La banda della Magliana è stata un’associazione criminale che ha avuto il controllo delle attività illecite di Roma nel corso di tutti gli anni ’80. È nata nel 1977 dall’incontro fra Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino, Enrico De Pedis e Nicolino Selis. Questa esperienza criminale ebbe un enorme successo. Dopo pochi anni la banda incassava ogni anno, pare, l’equivalente in lire di decine di milioni di euro ed aveva stretto accordi con mafie, servizi segreti, esponenti delle istituzioni e dello Stato Vaticano. Non è stato scoperto quanti soldi l’organizzazione fosse riuscita ad accumulare ma, guardando ad alcuni sequestri ai danni dei suoi membri di spicco, è plausibile si tratti di centinaia di milioni di euro.
Indice
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La nascita della banda della Magliana
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L’inizio delle attività comuni
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La struttura della banda
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La conquista di Roma
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La trasformazione del gruppo
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Il patrimonio della banda
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La fine del gruppo
La nascita della banda della Magliana
Tutto ebbe inizio sul finire degli anni ’70, quando un piccolo gruppo di malavitosi romani decise di unire le forze e le rispettive batterie, così da aumentare il controllo di ognuno sul proprio territorio. Si trattava di Franco Giuseppucci, detto il Negro, Maurizio Abbatino, detto Crispino, Enrico De Pedis, detto Renatino, e Nicolino Selis, detto il Sardo. I quattro agivano ognuno in diverse zone di Roma e paesi limitrofi, come Acilia. Al momento dell’incontro erano criminali di medio livello e traevano ancora, ognuno con il suo gruppo, il grosso dei guadagni dalle rapine.
La banda della Magliana fu costituita ispirandosi a quello che stava facendo Raffaele Cutolo, con la Nuova Camorra Organizzata. Il fine con cui nasceva gruppo romano, come quello di Cutolo a Napoli, era quello di rendere la gestione della criminalità nella Capitale indipendente da poteri esterni. L’organizzazione avrebbe dovuto avere una struttura orizzontale, senza un capo definito, tuttavia, di fatto, a tenere unito il gruppo ed a svolgere il ruolo di leader era Giuseppucci.
Il contesto
A Roma, con l’arresto di Abert Berganelli nel 1976, era finito il breve regno nella criminalità romana del clan dei Marsigliesi, iniziato solo nel 1975. Fino a quel punto i delinquenti della Capitale non avevano mai avuto un’organizzazione solida, al massimo venivano costituiti piccoli gruppi che si scioglievano quando non c’erano più interessi comuni nel breve termine. L’esperienza dei Marsigliesi rese però chiaro come non fosse possibile restare allo stesso tempo indipendenti e frammentati.
L’inizio delle attività comuni
La svolta sarà poco dopo l’incontro fra Giuseppucci, Abbatino, De Pedis e Selis, quando la banda sequestrò Massimiliano Lante della Rovere, esponente della vecchia nobiltà Romana. Il riscatto richiesto era di 10 miliardi di lire ma il gruppo ne incassò solo 1,5 miliardi, anche a causa del fatto che la vittima del rapimento venne uccisa per errore.
I soldi del riscatto, però, furono utilizzati per dare il via all’organizzazione che caratterizzerà la banda della Magliana negli anni a venire. Una percentuale prestabilita del denaro intascato veniva divisa in modo equo fra i maggiori boss, con diversi altri nomi che si aggiungeranno nel tempo ai quattro fondatori. Il resto, invece, veniva stanziato in un fondo comune, da utilizzare soprattutto per l’acquisto di grosse quantità di droga, per la corruzione ed in caso di emergenza, ad esempio per pagare gli avvocati.
La struttura della banda
Il fondo comune della banda non poteva mai essere portato al di sotto di una certa cifra, per essere sicuri di avere sempre liquidità a disposizione in caso d’emergenza. In teoria non c’era un capo ma una sorta di assemblea fra i diversi capi, ognuno con pari potere decisionale. Le diverse aree di Roma erano affidate a diversi gruppi di boss, che potevano gestire il loro territorio in autonomia, a patto di rispettare gli interessi comuni e gli accordi. La banda era solita essere spietata con gli affiliati che “sgarravano” quasi quanto con i suoi nemici.
Sebbene non ci fosse un capo, di fatto la figura di leader e quello che teneva unito il gruppo era Franco Giuseppucci, il Negro.
La conquista di Roma
Dal 1977 al 1980, la banda della Magliana riuscì ad ottenere il controllo su tutti gli affari illeciti più redditizi della Capitale. Questo convincendo le diverse figure criminali romane a collaborare con loro. Chi si rifiutava subiva pesanti ritorsioni, a volte venendo anche ucciso. In particolare fu rilevante l’agguato, da parte di tutti i boss della banda, che portò alla morte, nel 1978, del potente Franco Nicolini, detto il criminale, che controllava quasi tutto il gioco d’azzardo illegale.
Nicolini era legato al clan criminale Proietti, che volle vendicare la morte del suo affiliato. Nel 1980 Giuseppucci, il capo morale della banda della Magliana, fu ucciso da alcuni colpi di pistola sparati da una moto. Gli altri membri del gruppo vendicarono la morte del Negro, spazzando via in poco tempo l’impero della famiglia Proietti. La banda aveva ottenuto, a quel punto, il totale controllo del mondo criminale romano, tuttavia aveva perso Giuseppucci, il suo elemento più importante.
La trasformazione del gruppo
Dopo la morte di Giuseppucci la banda della Magliana toccò l’apice del suo potere iniziando allo stesso tempo il suo declino. Lo spirito di coesione ed interessi in comune del gruppo si andò a perdere sempre di più. Molti tradirono l’idea originale, legandosi a mafie esterne a Roma. Quelli che controllavano Trastevere e Testaccio, ovvero Abbruciati e De Pedis, strinsero accordi con il boss di Cosa Nostra Pippo Calò. Invece, quelli della Magliana e di Ostia, in particolare Abbatino e Selis, si avvicinarono alla camorra di Cutolo, personaggio fin dall’inizio molto ammirato dai membri della banda.
Dopo il 1980 la banda iniziò a collaborare con molti importanti enti, come Massoneria e servizi segreti italiani. Divenne una vera e propria agenzia per i crimini su commissione, che si rilevarono, probabilmente, molto redditizi. Pare che il gruppo sia stato coinvolto, ad esempio, sia nella ricerca di Aldo Moro che nell’insabbiamento della strage di piazza Fontana. La maggioranza dei membri della banda infatti, con poche eccezioni, aveva forti simpatie per l’estremismo di destra.
I soldi diventarono sempre di più, così il gruppo delegò il compito di gestirli ad Enrico Nicoletti, un vero esperto nel riciclaggio.
Il patrimonio della banda
Non è mai stato scoperto quanti soldi la banda della Magliana avesse accumulato. I sequestri ai boss, anche minori, toccano però cifre da capogiro. Dai 10 milioni di euro sequestrati a Manlio Vitale ai 25 di Enrico Diotallevi. Il denaro trovato nelle mani di boss minori affiliati al gruppo rende plausibile che questo abbia incassato nel complesso centinaia di milioni di euro.
Con l’operazione Colosseo, negli anni ’90 la polizia sequestrò al boss della Magliana De Pedis beni mobili, immobili ed un fiume di denaro sporco contante per un valore di circa 100 milioni di euro.
La fine del gruppo
La banda della Magliana era molto forte contro i rivali. La sua distruzione arrivò dall’interno, il gruppo, dopo la morte di Giuseppucci, fu lentamente consumato dall’egoismo di alcuni suoi membri di spicco. D’altronde, però, si tratta di un meccanismo molto comune nel mondo criminale, composto da persone che di regola sono poco portate a seguire delle regole ed a rispettare gli accordi. Fra tradimenti, distribuzione sempre meno equa delle entrate a seconda dei rapporti di forza, confessioni alla polizia e doppio gioco con altre associazioni criminali la banda della Magliana andrà lentamente in pezzi.
Gli affiliati iniziarono ad uccidersi a vicenda, il rapporto di fiducia che rendeva possibile l’organizzazione fu compromesso del tutto. I proiettili raggiunsero quasi ogni boss, fino all’uccisione di De Pedis nel 1990 ed all’arresto di Abbatino del 1992, gli ultimi due fondatori che erano rimasti in vita dopo gli anni ’80.
Sono riusciti a sopravvivere, finendo sotto la protezione dello Stato come pentiti, solo i boss Mancini, Carnovale ed Abbatino. La criminalità romana era tornata ad essere frammentata e controllata dall’esterno. Figure prima di secondo piano, come Massimo Carminati, ebbero campo libero per prendere il posto dei leader della banda nel controllo del mondo criminale di Roma.