivo giornalismo, con errori dovuti alla superficialità ed ai pregiudizi dell’autore.